Un anno fa moriva colui che è stato considerato l'ultimo grande boss di "cosa nostra". Matteo Messina Denaro è morto poco prima delle ore 2 nella notte fra il 24 e 25 settembre. L'ultimo stragista, arrestato il 16 gennaio 2023 dopo 30 anni di latitanza, è morto nell'ospedale dell'Aquila. Il capomafia, 62 anni, soffriva di una grave forma di tumore al colon che gli era stata diagnosticata mentre era ancora ricercato. Era stato proprio il cancro al colon a portare i carabinieri del Ros e la Procura di Palermo sulle tracce del boss, braccato al suo ingresso presso la clinica “La Maddalena” di Palermo.
Dopo la cattura, Messina Denaro è stato sottoposto alla chemioterapia nel supercarcere dell'Aquila dove gli è stata allestita una sorta di infermeria attigua alla cella. Una equipe di oncologi e di infermieri del nosocomio abruzzese ha costantemente seguito il paziente apparso subito, comunque, in gravissime condizioni. Nei nove mesi di detenzione il padrino è stato sottoposto a due operazioni chirurgiche legate alle complicanze del cancro. Dall'ultima non si è più ripreso, tanto che i medici hanno deciso di non rimandarlo in carcere, ma di curarlo in una stanza di massima sicurezza dell'Ospedale di L’Aquila, trattandolo con la terapia del dolore e poi sedandolo.
Al di là degli interrogativi circa i tempi e le modalità del suo arresto, articoli e libri hanno posto importanti quesiti, sulla base dei documenti e delle testimonianze, su Matteo Messina Denaro, poche le risposte sulla sua vita sia da uomo libero che da latitante. I giorni dopo il suo arresto l’attenzione degli investigatori e dei media si è catapultata su Campobello di Mazara ove nei suoi covi, l’ultimo quello di via San Vito, si scoprono pizzini e appunti, tanti soldi in contanti.
Individuati e arrestati anche persone che costituiscono la rete dei suoi fiancheggiatori, coloro che ne hanno coperto la latitanza. Interrogato più volte, anche per un processo di estorsione relativo ad un terreno, ha sempre negato di esser legato a “cosa nostra”, di esser un mafioso, ha voluto respingere anche le accuse, a seguito di rivelazioni di qualche collaboratore di giustizia, di esser stato responsabile dell’efferato assassinio, né tantomeno rapimento, del piccolo Giuseppe Di Matteo.
Le sue risposte ai magistrati sono sembrate quelle di una persona che conosceva la fine dei suoi giorni, anche rischiando cadere in contraddizione in certi momenti, affermando ironicamente la sua posizione di “apolide” e di esser rimasto con dei beni che ne hanno permesso la latitanza senza però rivelare ove questi beni si trovassero. Più volte ha dichiarato di non doversi pentire di niente. Da qui molte similitudini con il suo padrino, il capo dei capi, Totò Riina, che però MMD ha totalmente disconosciuto riconoscendo la sola figura paterna del padre, don Ciccio Messina Denaro.
Insomma Matteo Messina Denaro si è portato nella sua tomba tantissimi misteri per i quali oggi si indaga, a partire dalla ricerca del suo tesoro nascosto che, secondo ultime rivelazioni potrebbe trovarsi in Svizzera, Paese ove lo stesso MMD pare fosse sfuggito per poco ad un arresto (nel 1996, pochi anni dopo le stragi di capaci, Via D’Amelio e gli attentati a Roma, Milano e Firenze), coperto presumibilmente da prestanomi. Altro filone di indagini riguardano la ricostruzione dei 30 anni di latitanza di Matteo Messina Denaro e l'ultimo periodo quando, probabilmente dopo aver scoperto di esser malato, pur non affrontando più lunghe trasferte (al massimo qualche giro in Sicilia con l'amante) aveva certamente "allentato" il livello di attenzione al fine di concedersi un pò di "aria", coperto sempre da una rete fiancheggiatori, anche a Mazara del Vallo (su questo filone aperta un'inchiesta dopo la scoperta nel luglio scorso di un covo in garage-appartamento di un complesso edilizio di via Castelvetrano), città che “Diabolik” aveva frequentato già da uomo libero.
Da giovane raggiungeva diversi amici (molti dei quali legati al mandamento locale retto da Mariano Agate) per trascorrere la movida nei locali del lungomare mazarese; da latitante partecipò all’attentato (14 settembre 1992) al commissario Rino Germanà sul lungomare Fatamorgana, poi al tentativo di rubare il “Satiro danzante”, fino agli ultimi anni per gustare il buon pesce magari osservando quel mare che più volte avrebbe attraversato a bordo di qualche veloce motoscafo per raggiungere la Tunisia.
A Mazara del Vallo Matteo Messina Denaro sarà operato, sottoponendosi ad un delicato intervento chirurgico presso l’Ospedale “A. Ajello”, nel novembre 2020 (in quel periodo si facevano solo operazioni di urgenza considerata ancora l’emergenza covid-19), sempre sotto il falso nome del geometra campobellese Andrea Bonafede. Tornerà nella sua Castelvetrano soltanto da morto, nella mattina del 27 settembre, a bordo di un carro funebre, la sua salma è stata sepolta nella cappella di famiglia dedicata al padre Ciccio, anch’egli boss, ma morto da latitante nel 1998, e dove sepolta anche la madre, Lorenza Santangelo, morta alcuni giorni fa.
L'ultimo interrogativo riguarda il successore di Matteo Messina Denaro alla guida di "cosa nostra". La mafia, in particolare quella trapanese, si sta riorganizzando portando avanti nel frattempo gli affari già avviati? Significative le recenti parole del Procuratore antimafia Maurizio de Lucia intervenendo a Castellammare del Golfo per la presentazione di un libro: "lavoriamo per indebolire tutti i pezzi di una sola struttura che è 'cosa nostra' e che oggi tenta di ricostruire la forza degli anni ’80, senza distinzione tra mafia militare e dei colletti bianchi”.
Francesco Mezzapelle