Faro di Posizione: Le maschere della Burocrazia

Debutta oggi la rubrica Faro di Posizione curata da Bia Cusumano, riflessioni in libertà per stimolare le intelligenze

Redazione Prima Pagina Castelvetrano
Redazione Prima Pagina Castelvetrano
14 Febbraio 2023 19:00
Faro di Posizione: Le maschere della Burocrazia

Racconto storie, ma questo fanno gli scrittori. Il mondo si fonda e si crea sulle parole. Se non avessimo le parole, brancoleremmo in uno stato di incoscienza vegetale. Pare che sia un tempo però in cui il senso etico delle parole, la loro connessione intima con la verità e la profondità del sentire nostro e altrui si stia liquefacendo sempre più. Le parole radicano a valori, ideali, sogni, destini, rotte. Gli intellettuali e gli scrittori dovrebbero rivendicare la loro sacra appartenenza all’universo delle parole, quelle che orientano passi, segnano direzioni, sono fari di posizione. Luci ferme che non si spengono mai, non si inclinano e distorcono assecondando la direzione dei venti. Luci che non si fanno intimidire dalla presunta colpa del dire. La storia che vi racconto nasce da un dialogo immaginario tra una docente di Liceo e una collaboratrice scolastica.

Finiti gli ultimi consigli di classe a scuola, in una giornata fredda di febbraio, la signora Maria si avvicina alla professoressa Rita che completamente assiderata, poiché nelle scuole i riscaldamenti si accendono poco, sempre che si accendano, le rivolge queste accorate parole: “Professoressa ma davvero non possiamo chiudere per questi giorni in cui c’è il Carnevale, per fare una sanificazione di tutti i locali, dopo anni di Covid in tutte le sue varianti possibili e dopo l’influenza australiana che ha decimato alunni e tutti noi? Dopo anni in cui di normalità si è persa ogni traccia? Noi siamo disposti ad autotassarci! A comprare tutti i prodotti necessari, a venire qui in quei giorni di chiusura per pulire tutto. Non chiediamo soldi all’Amministrazione. Non chiediamo nulla!”

Rita guarda la signora Maria e con un sorriso amaro, risponde: “Non è un problema di soldi, il primo cittadino già sa che le spese sarebbero a carico della nostra scuola”. “E allora? - la signora Maria incalza - quale è il problema?” - “La burocrazia, signora Maria, la burocrazia!”. Rita, pensierosa si avvia verso l’uscita del Liceo portando con sé quelle parole. Una morsa al cuore. Quelle parole meritano ascolto. La prima considerazione che fa salendo sull’ auto è: come si è potuti giungere a considerare un diritto, ovvero la pulizia, la sanificazione, la disinfestazione di locali pubblici come quelli scolastici con centinaia di alunni, figli nostri che vivono lì per tante ore della loro giornata come fosse un favore da elemosinare? Un favore da chiedere disposti perfino ad autotassarsi, come se le tasse non si pagassero? Come se fossimo cittadini abusivi in una città che pretende solerte correttezza nel pagamento di ogni servizio erogato, ma che di servizi ne offre davvero pochi per mancanza di fondi.

“Non ci sono soldi” è il mantra che accompagna ormai ogni Amministrazione Comunale o quasi tutte. E allora niente riscaldamenti a scuola e i nostri figli al gelo con coperte, guanti, cappelli, seduti per ore e ore in lunghe mattinate in cui si insinua nelle ossa e nelle viscere più l’abisso del freddo che il desiderio di apprendere. Niente soldi e quindi niente sapone e carta igienica nei bagni delle nostre scuole. Niente soldi dunque niente aiuole pulite attorno agli edifici scolastici, con l’incuria devastante di cumuli di immondizia e erbacce che crescono ovunque.

Niente soldi e pertanto niente fotocopie, niente toner, niente carta. Costa tutto troppo, non è possibile. Siamo così abituati e assuefatti alla mancanza del rispetto di ogni diritto sancito dalla Costituzione Italiana che riguardi l’istruzione e la cultura che al muro della resa siamo giunti tutti o quasi. Alla prima triste riflessione, Rita rientrando verso casa ne aggiunge un’altra. Come è possibile che la burocrazia si rimpalli le responsabilità e non riesca ad ascoltare le esigenze dei cittadini? Dirigenti, docenti, collaboratori scolastici, famiglie, alunni, tutti invocano un'ordinanza di chiusura per tre giorni e non può essere concessa per permettere di armarsi di disinfettanti, scope, secchi, moci, stracci e infinita buona volontà per pulire quei locali in cui noi tutti viviamo ogni giorno? Pulirli, non fare baldoria. Pulirli e disinfettarli a carico degli Istituti di Istruzione di ogni ordine e grado senza nulla chiedere, per carità, alle Amministrazioni perché soldi non ce ne sono.

L’inghippo dov'è? Da quando la burocrazia è diventata un freddo ingranaggio senza anima, senza volto, senza possibilità di ascolto e confronto? Da quando bisogna elemosinare il diritto di avere sanificati dei locali in cui non sono depositate zappe e arnesi per i campi ma vi abitano e respirano, si muovono e vivono bimbi che tutto toccano e portano alla bocca? Ragazzini vivaci che spesso non riescono a tenere pulito neanche il loro banco, figuriamoci uno spazio più grande? Adulti che vengono da diverse città, chi con mezzi pubblici, chi con i propri, portando con sé tutto il carico di un lavoro che passa da libri condivisi, registri e p.c.

comuni, penne scambiate, respiri vicini, corpi che si sfiorano, in un universo come quello scolastico che è un universo in transito, in perenne movimento, fatto da pendolari, da treni, autobus, veicoli? Un universo variegato ed eterogeneo incapsulato in aule sempre troppo piccole, per cui se aggiungi un banco, la cattedra puoi incollarla anche al muro? Un universo abitato da alunni che giungono da ogni dove e vanno ovunque? L’inghippo allora deve essere che l’igiene non sia una priorità, la salute neanche, la cultura e l’istruzione meno che mai.

L’ordinanza del Primo Cittadino arriva solo se l’Ufficiale Sanitario ratifica la necessità della sanificazione. I Dirigenti Scolastici possono chiudere gli Istituti solo se arriva l’ordinanza altrimenti è interruzione di pubblico servizio, perseguibile dal codice penale. L’Ufficiale Sanitario asserisce che non sia necessario il suo parere favorevole per la chiusura dei locali scolastici, perché il potere del Sindaco è superiore a quello di un semplice funzionario.

Pertanto nei cavilli e nei rimpalli di una burocrazia che è solo rigida e intransigente applicazione delle norme, senza possibilità alcuna di un confronto tra le cariche istituzionali sedute magari ad un tavolo per discutere delle reali condizioni in cui si ritrovano le strutture scolastiche pubbliche, tutti siamo piombati in un vicolo cieco senza possibilità alcuna di uscita. Non importa quante varianti ci siano state di Covid, quanti alunni, docenti e collaboratori si siano ammalati, non importa più quante mascherine abbiamo dovuto indossare, vaccini ci siamo dovuti inoculare, green-pass abbiamo dovuto esibire e controllare, quante autocertificazioni abbiamo dovuto compilare.

E chi in questa burocrazia folle e senza volto ne esce completamente triturato? No, non sono i funzionari, i burocrati, i sindaci, i dirigenti, i docenti, i collaboratori. Sono solo i nostri ragazzi, a cui abbiamo tolto tutto e imposto tutto e il suo esatto contrario. Prima era legge che dovevano indossare le mascherine ffp2, in alcuni casi le visiere, disinfettare il banco, le mani, le penne, i libri, stare ad un metro di distanza l’uno dall’altro, mangiare per ricreazione, ognuno rigorosamente seduto al proprio banco singolo.

Erano legge dosi obbligatorie di vaccini, altrimenti a casa. Oggi i nostri ragazzi possono stare appiccicati al compagno in classi “pollaio”, morire di freddo, portarsi scialli e coperte da casa e se cercano un po' di calore stringersi al compagno di turno, tanto non esistono più distanza di sicurezza, prodotti disinfettanti, banchi da igienizzare ad ogni suono di campanella, finestre da aprire per arieggiare i locali, pure in pieno inverno. E se poi ammassati e ammucchiati così si prendono l’influenza australiana o l’ennesima variante Covid non è più un problema di nessuno.

Tanto meno delle Istituzioni. In questo giro contorto di burocrazia, non riusciamo più a comprendere che in quelle classi non vive materia inerte, ma vivono i nostri ragazzi che sono figli nostri e hanno diritto a vivere in locali riscaldati, puliti e decorosi. Nessuno fa loro un favore o tanto meno un gesto di elemosina. E’ un loro diritto. Da quando non sentiamo più appartenere a noi, ormai divenuti meri funzionari di uno Stato irraggiungibile e non più uomini e donne, i sogni, i bisogni, i desideri, le necessità degli altri? Da quando abbiamo creduto che la legalità sia questa rigida applicazione delle norme senza possibilità alcuna di ascolto dell’altro, quando poi giriamo lo sguardo altrove su tante cose storte e distorte che non vanno e continuano a non andare nella nostra città? La legalità deve essere garantita in tutto.

Sminuzzata in parti e lì dove fa meno male esporsi o è più comodo, non penso si possa chiamare legalità. E da quando gli intellettuali e gli scrittori hanno i bavagli alla bocca e non prendono parte ad un dialogo-confronto cittadino che possa indurre magari a riflettere e a mutare prospettiva? Ognuno rintanato e rinchiuso nella propria nobile torre di piombo, è divenuto insensibile ai disagi della collettività? Da quando fare un convegno o pubblicare un libro è eticamente più onorevole che ascoltare le parole, le richieste e i bisogni dei propri concittadini? Da quando gli intellettuali non sono più fari, luci di riferimento, custodi vigili, sentinelle di questo mondo che rotola sull’abisso giocando a perdere la sacralità di tutto e celebra l’essenza del nulla, dietro le maschere della burocrazia?

Rita parla con tutte le parti in causa. Comprende amaramente che non vi sia volontà alcuna per trovare una soluzione. Creonte ha la meglio nella sua rigidità inappellabile e Antigone resta inascoltata, perché la legge del cuore fa a pugni con la legge di uno Stato disumanizzato. La professoressa custodisce le parole di Maria nel profondo delle sue fibre. La collaboratrice scolastica è la voce genuina di un bisogno collettivo. Rita le promette che scriverà. Forse la storia non cambierà il finale di una vicenda cittadina, ma come ogni storia anche questa è chiave, porta di accesso, trampolino di riflessione, momento di introspezione e attivazione di pensiero.

Ecco a cosa serve scrivere storie: a pensare, riflettere, prendere posizione nel mondo, a scegliere da che parte stare. Possiamo sempre raccontarci che vada tutto bene o possiamo prendere consapevolezza e dire che non va per nulla bene che il diritto passi per favore. Che necessiti elemosinare per ottenere ascolto e che la burocrazia abbia perso ogni tratto di umanità.

E’ solo una storia, tranquilli. Nella nostra città tutti ascoltano l’altro e hanno a cuore il pensiero, i disagi e le necessità altrui. Nessuno giudica, nessuno banalizza, svilisce, umilia, sabota, inquina. Nessuno mette alla gogna, punta il dito, si scandalizza. Nessuno è burocrate arido e senza volto e tutti sono rimasti meravigliosamente umani. Gli intellettuali sono fari di posizione. Non sono in competizione l’uno contro l’altro. Pensano che per brillare non sia necessario mettere in ombra o ancor peggio sporcare l’altro. Anzi amano brillare insieme, fare rete, squadra, lavorare in sinergia. Nessuno di loro è affetto dalla sindrome del più bravo della classe. Collaborano, scrivono su rubriche comuni, si confrontano, si impegnano costantemente per difendere i diritti dei loro concittadini, se mai ce ne fosse bisogno.

Maria si rivolge alla professoressa qualche mattina dopo, appena la vede arrivare a scuola e le dice: “Professoressa, la burocrazia, di cui parlava lei, questa volta ha fatto un passo indietro o avanti, non so, ma è arrivata l’ordinanza del Sindaco, per cui, per favore, provveda a far passare per le classi in cui ha in programma di andare, la circolare della Dirigente. Si chiude per tre giorni. Noi saremo tutti qui a pulire, abbiamo fatto le scorte di prodotti disinfettanti. Ne siamo ben felici. Che fa lei professoressa Rita in questi giorni?” – “Io? - signora Maria – scriverò, glielo avevo promesso! Poi, passerò ad aiutarvi se vuole, una mano in più fa sempre comodo. Il bene di ciascuno è il bene di tutti, no?”

Bia Cusumano 

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