Aiuti Ucraina, la domanda è : non siamo razzisti o lo siamo?

Maria Elena Bianco e le riflessioni di una cittadina che guarda ciò che la circonda

Redazione Prima Pagina Castelvetrano
Redazione Prima Pagina Castelvetrano
27 Marzo 2022 08:35
Aiuti Ucraina, la domanda è : non siamo razzisti o lo siamo?

Ovunque si presti attenzione salta all’occhio e all’orecchio che non si parla più di covid ma, legittimamente si parla della guerra in Ucraina. E’ la guerra e siamo nel 2022 e fa paura e fa male, specie perché è vicino casa nostra. Questo comporta che negli spot pubblicitari, su WhatsApp, su tutti i canali arrivano messaggi di numeri di telefono, di iban bancari di richieste di aiuto per gli ucraini. Si chiede aiuto e gli italiani, i siciliani, i partannesi rispondono. Commuove il cuore colmo di solidarietà nei confronti di questi profughi.

In ogni città si stanno raccogliendo beni di prima necessità da mandare in Ucraina o beni che servono per aiutare le persone che stanno arrivando da noi per sfuggire al conflitto. Quindi il piano solidale si muove su due fronti: l’aiuto materiale “a casa loro”, che al momento è una casa di macerie e paura, e poi l’accoglienza qui da noi di chi è riuscito a scappare da quell’inferno. Singolarmente o in gruppo tutti si muovono per fare qualcosa. C’è in atto una sorta di corsa, un attivismo concreto e fattivo, una corsa che necessita anche di un sostegno legale per completare tutte le pratiche burocratiche per il soggiorno regolare nel nostro Paese, dal momento che gli ucraini sono extracomunitari.

Questa parola “extracomunitari” fa venire in mente tante cose, carrellate di immagini.

Extracomunitari sui barconi.

Extracomunitari in mare.

Extracomunitari nelle comunità.

Davanti a tutta questa solidarietà di oggi verso gli ucraini qualcosa mi fa prudere il naso, mi disturba, mi fa pensare. Ed eccomi qui a scrivere nero su bianco quello che penso. Di fatto vedo una tazza di porcellana perfetta ma rigata, scalfita. Siamo “brava gente” sempre? O alcune volte si ed altre no? Il popolo ucraino non è ovviamente il problema, casomai lo siamo noi. Noi e il nostro modo di essere degli ultimi 5, 6, 8 o 10 anni. Ci siamo sempre mobilitati così? Ci siamo sempre fatti trovare pronti e braccia aperte? No.

Non statevene lì a pensarci, no non ci siamo sempre comportati così. Di fatto talvolta abbiamo usato il silenzio, l’indifferenza, una chiusura netta, un palpabile egoismo verso altre vittime di altre guerre. Ci sono guerre di serie A e guerre di serie B? Ci sono vittime di serie A e vittime di serie B? Solo io penso a tutte quelle vittime che negli anni passati (passato recentissimo) hanno trovato mura invalicabili con cartelloni appesi “aiutiamoli a casa loro”? Anche in quel caso quelle erano persone, esseri umani fuggiti da orrori altrettanto atroci, altrettanto dolorosi, altrettanto orribili, persone che hanno perso casa, famiglie, affetti, anche la vita, tutto e sono state trattate con aria di sufficienza, con snobismo, con ostilità.

Oggi apriamo le braccia e accogliamo, ieri invece abbiamo alla politica e alla contesa elettorale quelle persone, le abbiamo respinte o ricacciate in altri inferni. So che lo pensate mentre leggete e quindi lo scrivo: l’Ucraina è vicina, è alle porte di casa nostra, è alle porte orientali dell’Europa…aggiungo vicino come lo erano i Balcani e l’Albania, la televisione vomita ogni giorno certe immagini e ci porta la guerra dentro casa. Per cosa lo fa? Per coinvolgerci. E perché a volte ci facciamo coinvolgere ed altre no? Dicono sia umano, sia normale.

E’ normale perché di alcuni conflitti si parla poco, troppo poco. Qualcuno dice che certi conflitti che coinvolgono o hanno coinvolto alcune zone dell’Africa, dell’Asia o del Medio Oriente sono troppo lontano da noi, troppo distanti, non ci vengono raccontati e quindi non ne vediamo gli effetti. Può darsi sia così, ma non è una giustificazione accettabile. Essere struzzi con la testa sotto la sabbia ci giustifica? Mi basta ripercorrere gli ultimi due decenni e pensare subito all’Iraq, all’Afghanistan, alla Siria, solo per citare quelle più note di cui la televisione ha mandato ogni possibile informazione e immagine.

Solo io ricordo certe immagini? Solo io ho visto immagini e ferite, il dolore di chi moriva scappando, i bambini profughi morti in riva al mare, il sangue, la paura, il terrore? Cosa è cambiato oggi rispetto ad allora? Perché oggi questa guerra ci tocca e le altre no?

Ieri non si è attivato quello sforzo che oggi vediamo. A loro, extracomunitari come gli ucraini, abbiamo offerto solo burocrazia, a loro non abbiamo dato le nostre case, perché li abbiamo etichettati come pericolosi, delinquenti, potenziali terroristi. Sbaglio? Di loro abbiamo avuto paura. A loro non abbiamo dato speranza, né ascolto né ovviamente futuro, non abbiamo curato le ferite, non abbiamo accolto i loro figli, non abbiamo dato medicine ne prodotti igienici, ne vestiti.

Perché questo diverso trattamento? Può bastare la giustificazione dei conflitti lontani? Umanamente no, non può bastare. Non prendiamoci in giro. Al netto del cuore sincero di tante persone perbene che conoscono quella solidarietà la mettono in atto sempre, ogni giorno, in qualunque occasione e verso tutti, ci sono anche persone che per gli ucraini provano razzismo.

Cerchiamo di guardare il tutto con lo sguardo giusto. Gli ucraini sono bianchi, cristiani e sono percepiti come europei, dichiamocelo. La nostra pelle ci dice che sono brave persone, sono soprattutto donne o famiglie con bambini. Gli altri profughi, invece? Sono neri o olivastri e, anche quando sono famiglie con bambini, rimangono neri e olivastri, possibilmente di religione musulmana, e sono percepiti negativamente solo perché nel profondo della nostra cultura persiste una logica razzista, che ci piaccia o no, che esca a galla oppure no. Quindi a loro nessuna casa, nessun aiuto, nessun bonifico.

Perché ho avuto il bisogno di scrivere tutto questo? Perché penso, perché dubito, perché ragiono, perchè mi voglio capire. Mi accingo a concludere questo pezzo che mi fa soffrire mentre lo scrivo con una certezza nel cuore: io spero che gli ucraini abbiano tutta l’accoglienza necessaria e spero che tutto presto finisca per loro, spero per loro il rientro in patria, nelle loro case. Un’altra speranza che ho è che come me altri ragionino su certi atteggiamenti, si vergognino se sentono tale emozione, spero che questa guerra ci educhi anche per le altre di guerre.

Dobbiamo pur trovare il modo per essere migliori e metterci in discussione su ciò che crediamo di non essere. Non ci sono guerre di serie A e guerre di serie B, ci sono guerre e vittime che vanno abbracciate e accolte. Oppure coerenza e porte chiuse per tutti. Mettiamo il naso fuori dalla retorica e non facciamo le pecore. Usiamo questo momento di solidarietà per capire quanto è profonda la nostra sincerità. Comprenderlo come genitori, come insegnanti, come esseri umani, come persone cattoliche, come laici, come comunità.

Maria Elena Bianco

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