Faro di Posizione.​ ​Anime sole, la domenica del pianto

La docente e scrittrice Bia Cusumano ci racconta il dolore per le giovani vite spezzate nel mare di Marinella

Redazione Prima Pagina Castelvetrano
Redazione Prima Pagina Castelvetrano
29 Ottobre 2023 18:27
Faro di Posizione.​ ​Anime sole, la domenica del pianto

Morire così. Tra terra e mare, in una fuga spezzata dalle onde adirate. Morire senza una mano che si tende, una carezza sul volto tumefatto dal collasso degli organi interni. 

I polmoni cedono. I corpi inerti travolti dal vento, forse galleggiano un po', poi si mischiano tra le correnti, vanno a fondo. Li getta come spugne compresse d’acqua salata sulla battigia tra notte e alba, il mare mediterraneo. Cinque corpi sulla spiaggia, cinque ragazzi senza più vita.

E’ un attimo e li vedo. Un collega mi scrive: “Quella spiaggia in cui andavo a farmi le passeggiate, i tuffi, le chiacchierate spensierate con gli amici, quella spiaggia ormai non sarà più la stessa”. Ci sono le loro impronte impresse sulla sabbia. Dieci impronte di nostri “possibili” figli. Impronte invisibili ma che pesano come macigni sulle coscienze. 

E’ una domenica di lutto per la mia città. Perché lo sbarco dei profughi clandestini, doveva avvenire proprio tra Selinunte e Porto Palo, lungo il nostro litorale. Che espressione aberrante, profughi clandestini! Dentro queste parole che rimbalzano da testata in testata, vi sono vite umane, nomi, cognomi, anni, sorrisi, sguardi d’intesa, sogni, speranze, paure. Vi sono vite di esseri umani. Alcuni ormai corpi inerti. Ancora molti dispersi in mare, riportano le notizie di cronaca. 

Alcuni dopo giorni di navigazione su una imbarcazione di fortuna, approdati sulle nostre spiagge, senza alcun soccorso, sono fuggiti. Adesso complici di un dramma angoscioso, chissà dove sono. Chissà se hanno potuto bere, mangiare, ripulirsi il corpo e indossare abiti puliti. Chissà se avevano chiacchierato con i ragazzi che non sono sopravvissuti. Certo, durante quei tre giorni di sospesa speranza si saranno fatti coraggio a vicenda, avranno pregato il loro Dio di salvarli, avranno prima gioito per essere fuggiti, poi pianto d’ansia, paura, disperazione. Avranno imprecato, urlato quando forse l’imbarcazione perdeva il controllo, andava in avaria, incamerava acqua, si capovolgeva. Quando forse pensavano di morire annegati pure loro. 

Rendiconto provvisorio della tragedia: 5 morti, 31 fuggiti e rintracciati tra Menfi e Castelvetrano, altri possibili dispersi. Dati, numeri e poi alcuni volti, corpi, nomi. Quella spiaggia non sarà più la stessa. Rimbomba nelle mie orecchie, la voce del mio collega. Una mia cara amica mi scrive che la Croce Rossa ha organizzato i turni di veglia presso l’obitorio dell’Ospedale di Castelvetrano per i corpi senza vita dei ragazzi annegati. Sono anime sole. Non hanno madri, padri, fratelli, nonni, amici a piangere sui loro corpi strappati alla vita così presto, come fiori tumescenti e sparsi su un pianeta disumano.

Mi metto alla tastiera del pc, in una domenica di fine ottobre, in prossimità della sacra ricorrenza dei defunti. Macabra coincidenza. Avranno una tomba? - penso addolorata - avranno fiori, preghiere, lacrime? E i loro genitori lo hanno già saputo che non sentiranno mai più le voci dei loro figli? Lo hanno appreso che nessuno li ha potuti aiutare, salvare, soccorrere? Lo sanno già che non potranno più abbracciare i corpi dei loro ragazzi? Che non sentiranno più l’odore della loro pelle? Che nessun Dio vi era tra quelle onde? Non Allah, non gli Dei dell’Olimpo della nostra Acropoli.

Nettuno adirato infuriava nell’inferno dei viventi e Ade li accoglieva senza alcuna altra possibilità di fuga. Il Dio dei cristiani chinava il capo. Nessuna preghiera accolta in nessun cielo mentre qualcuno o qualcosa decretava la loro fine. Come potevano salvarli gli Dei di qualunque fede o confessione, se gli uomini loro stessi fratelli, li hanno consegnati ad una imbarcazione fatiscente?

Chissà quanto è costato il viaggio della morte. Forse i risparmi di una vita, così breve che non ha potuto estinguere il conto o forse lo ha estinto atrocemente così. Chissà l’ultima immagine impressa nelle loro pupille, ora senza sguardo, chissà l’ultimo nome invocato, chissà quanta disperazione prima di sprofondare in un sonno senza più risveglio. Troppe rabbiose e amare domande si accavallano nella mia mente in questa impietosa domenica di fine ottobre. Il tempo è così dolce e mite, stride con il dolore che sento.

La Sicilia dona generosamente cielo terso e sole. Forse alcuni di noi andranno al mare oggi, proprio a Selinunte. Un tuffo veloce per i nostalgici di una estate che non vuole finire. Una passeggiata presso la foce del Belice, in quella zona che tutti noi del luogo chiamiamo La Pineta. Spiaggia meravigliosa e ampia in cui prendere il sole, passeggiare, giocare a racchette, fare kitesurf, correre, leggere, scrivere. Sì, ma oggi è soltanto la Pineta del pianto.

Domani, con la memoria volatile e consumistica degli uomini, non so. Forse resterà solo uno sbiadito ricordo, una tragedia di cui parlare ogni tanto. Gli uomini troppo in fretta rimuovono, dimenticano, alzano le spalle, voltano lo sguardo altrove. Perché la vita deve continuare. Show must go on. Ma se fossero figli nostri, amici nostri, nipoti nostri, alunni nostri, davvero così volatile sarebbe il ricordo? Ci sono ferite che non rimarginano mai, che non guariscono, che non si dimenticano.

Perdite che restano oltre la vita che continua. “Che potevamo fare?” – “Chi poteva salvarli?” - “E la colpa di chi è?” - “Ma perché vengono a morire qua?”. 

Ecco altre frasi che ho sentito. C’ è un tempo solamente per piangere, senza cercare colpe, colpevoli e fare ragionamenti politici, economici, religiosi, filosofici. Adesso è il momento di tacere, piangere i nostri ragazzi, perché nostri sono. Piangere consapevoli che tanto avremmo potuto fare, tanto avremmo dovuto fare, tanto non abbiamo fatto. E’ un dovere etico di chiunque dica di essere un uomo e di avere una coscienza. Chiunque può porti un fiore a quei giovani che non hanno trovato una vita migliore nella nostra terra ma la peggiore morte che un essere umano possa avere. Soli, dispersi in mare, senza possibilità di una mano a cui aggrapparsi per tornare a respirare. E noi da scrittori, da giornalisti, da intellettuali, non possiamo non scrivere. Non alzare la nostra voce, non prendere alcuna posizione.

La scrittura è responsabilità civile, etica, morale. Almeno le parole possano oggi essere un sudario, un velo compassionevole, una preghiera laica, un abbraccio fraterno. Almeno questo a quei ragazzi glielo dobbiamo. Non li faremo tornare in vita, lo so, non ci è concesso riavvolgere il nastro. Da castelvetranese e da scrittrice non posso esimermi dallo scrivere. Sono straziata e impotente. Cosa posso fare? Sosto in silenzio e rivolgo il mio estremo saluto, il mio commosso addio a loro, anime sole, con le mie parole. Poi domani mi domanderò di chi sia la colpa. Gli uomini, ho imparato, hanno sempre bisogno di trovare colpevoli per sgravarsi la coscienza e sentirsi assolti da qualsiasi responsabilità. Ma almeno oggi no. Oggi è la domenica del lutto, della amarezza infinita, del pianto sincero e profondo.

Bia Cusumano

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