Faro di Posizione.​ Un tè tra poetesse: Louise e Vivian

Nella sua consueta rubrica menisle Bia Cusumano ci racconta che la poesia non ha alternative

Redazione Prima Pagina Castelvetrano
Redazione Prima Pagina Castelvetrano
22 Ottobre 2023 08:00
Faro di Posizione.​ Un tè tra poetesse: Louise e Vivian

Muore a ottanta anni la poetessa e saggista americana Louise Glück, premio Nobel per la letteratura nel 2020. Muore di cancro nella sua casa di Cambridge in Massachusetts, la sedicesima donna insignita del maggiore riconoscimento mondiale per la sua musa così originale e immediata, elegante e colloquiale. Penso d’improvviso ad un’altra donna che ad ottobre ha vinto il premio Strega per la poesia, Vivian Lamarque con il suo L’Amore Da Vecchia edito da Mondadori. Vivian vive a Milano e continua a scrivere versi di una bellezza intima e profonda.

Apro la sua silloge, divorandola con gli occhi. Ecco i versi che leggo immediatamente: IO NON SONO MORTA IO SONO NATA (il 19 aprile 1946) e appena giù in corsivo: “Oh il mare delle belle sere d’estate! Mare, mare, voglio dirti una cosa prima dell’eternità.” Una strana coincidenza. Durante questo mese di ottobre, desidero celebrare due donne così apparentemente lontane eppure impigliate nell’affine splendore dei loro versi.

Dire addio è un rito difficile, anche a chi sopravvive nell’eternità di ciò che ha donato al mondo con la propria scrittura.

Ho bisogno urgente di parlare con entrambe. Sento questa morte ingiusta e provo una gioia infinita per Vivian. “Nessun rumore nessun funerale come quando un ago di pino cade dall’albero di natale.”

Vivian pare rispondermi così con i suoi versi. Perché fare rumore? Un silenzio profondissimo avvolga adesso il nostro addio alla poetessa che ha vinto il Nobel. Louise mi sorride tra il melo nel suo cortile. Sembra risucchiarmi la sua poesia: “C’era un melo nel cortile- saranno forse quarant’anni fa- dietro, solo prati. Ciuffi di croco nell’erba umida. Stavo a quella finestra: fine aprile. Fiori di primavera nel cortile del vicino. Quante volte, davvero, l’albero è fiorito nel giorno del mio compleanno, il giorno esatto, non prima, non dopo? L’immutabile al posto di ciò che si muove, di ciò che evolve. L’immagine al posto della terra inarrestabile. Che cosa so di questo luogo, il ruolo dell’albero per decenni preso da un bonsai, voci che vengono dai campi di tennis- Terreni. L’odore dell’erba alta, tagliata di fresco. Quello che uno si aspetta da un poeta lirico. Guardiamo il mondo una volta, da piccoli. Il resto è memoria.”

Vivian e Louise sono nate entrambe ad aprile. Ad ottobre entrambe si parlano qui, dentro le mie riflessioni. Invitate a prendersi un tè come amiche di sempre. Louise dall’eternità del suo mondo visto forse solo una volta con occhi autentici, da piccola. Vivian con la sua felicità bimba mentre sorridendo tiene il premio Strega tra le mani. La vita è come un filo da ricamo: “Finito, già finito l’incantato tempo dei rami in fiore? Come quando sul più bello del ricamo finisce il filo da ricamo?”

E Vivian a dirlo. Voracemente il tempo divora tutto. Quei quaranta anni trascorsi in un solo istante, nella poesia di Louise lo ribadiscono senza possibilità alcuna di fuga. E’ strano come tra le due poetesse vi siano così segreti e profondi richiami. Entrambe per sensibilità poetica mi sono care. In Vivian è costante il senso della ricerca di un ritorno alle radici, a ciò che appartiene per origine biologica e d’anima, sopito in una infanzia lontana e segnata da un abbandono precoce, da una famiglia che si affianca ad un’altra e come fossero scatole cinesi ad un’altra ancora.

Una ricerca intima che si confronta con il dolore, la nostalgia, la stanchezza di una carezza rimasta sospesa e la gioia improvvisa e fervida di un mondo generoso nel suo incanto quasi fatato. Vivian scrive fiabe per piccoli, è educatrice e docente di italiano per stranieri. Vive per il mondo dei bimbi e degli adolescenti. Resta forse un po’ bimba anche lei nel suo donarsi generoso e senza riserve, estranea alle logiche spesso spietate, ciniche, opportunistiche degli adulti. Non abbastanza, non troppo, non sono misure da poeti.

E in quel suo L’Amore Da Vecchia, è sovversiva una provocazione ingenua: “può l’amore invecchiare? Può divenire adulto? Può un poeta spegnersi senza disseminare il suo splendore ingenuo e saggio nel mondo?” Uno splendore nitido, semplice. Lo splendore del quotidiano. Sì, fatto di oggetti di uso comune, di elementi del cosmo: “erbe, fiori, campi, uccelli, cielo, volti, anime sottratte al tempo che fu. Da Leopardi a Emily Dickinson, a Pier Paolo Pasolini, a Gozzano, a Saba, a Caproni.

Una poesia che con pacata tenerezza abbraccia tutto. Passato, presente e futuro. Senza fragori vertiginosi. Louise è nata appena tre anni prima di Vivian, nel 1943. Tre anni cronologici tra le due e due continenti lontanissimi fra loro. L’America dialoga con l’Europa. Le due poetesse raccontano nitidamente lo splendore di un addio che si approssima per entrambe. Lo fanno con semplicità disarmante, senza alcuna paura. Dall’addio alla nostra Louise, straziante per chiunque sopravvive a chi se ne va, rivolgo lo sguardo commosso sul viso “anziano” e teneramente “bimbo” della nostra Vivian.

Anche Louise canta ciò che avviene tra le mura domestiche e rende protagonisti dei suoi versi oggetti di uso quotidiano. Louise viene paragonata ad Emily Dickinson per la sua musa così intima e personale. Vivian dedica ad Emily una poesia dolcissima nella sua ultima silloge: “Quando entrai nel tuo giardino era tutto fiorito di cosmee vietato cogliere pensai. Ma poi- le colsi! Prezioso bottino! Ma poi- sulla tua tomba pensai non sono mie sono tue e molto a malincuore te le resi. Ma poi- poi a mani vuote pensai e io? E a me cosa resta? Allora dalla tua tomba strappai un’erbetta con zolla e in Italia mi portai lei, ecco.

Ma poi- sopravviverà pensai? Per sicurezza appena arrivate le feci una fotografia e poi le lessi una tua poesia.” In Mattutino di Louise cogliamo la pacata saggezza raggiunta dalla poetessa che riflette sulla storia universale dell’uomo su questo pianeta. In una intima confessione a Dio, quasi una chiacchierata informale con il Padre irraggiungibile ecco la verità profonda: “Sapevamo solo che non era natura umana amare solo ciò che restituisce amore”.

Potessimo amare così. Nessuno strazio mai, nessuno strappo, nessuna ferita, nessuno addio. Forse nessuna poesia. Allora il canto matura e si dona solo perché una ferita si insinua silente, una lacerazione, una perdita, una incomparabile dismisura esiste tra ciò che eravamo e ciò che siamo, tra quel mondo visto solo una volta da bambini e il mondo consunto e impresso nello sguardo da vecchi, tra quel melo che continua a fiorire e noi che lentamente ed inesorabilmente sfioriamo. Ecco la bellezza senza alternativa.

Sì la poesia, mie care amiche poetesse deve essere questo. Finito il tempo del tè, riprendo in mano la silloge di Vivian e leggo: (…) “inventa ancora un poco ti prego che ci credo. Bucami iniezione d’illusione, che due più due non faccia quell’esiguo totale che in gabbia non stia già cadendo dal suo filo quel press’ a poco amare, sosia dell’amare.” Continuiamo a tessere bellezza con le parole, con sillabe sincere e pulsanti. Continuiamo a credere che mai quel quasi amare sia amare.

Non abbastanza, non troppo, non sono misure da poeti. Lo avete cantato con le vostre vite trapunte e trafitte da versi. Lasciate adesso che lo possa raccontare io a chi legge che la poesia come la bellezza non ha alternative.

Bia Cusumano 

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