Storia Della Nascita Della Normativa Per Contrastare Le Infiltrazioni Mafiose Nelle Istituzioni (II Parte)

Redazione Prima Pagina Castelvetrano
Redazione Prima Pagina Castelvetrano
18 Aprile 2018 08:50
Storia Della Nascita Della Normativa Per Contrastare Le Infiltrazioni Mafiose Nelle Istituzioni (II Parte)

Prosegue l’inchiesta della nostra Elena Manzini sulla storia della normativa per contrastare le infiltrazioni mafiose. La prima puntata è apparsa nella giornata di sabato, se ve la siete persi la potrete rileggere al seguente link: https://www.primapaginacastelvetrano.it/storia-della-nascita-della-normativa-per-contrastare-le-infiltrazioni-mafiose-nelle-istituzioni-i-parte/ Seconda parte E’ con l'attivazione del "Collegio degli Ispettori" (legge n.

203 del 12 luglio 1991) nominati dal Prefetto ed il potere a quest'ultimo di sottoporre a controllo le delibere delle Giunte in materia di contratti, che si estende la possibilità di combattere le irregolarità e le indebite interferenze negli appalti degli Enti pubblici da parte del potere mafioso. Grazie ad una normativa specifica dello stesso anno che è concesso lo scioglimento di apparati elettivi per infiltrazione, condizionamento da parte della criminalità organizzata. Perché aspettare così tanto tempo? Perché proprio nel 1991? E non prima, visto che il fenomeno Mafia è antico rispetto alla storia d'Italia? Forse perché si preferisce "lavorare in emergenza" anziché prevenire? Forse perché talvolta per sollevare dei polveroni è meglio attendere fino a quando non scoppia qualcosa di clamoroso? Sta di fatto che è stato ed è tuttora un susseguirsi di riforme, controriforme, aggiunte alle riforme....

Se nel 1982 dopo l'uccisione del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, Prefetto di Palermo, aveva indotto la politica finalmente ad approvare la legge che consentiva di intervenire nei confronti dei patrimoni illeciti accumulati in virtù delle attività criminose e della forza intimidatrice derivante dal vincolo associativo mafioso; i fatti delittuosi cavallo tra gli anni ’80 e ’90, che avevano trasformato Taurianova nel teatro di una degli scontri più sanguinari tra le cosche di ‘ndrangheta, a seguito dello sgomento e della pressione dell'opinione pubblica vi fu l'introduzione della normativa inerente gli Enti locali inquinati dalla mafia.

E fu e continua ad essere un susseguirsi di scioglimenti, quasi fosse la via meno impegnativa da intraprendere. Con l’art. 15 bis della legge 55/90 integrata dalla n. 221 del 22 luglio 1991, viene introdotta la possibilità di sciogliere gli organi ordinari degli Enti locali in caso di manifesta infiltrazione mafiosa o condizionamento da parte della stessa. Ad essere puntigliosi la norma è una sorta di deroga ai principi della democrazia ed alla autonomia locale: a  mali estremi, estremi rimedi….verrebbe da dire….Anche perché i principi su cui si basa lo Stato sono quelli della sicurezza pubblica e della tutela dell’ordine.

Come non pensare a questo punto all’attualità: Castelvetrano, comune commissariato per infiltrazione mafiosa, dove i principi menzionati sembrano appartenere ad un altro mondo. Sicurezza pubblica non è solo il modus operandi dello “Stato” per garantire la lotta alla Mafia bensì anche tutte quelle azioni e misure che vanno oltre la Mafia. Cosa che a Castelvetrano da parecchi mesi non pare accadere…anzi. Ritornando all’art. 15 bis, possiamo dire che prevede interventi sanzionatori, la cui finalità è l’eliminazione di situazioni particolari in cui un governo locale è assoggettato ad “anomale” interferenze che vanno ad alterare ed incidere sulla sua azione in modo legale.

La legge 55/90 non era priva di lacune. E’ così che i legislatori con il successivo D.L. n. 529 del 20.12.1993, convertito in legge n. 108 dell'11.2.1994 tentano di integrare la normativa prevedendo opportuni e necessari strumenti di intervento. Una frase in particolare le istituzioni dovrebbero tenere in considerazione, contenuta nell’art. 159 del D.Lgs. n. 112 del 31.3.1998 che, a proposito di “sicurezza delle Istituzioni, dei cittadini e dei loro beni”, “complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari su cui si regge l'ordinata civile convivenza della comunità nazionale”.

Se il concetto di ordine pubblico è ancorato a canoni oggettivi, la sua lesione è causa di provvedimenti straordinari, giustificati dal perseguimento di un obiettivo fondamentale nella vita di uno Stato: garantire l’ordine, ovvero “garantire la sussistenza delle condizioni di pacifica convivenza civile”. Come è dato notare, la norma non ha lo scopo di reprimere condotte criminose ma tutelare la collettività affinché la vita amministrativa si svolga in maniera democratica ed autonoma.

Essendo la sua “ratio” focalizzata sulla prevenzione sociale a difesa delle Comunità locali, viene pertanto inserita nel Testo Unico degli Enti Locali. Nonostante alcune modifiche costituzionali, l’impianto della legge non viene intaccato, visto che secondo l’art. 117, secondo comma, lettera h, spetta in maniera esclusiva allo Stato agire in merito a sicurezza ed ordine pubblico. Quindi lo Stato, quando ritiene necessario ripristinare la legalità ha il diritto-dovere di intervenire. Esistono dei requisiti giuridici che legittimano la richiesta di scioglimento degli Enti locali, secondo l’art.143 del TUEL, interpretati dalla Corte Costituzionale nella sentenza n.

103 del 19 marzo 1993. Innanzitutto il parametro normativo è rappresentato dall’art. 143 del d. l.vo n. 267 del 2000, secondo cui “I consigli comunali e provinciali sono sciolti quando emergono elementi su collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata o su forme di condizionamento degli amministratori stessi, che compromettono la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi alle stesse affidati ovvero che risultano tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica”.

La Corte, in sostanza, ha ritenuto “infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 15 bis legge n. 55 del 1990 (introdotto dall’art. 1 d.l. 31 maggio 1991 n. 164), in tema di scioglimento dei consigli comunali e provinciali per i quali siano emersi collegamenti con i fenomeni mafiosi, sollevata con riferimento agli art. 3 e 97 cost. per il fatto che la norma, consentendo di attribuire rilevanza ai collegamenti indiretti con la criminalità organizzata ed estendendo la misura anche agli amministratori non direttamente interessati, consentirebbe al governo di procedere allo scioglimento sulla base di elementi con significatività inferiore agli indizi e senza assicurare la necessaria obiettività e coerenza rispetto ai fini perseguiti”.

La Consulta, interviene, poi asserendo che: “il potere di scioglimento in questione deve essere esercitato in presenza di situazioni di fatto evidenti, che compromettano la libera determinazione degli organi elettivi, suffragate da risultanze obiettive e con il supporto di adeguata motivazione”.  Elena Manzini  Fine seconda parte  Continua

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