Piantedosi: "le mafie sono la negazione dei diritti”

Il video ed il testo integrale del ministro dell'Interno

Redazione Prima Pagina Castelvetrano
Redazione Prima Pagina Castelvetrano
26 Aprile 2023 20:16
L'intervento del ministro dell'interno Matteo Piantedosi

Il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi ha partecipato, ieri 25 aprile, a Castelvetrano alla cerimonia "Memoria Nostra", progetto di legalità per onorare chi ha sacrificato la vita per combattere la mafia.

Nel corso dell’evento, lo svelamento della teca che custodisce i resti della “Quarto Savona Quindici” l’auto scorta di Giovanni Falcone sulla quale viaggiavano il giorno della strage di Capaci i poliziotti Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo.

All’iniziativa moderata dal giornalista del Corriere della Sera  Felice Cavallaro hanno partecipato, tra gli altri, la vedova dell’agente di scorta e presidente dell’associazione “Quarto Savona 15” Tina Montinaro, il prefetto di Trapani Filippina Cocuzza, il sindaco di Castelvetrano Enzo Alfano, il presidente della commissione Antimafia Regionale Antonio Cracolici, e l’assessore alle attività produttive della regione Sicilia Edmondo Tamajo.

«Con piacere ho aderito all’invito del Sindaco di Castelvetrano, che con un gesto simbolico, ha scelto di affidare la celebrazione del 25 aprile, festa nazionale della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo, ai resti della Quarto Savona Quindici, resti “vivi”, resti che ci “parlano”. Un gesto che ha un significato profondo e altrettanto chiaro», ha dichiarato il titolare del Viminale.

questo il testo integrale del discorso :

«Il 25 aprile - giorno in cui onoriamo il sacrificio di chi, a prezzo della vita, ha gettato le basi della nostra democrazia - è il giorno in cui si celebra qualcosa di molto preciso: la sconfitta di un regime che perseguì la negazione della dignità individuale, che sposò la violenza come strumento di regolazione dei rapporti sociali, che fece della coercizione delle coscienze una dottrina di governo e della delazione la principale forma di controllo. Derive liberticide con una collocazione storica ben definita che oramai è convinzione, patrimonio e coscienza di tutti. Nessuno escluso. Non ci sono divisioni su questo.

La negazione della libertà, individuale e collettiva, semmai è una minaccia da cui dobbiamo preservare le generazioni future, alimentando il senso critico e la libertà di pensiero al di là di ogni conformismo.

Ecco perché la cerimonia di oggi ha un valore altamente simbolico. Proprio nel giorno in cui si celebra la Liberazione dal regime fascista, rivendicare anche la liberazione di un territorio dalla mafia - emblematicamente dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro - attinge ai valori più profondi su cui si fondano le democrazie. Ciò perché - e la nostra Costituzione ne offre un’alta testimonianza - le democrazie si fondano sulle libertà.

Questa celebrazione davanti alla teca contenente l’auto di scorta di Giovanni Falcone, la Quarto Savona Quindici, assume una dimensione particolarmente significativa. La morte di Falcone e della sua scorta costituisce un sacrificio civile autentico. Dopo quella strage e le altre che seguirono, lo Stato ha messo in campo per la prima volta strumenti di inedita efficacia contro la mafia. Certo, l’inaccettabile sacrificio della vita di Falcone e della sua scorta - come di altri valorosi magistrati e appartenenti alle Forze dell’ordine - malgrado il suo disvalore, ha innescato un processo virtuoso di contrasto e di riscatto. Non sarebbe stato necessario se tanti non avessero accettato la convivenza, se non addirittura la connivenza con i poteri mafiosi.

Un territorio in mano alla mafia non è libero, i suoi cittadini non sono liberi, perché le loro scelte sono sempre influenzate da forme di condizionamento, sia esso palese o subdolo. Se i diritti non sono di tutti, se un diritto deve essere riconosciuto ed esercitato come un privilegio, questo allontana dalla stessa democrazia delineata nella nostra Costituzione. La mafia è una “dittatura” a cui ribellarsi. In questo senso, festeggiare il 25 aprile qui, al cospetto della Quarto Savona Quindici, insieme ad una comunità che lotta per il proprio affrancamento dalla criminalità organizzata, significa rigenerare l’insindacabile valore della Liberazione, significa sprigionarne il potere evocativo per risvegliare le nostre coscienze e rammentarci che democrazia e libertà non sono assunti da dare per scontati.

Come ha evidenziato in maniera particolarmente efficace il Presidente della Repubblica, le mafie "sono la negazione dei diritti” perché “opprimono, spargono paura, minano i legami familiari e sociali, esaltano l'abuso e il privilegio, usano le armi del ricatto e della minaccia, avvelenano la vita economica e le istituzioni civili. […] Le loro azioni criminali avranno effetti nocivi per generazioni”. Tutte azioni predatorie e corruttrici che mirano, di fatto, a impoverire i territori e i Paesi in cui operano, ovviamente a beneficio di quei pochi coinvolti nel circuito criminale che prosperano e si arricchiscono a discapito della collettività. Che una volta per tutte si sgomberi il campo dall’odiosa narrazione che vede la mafia come portatrice di lavoro, di ricchezza: è una narrazione falsa che cerca di creare consenso, nascondendo la vera natura della mafia che è sottomissione, prevaricazione, violenza, come in qualsiasi regime.

È anche una narrazione di comodo, perché rendendo questo fenomeno come qualcosa di ineluttabile e, in qualche modo, addirittura di conveniente, prova a distogliere ciascuno dalle proprie responsabilità.

Per questo ho voluto celebrare la Liberazione proprio qui oggi, un luogo simbolico da cui - ne sono certo - può avviarsi un concreto percorso di riscatto: il luogo in cui si sono radicati gli interessi di quello che è considerato l’ultimo boss della stagione stragista della mafia e che ha il diritto di rivendicare l’affrancamento da quel condizionamento e di costruire benessere per tutti i suoi cittadini.

La memoria della Liberazione deve, infatti, servire a riconoscerci, a darci il coraggio di cambiare, deve servire a rintracciare, in una Storia comune alimentata dall’incommensurabile sacrificio dei martiri della libertà, il principio dell’identità autenticamente democratica su cui abbiamo costruito, e ogni giorno consolidiamo, la nostra appartenenza.

Primo Levi, ne “I sommersi e i salvati”, ci ricorda che l’agire di ciascun uomo si dipana in una “zona grigia”, un campo di forze in cui si confrontano il Bene e il Male: siamo impastati di “argilla e spirito”, dice Primo Levi. In questa tensione tra Bene e Male in cui tutti siamo quotidianamente immersi, nessuno può considerarsi davvero liberato se smette di riflettere, se – sentendosi al sicuro – smette di indossare i valori della Liberazione, rinunciando a farsi scudo con essi contro altre, insidiose, minacce.

Per resistere all’intossicazione di un potere arrogante e insensibile a qualunque senso di giustizia, ci vuole una “ben solida ossatura morale”, scrive ancora Primo Levi. Ebbene, quella ossatura morale di cui parla Levi è la stessa che raccontano i resti “vivi” della Quarto Savona Quindici. È la stessa di chi si ribella al giogo della criminalità organizzata. La Liberazione e la lotta alla mafia sono pagine diverse, ma entrambe della stessa Storia, la nostra. Il processo doloroso della Liberazione ha insegnato agli italiani a stare desti, a riconoscere la minaccia, a combatterla, a non cedere all’annichilimento di pensieri dominanti.

Se non continuiamo a “praticare” la Liberazione nel presente, nelle ispirazioni e nei valori più profondi – la libertà dell’uomo, il rispetto per la vita e per il pensiero del prossimo, chiunque sia – la negazione della dignità umana rischia di rivivere nei fatti.

Noi abbiamo bisogno e, consentitemelo, abbiamo il dovere - ad ogni livello, con ogni strumento, ciascuno per la propria parte - di rinnovare il rifiuto di qualunque negazione della libertà individuale e collettiva. Non saremo mai davvero liberati, e dunque non saremo liberi, se celebriamo la Liberazione solo come un fatto storico. Oggi il significato del 25 aprile è corroborato da due simboli che si ricongiungono, due memorie che si saldano per affermare i principi supremi della nostra democrazia: la memoria è il pungolo che orienta le nostre azioni e deve essere “agita” ogni giorno. I simboli servono a questo.

Fare scelte di libertà, opporsi alla mentalità mafiosa, proporre modelli di responsabilità sociale significa creare i presupposti per una società sana, dotata dei necessari anticorpi per rigettare ogni forma di sopruso. Diversamente, il rischio è altissimo e conduce, alla lunga, allo sfiorire della democrazia e della stessa civiltà. A questo proposito consentitemi di riportare una riflessione di Corrado Alvaro, uomo del sud, che conosceva bene la fatica di tante persone costrette a convivere con forme di prevaricazione, anche mafiosa: “La disperazione più grave che possa impadronirsi d'una società è il dubbio che vivere rettamente sia inutile”.Ecco, nessuno, a nessun livello, può pensare di chiamarsi fuori dal contrasto alla mafia: contrastarla non è solo un dovere morale e civile, ma anche una necessità prima ancora che per la propria sicurezza, per la propria dignità e per la propria libertà.

È in questo senso che nella lotta alla mafia ritroviamo i valori e lo spirito della Liberazione, che ormai è patrimonio di noi tutti, rispetto ai quali noi tutti già sappiamo da che parte stare. Stare insieme dalla stessa parte significa anche tracciare la strada alle giovani generazioni che dobbiamo preservare dall’omologazione, educandole alla libertà di pensiero e allo spirito critico.

Buona Festa della Liberazione a tutti!»

fonte Ministero degli Interni

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