Storie di immigrazione e la strage dei sardi

Redazione Prima Pagina Castelvetrano
Redazione Prima Pagina Castelvetrano
26 Luglio 2018 11:40
Storie di immigrazione e la strage dei sardi

Gli immigrati, oggetto giornaliero di cronaca e di dispute interne italiane, ma anche europee partono dai deserti africani, dalla guerra e dalla miseria,  arrivano qui alla ricerca di pace, e di una terra meno avara che possa dare loro almeno quella dignità di essere umano, che non è stata riconosciuta al loro paese. Purtroppo, qui trovano persone che guardano il colore della pelle e una diversità che in effetti non c’è, perché anche loro sono nati da madri che hanno partorito i figli dopo  9 mesi di gestazione.

Sono diversi da noi, perché soffrono la fame, mentre noi, anche se in forte crisi economica, non siamo ancora arrivati a questo punto. Pertanto il loro arrivo provoca ondate di proteste e tante polemiche. La storia che dovrebbe essere madre di insegnamenti, purtroppo si studia a scuola come materia scolastica e si dimentica presto, perché carica di bugie. Noi siciliani ci siamo dimenticati le stragi avvenute in USA di italiani immigrati, in maggior parte siciliani; basta leggere il libro di Richard Gambino: “VENDETTA” per trovare scritta la storia del più spietato linciaggio  in America; famoso è rimasto il caso Nicolò  Sacco pugliese e Bartolomeo Vanzetti  piemontese, condannati a morte per razzismo.

Dobbiamo ricordarci anche come erano guardati e trattati male, i primi emigranti, siciliani in particolare, in Germania e in altri paesi europei. A pair of criminals. Ma, il giornalismo non deve limitarsi a mettere in evidenza le ingiustizie locali, ma deve assumere un carattere universale; infatti,  in quest’articolo  voglio parlare della   strage compiuta ai danni di immigrati sardi a Itri, un paese in provincia di Latina, nel mese di luglio del 1911.

In quell'anno venne reclutato un migliaio di giovani sardi per lavori da eseguirsi nella  costruzione del quinto tronco della ferrovia Roma-Napoli. Provenivano da tutta la Sardegna col proprio carico di speranza, perché quasi tutti avevano lavorato e conosciuto bene il duro lavoro delle miniere del Sulcis. La gente del posto li guardava con sospetto e pregiudizio, aveva ostilità nei confronti di questa gente, per loro  anomala, con usi, modo di vestire  diversi, e con una cattiva reputazione di criminali e banditi, in un periodo storico in cui chi proveniva dall’Isola veniva considerato “sporco, rozzo, cattivo”.

Il responsabile della cancelleria sabauda Joseph De Maistre scriveva: <<La razza sarda è refrattaria a tutti i sentimenti, a tutti i gusti e a tutti i talenti che onorano l'umanità>>. Il 12 luglio del 1911 è bastato un non nulla per far scoppiare una rivolta: Nella piazza principale del paese un lavoratore sardo provocato e ferito cadde a terra dopo una collisione con un carrettiere; tutti gli itriani si riversarono lì, armati, gridando «Morte ai sardignoli». Intanto voglio precisare che  “sardignolo” per un sardo è una parola d’offesa, trattandosi   dell’asinello sardo, che in dialetto si chiama “burricu” oppure “sardignolo”.

Sono gli anni in cui la stampa nazionale, per giustificare il banditismo, un fenomeno sorto per le cattive amministrazioni pubbliche,  tratta molto poco gentilmente i sardi. Assumere sardi era allora conveniente, poiché lavoravano sodo, ricevendo in cambio, a parità di mansione, un salario inferiore a quello degli operai continentali, loro colleghi. Gli itriani non trattano bene questa gente: si comincia a speculare sugli alloggi, su ogni genere alimentare, infine arriva la camorra, pretende che ogni operaio paghi il pizzo; la camorra si era  infiltrata nel territorio e tra i vertici della ditta Spadari che gestiva il progetto della costruenda  tratta ferroviaria Roma-Formia-Napoli; mentre tutti gli operai pagavano il pizzo, il sardo, un popolo molto orgoglioso, per  sua natura, non si è voluto chinare a questi soprusi.

L’odio fu fomentato dai discorsi dei politici locali che fecero credere agl’itriani che i sardi (400 solo a Itri) stessero rubando loro il lavoro, descrivendoli, inoltre, come una “razza inferiore e delinquente per natura”. Durante il tafferuglio intervennero i carabinieri, che arrestarono un sardo, tale Giovanni Cuccuru di Silanus; i suoi corregionali la considerarono un’ingiustizia e protestarono vivamente, provocando l’ira di un carabiniere che minacciò, pistola alla tempia, di uccidere Cuccuru se le proteste non fossero cessate.

Alla notizia dell’arresto accorsero altri sardi che si fronteggiarono con gli itrani. Questi ultimi, coadiuvati dal sindaco, dagli assessori, da guardie campestri e dai carabinieri, si scagliarono contro gli operai al grido di «Fuori i sardignoli», ferendo e uccidendo alcuni di loro. Nulla poterono le vittime dinanzi ai forconi, ai pugnali, ai bastoni e ai fucili degli aggressori. Gli operai scampati alla persecuzione xenofoba si rifugiarono intanto nelle campagne circostanti. L’indomani, i lavoratori rientrarono nel paese per raccogliere i loro compagni morti o feriti nei combattimenti, ma gl’itriani, arrivarono in massa, passando prima in una bottega, nella quale si distribuivano armi, caso strano già pronti per l’uso e  per l’occasione.

Qui si avvertiva: «Prendete le armi e uccidete i sardi». Gli itrani, ancora accecati dall’odio razzista e non contenti del sangue già versato, si scagliarono nuovamente contro i lavoratori sardi inermi provocando altre vittime. Da parte delle autorità locali non arrivò nessun soccorso, il telegrafo, unico mezzo di comunicazione in tempi reali di allora restò chiuso, i giornali non parlarono dell’accaduto. L’intera vicenda non ha lasciato notizia ufficiale nella cronaca e nella storia.

I sopravvissuti denunciarono i fatti al procuratore del Re di Cassino, chiedendo l’intervento dello Stato e dell’allora governo italiano. Fu loro vietato un comizio sui diritti dei lavoratori, per il quale si era battuto anche Gennaro Gramsci, fratello di Antonio. La ditta Spadari licenziò tutti i sardi, che furono “invitati” dal prefetto ad andare via; il governo italiano, che fino ad allora non era intervenuto, fece arrestare 60 itrani ma al culmine di una lunga inchiesta, al processo del 1914 a Napoli vennero tutti prosciolti.

A seguito della denuncia e degli accertamenti, si seppe che ufficialmente i feriti furono una sessantina, tutti sardi, e 10 le vittime, ma il numero esatto delle vittime non si venne mai a sapere, poiché gli itrani trafugarono numerosi cadaveri e feriti moribondi per nascondere il numero esatto delle vittime. Molti sardi scampati all’eccidio furono arrestati con l’accusa di essere rissosi. Mentre, altri, per la stessa accusa, furono espulsi da quella “terra del lavoro” e rispediti in Sardegna.

Oggi l’Italia si trova a ricevere migliaia di disperati che sperano di trovare qui l’Eden, forse perché informati male ai loro paesi. Siccome si tratta di un numero elevato rispetto alle nostre possibilità economiche, è giusto che si faccia una politica per l’accoglienza e cercare una soluzione logica, oltre che umanitaria,  ma non sulla base del pregiudizio razziale. VITO MARINO

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