“Quando io riuscii ad uscire dalla cella, venni aggredito con un calcio sullo stinco e con un pugno sulla nuca da due poliziotti penitenziari, un Brigadiere e un Ispettore capo, credo il responsabile del reparto colloqui, lo stesso mi sputò in faccia…”.
E’ l’ottobre del 2021 quando un detenuto trova il coraggio di denunciare gli abusi subiti all’interno delle carceri Pietro Cerulli di Trapani. Agli uomini del Nir, il Nucleo Investigativo Regionale della Polizia Penitenziaria racconta di essere finito un mese prima in isolamento dopo aver inscenato una protesta.
Nel reparto “Blu”, era stato punito per aver dato fuoco alla sua cella. Un episodio non isolato.
“Ricordo di avere sentito quando hanno picchiato quel detenuto che era salito sul tetto. Fu portato completamente nudo al reparto Blu nella cella numero 3 e dalla mia cella sentivo le urla dello stesso e i rumori di come lo picchiavano. I picchiatori sono sempre gli stessi e non sono tutti, perché ci sono dei poliziotti che sono veramente dei padri di famiglia. In un’altra occasione ho visto e sentito mentre picchiavano due detenuti di origini tunisine, finiti al reparto BLU per un rifiuto di rientrare in cella”.
Dichiarazioni forti, accuse pesanti, che hanno dato il via alle indagini, scaturite ieri nell’esecuzione di 25 misure cautelari. Undici gli agenti della penitenziaria finiti ai domiciliari: Filippo Guaiana, Antonio Mazara, Filippo Bucaria, Claudio Angileri, Claudio Di Dia, Andrea Motugno, Francesco Pantaleo, Salvastore Todaro, Stefano Candito, Roberto Passalacqua e Antonino Fazio.
Quattordici invece gli agenti sospesi dal servizio (l’indagine coinvolge altre 19 persone). Il reparto “Blu” era una “zona franca” ha sottolineato il procuratore Paci in conferenza stampa. Un vero e proprio “girone dantesco”.
La cella numero 3 era chiamata la “cella delle torture”. “Un luogo buio, sperduto. La luce filtra a malapena da una finestrella di 50 centimetri per 40, posta in alto, a 25 centimetri dal soffitto. Una fila di sbarre e l’aggiunta di una rete a trama molto fitta impediscono anche all’aria di scorrere libera. Il cesso è a vista. L’ora d’aria può avvenire uno alla volta in una vasca di cemento di due metri per nove, con le mura altissime e la rete sopra come un pollaio”.
A descrivere le condizioni di degrado in cui versava il reparto “Blu” è l’associazione “Nessuno Tocchi Caino” che nel 2023 aveva effettuato una visita all’interno delle carceri chiedendo a gran voce al Ministero di chiudere la sezione destinata all’isolamento.
In questo luogo angusto, privo di telecamere, un gruppo di agenti - secondo quanto emerso dalle indagini - avrebbe abusato del proprio ruolo creando un vero e proprio clima di terrore. “Trattamenti inumani e degradanti”, scrive il gip Giancarlo Caruso.
“Tu sei un cane, tu sei un cane capito? Cosa inutile ammazzati. Tanto questo è nero, non si vede un cazzo, ammazzalo di bastonate”, così parlavano gli agenti ignari di essere intercettati. Le telecamere piazzate nel reparto dagli uomini del Nir hanno immortalato alcuni episodi di violenza.
Calci, schiaffi, pugni, sputi ma anche umiliazioni. Detenuti costretti a percorrere il corridoio nudi, secchiate d’acqua mista a urina lanciate all’interno delle celle. Canti e balletti per sbeffeggiare le vittime. “Ora vediamo chi c'è di capoposto.. e lo andiamo a sminchiare a questo.. questa notte... “. Così parlava uno degli arrestati, Antonino Fazio, ribadendo la necessità di “tornare alle vecchie maniere”.
“Gli si devono dare legnate - affermava parlando con un collega - mentre si ci danno legnate si ci dice sempre i colleghi non si toccano, a Ivrea così facevamo noi, appena toccavano un collega.. a sminchiarli proprio”. Il poliziotto, secondo l’accusa avrebbe anche ipotizzato la creazione di una “squadretta di sei persone”, pronta ad intervenire in caso di proteste o dissenso da parte dei detenuti.
“Stanno rifacendo a squadretta per "abbissari" qua sto MEDITERRANEO” (una delle sezioni del Penitenziario), confida parlando al telefono con la fidanza un altro degli arrestati, il trentanovenne Filippo Guiana che suggerisce ai colleghi di non utilizzare scudi e manganelli perchè “troppo rumorosi”: “Gli scudi e i manganelli fanno più bordello, se lui ci esce le mani, ci mettiamo un bel paio di manette, lenzuolo di sopra per non lasciargli segni e lo fracchi, tanto questo è nero e non si vede un cazzo”. Non solo abusi e torture. Gli indagati avrebbero anche falsificato le relazioni di servizio che venivano poi inoltrate alla Procura a danno dei detenuti.