Faro di Posizione: ​Nodo Otto

Bia Cusumano scrive un racconto dedicato a tutti i figli mai nati ma per sempre amati

Redazione Prima Pagina Castelvetrano
Redazione Prima Pagina Castelvetrano
04 Gennaio 2025 10:00
Faro di Posizione: ​Nodo Otto

Era la prima volta che parlavano di Rita, la bambina mai nata. Seduti al tavolo della cucina, davanti una tisana calda, curcuma e miele, biscotti e candele accese. La musica di sottofondo. Come ogni volta perché certi riti non cambiano e sono i riti le trame delle storie. E per la prima volta, si guardavano con fraterna e intima dolcezza. Nessuno slancio di passione ma l’immensa consapevolezza che il loro amore aveva cambiato rotta violentemente come se uno tsunami si fosse abbattuto su di loro e li avesse sconquassati, divelti, strappati e sperduti.

Poi con ferocia disumana erano stati scagliati su sponde opposte pur della stessa isola. Giada come una mamma orsa si era messa alla ricerca disperata del suo amore e per anni indicibili aveva battuto l’isola, passo dopo passo, roveto dopo roveto, tempesta dopo tempesta, attraverso lo scirocco di fuoco, il ghiaccio siderale e il sole rovente. Erano rimasti orfani di un amore che sarebbe vissuto per sempre. Dopo giri di vita infiniti, lacerazioni, strappi, sangue a fiotti, incubi, pianti, fame, sete, paura, Giada aveva ritrovato il suo Luigi.

Lui all’inizio non ricordava più nulla di loro se non l’eco di una voce calda, se non le sue mani curate e gli occhi da cerbiatta. Luigi nello tsunami era stato fagocitato da un altro amore insano e nella illusione disperata che ci fosse la possibilità di andare oltre la storia con Giada, si era lasciato sedurre e condurre in un oltre di finzioni cangianti e colpevolizzazioni subdole. Dinamiche così perverse e tossiche che si era avvelenato corpo e anima. Nello tsunami aveva creduto che Cinzia potesse essere la risposta, la donna salvifica con cui costruire un futuro e una famiglia. Eppure, nel profondo aveva sempre saputo non potesse essere così.

Perché aveva voluto mettere a tacere quella vocina che ogni tanto riaffiorava dagli abissi della sua anima? Oggi se lo chiedeva con insistenza. Voleva amare ancora, essere felice ancora, sperimentare cosa vi fosse oltre le colonne d’Ercole. Con tutta la pazienza e la tenacia del mondo, Giada l’aveva afferrato e salvato dal baratro. Lo aveva aiutato a riemergere lentamente dalla melma. Avevano attraversato l’inferno insieme già due volte. Quando molto tempo prima Giada si era ammalata di una grave infezione polmonare e nell’ultimo anno dopo la fine atroce dell’amore di Luigi con Cinzia.

Negli inferni reciproci, entrambi c’erano stati. Giada con la sua tenacia incrollabile, il suo amore saldo e la sua pazienza da mamma orsa. Luigi con il suo amore fatto di poche parole, di gesti pacati, di sguardi profondi. Ora, sopravvissuti a tutto e tutti, erano l’uno di fronte l’altra in un nuovo percorso di consapevolezze e intima condivisione. Si guardavano con la tenerezza di un bene che aveva superato le fiamme, i giudizi, le colpe, il silenzio, la guerra fredda, il dialogo amputato, le chimere e le menzogne.

Erano liberi dopo anni di leggere la trama di ciò che era stato e di potere parlare anche di Rita, la bimba mai nata ma che entrambi avevano concepito nei desideri e nei sogni. La bimba frutto del loro amore che restava impinta tra pelle e respiri. C’era voluto tutto l’amore del mondo per dare un nome alle cose, per ricomporre le ferite, i tradimenti, i rinnegamenti, gli errori e mettere a posto le tessere. Ora entrambi avevano nei loro giorni delle altre presenze. Vi era un altro uomo tra le mille cose di Giada, un’altra donna tra i mille impegni di Luigi.

Altre strade da percorrere con passo lento, senza più la smania di negare ciò che era stato, di demolire e sventrare. Senza più la paura di sbagliare. Ricomporre era il sigillo di quell’anno. In quel pomeriggio di pacificazione interiore, Rita era stata lì tra loro. Sarebbe stata sempre tra loro, perché certi figli non li partorisci con l’utero ma con il cuore. Così Rita avrebbe avuto sempre “lo stare pensoso al mondo” del padre e la vulcanica creatività della madre, il sorriso malizioso di Giada e lo sguardo malinconico di Luigi, la volontà ferrea del padre e i sogni arditi della madre.

Sarebbe rimasta sempre scritta nelle pagine delle loro vite e dei loro libri. Rita, la bimba mai nata era la prova che l’amore vero sopravvive a tutto, anche alla sua stessa fine, alla sua stessa miracolosa trasformazione in altro. E altro erano diventati. Alleati e complici, amici e compagni di viaggio. Il mistero di come questo fosse stato possibile non è dato saperlo a nessuno, forse neanche loro si erano mai resi conto di quanta bellezza fossero riusciti a creare oltre la fine del loro amore.

Giada l’abbracciò teneramente come si fa con un figlio e un fratello. Luigi era ancora pieno di lividi e alcuni facevano male. Giada era sempre stata una ottima “Kurandera”. Lei soltanto sapeva come fare. Vi sarebbe sempre stato al mondo un posto sicuro in cui rifugiarsi, in cui sostare, prendere respiro, parlare, essere accolti, compresi, in fondo amati nell’accezione più pura del termine. Ormai Luigi ne aveva acquisito profonda consapevolezza. E Giada avrebbe difeso sempre quei momenti in cui esistevano solo i loro profondissimi sguardi e il loro dirsi tutto senza colpe né giudizi. Lo tsunami era il ricordo di un trauma terribile per entrambi.

Se non fosse stato per Cinzia, oggi sarebbero stati insieme e avrebbero donato un corpicino alla loro bimba. Luigi sarebbe stato un padre dolcissimo e Giada avrebbe avuto sempre le stesse carezze per il suo uomo dal cuore di vetro. Finalmente erano riusciti a dirselo con serenità e saggezza. Erano divenuti adulti. Erano riusciti a partorire un sentimento nuovo che non cadeva più negli spasimi e tormenti del tempo ma nella grazia di un “Altrove” solo loro. Un “TuttoMondo” ricomposto, un luminoso tempio senza porte e finestre da cui entrare ed uscire. In cui stare a guardare il cielo che conteneva altre costellazioni, altri sogni e desideri.

Si guardarono con la tenerezza dei sopravvissuti, con la dolcezza di chi si amerà in altra forma per tutto il tempo a venire e amerà anche ciò che non è stato. Perché l’ultima fase di ogni amore è amare anche il non detto, il non compiuto, il non vissuto. E’ in quel “non ancora” che vive ogni amore fatto di grazia che salva dal “mai più”. Erano stati oltre le colonne d’Ercole. Erano ritornati a sedersi sulla stessa sponda della stessa isola e da lì avevano visto tutto con chiarezza dopo tanti anni. Rita giocava sulla sabbia facendo castelli con le sue piccole mani. Luigi la guardava come si guardano i miracoli. Giada scriveva versi di incanto su fili colorati che lasciava dondolare al vento fresco che giungeva dal mare. Era un nodo otto quello che legava tre anime e due corpi in un'unica trama d’amore.

“Fai buon viaggio - disse Giada - sulla soglia della porta d’ingresso e se puoi, fai una preghiera per me.”

Luigi partiva per un viaggio di lavoro, uno dei suoi tanti convegni in giro per l’Italia. L’aereo era all’alba l’indomani e conoscendolo bene doveva ancora prepararsi la valigia. La richiesta di una preghiera gli era scivolata dentro tra le tante cose che s’erano detti. Non ci aveva fatto poi tanto caso. Giada non aveva avuto il coraggio di confessargli che aveva un tumore all’utero. Era stato così puro quel loro pomeriggio di ricomposizione che non aveva voluto inquinarne neanche un attimo.

Era ammalata da tempo. Non lo sapeva nessuno. Non voleva risucchiare Luigi in quel dolore che tranciava il futuro. Voleva restare vigile e attenta fino alla fine. E la fine non poteva essere fatta di lacrime e angoscia. Doveva essere trapunta di tisane, candele, musica classica, confidenze, sogni, progetti. Voleva restare attaccata alla vita fino all’ultimo respiro e voleva che Luigi fosse felice. La sua felicità era stata sempre più importante della sua. Avrebbe continuato a guardarlo con commozione e orgoglio.

Gli avrebbe fatto trovare nel cassetto della connessione, panini con bresaola e scaglie di grana, dolcetti e succhi di frutta, libri e penne colorate, finché sarebbe andata in reparto a lavorare. Poi forse gli avrebbe scritto una lettera e l’avrebbe lasciata nel cassetto. L’ultimo dono. Ormai i nodi erano quasi tutti sciolti. L’amore li aveva salvati a prescindere e Rita sarebbe restata sempre il loro nume tutelare. La bimba mai nata ma sempre amata.

“Certo che farò una preghiera per te - aggiunse Luigi - rimettendosi il cappotto blu.”

“Ci rivediamo presto in reparto, ci aspettano così tanti progetti e seminari, sarà un anno esplosivo ma ce la faremo come abbiamo sempre saputo fare. Ormai siamo approdati Giada e davvero tu mi hai afferrato e salvato la vita. Sono state parole profetiche quelle che dissi in tempi non sospetti. Grazie. Ti voglio bene, mio Faro.”

Giada ha raggiunto Rita nel posto in cui vive tutto l’amore che fu, tutto l’amore che è e sempre sarà. Non è una storia a lieto fine ma è l’unica possibile per chi come Luigi, Giada e Rita hanno saputo creare in questo folle mondo, un altro parallelo intessuto soltanto di luce, bellezza e amore. Un “TuttoMondo” di cui solo loro conoscono il senso e il mistero.

Un nodo otto che nessuno saprà mai sciogliere.

Bia Cusumano

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