Per la rubrica Castelvetranesi Elena Manzini ci racconta Nicola D’Aguanno

Redazione Prima Pagina Castelvetrano
Redazione Prima Pagina Castelvetrano
24 Agosto 2019 12:37
Per la rubrica Castelvetranesi Elena Manzini ci racconta Nicola D’Aguanno

"Castelvetranesi & C. - Nicola D'Aguanno" Il tempo passa in fretta e ci stiamo avvicinando al periodo della raccolta delle olive (quest'anno stagione "di magra" causa condizioni climatiche in fase di impollinazione), abbiamo posto qualche domanda ad un altro giovane che ha deciso di non abbandonare la sua Terra, un altro agricoltore che ha le idee ben chiare sul fatto e non fatto a favore dell'Agricoltura italiana ed in particolare di quella siciliana. Quando nasce in te la passione per l'Agricoltura? Ho 37 anni e devo dire che essendo la mia una famiglia di agricoltori da tre generazioni, la passione per l’agricoltura è nata con me.

Oggi gestisco insieme ai miei due fratelli l’azienda agricola di famiglia, collaborando anche in conto terzi con altre realtà agricole del nostro territorio. Come dicevo, la nostra è un’azienda a conduzione familiare e ci occupiamo principalmente di agricoltura olivicola. Il Settore Primario è stato ed è sostanzialmente trattato come "il fanalino di coda" della nostra economia.

Secondo te cosa potrebbe fare il Mipaaf per una rivalutazione dell'Agricoltura italiana? Il settore primario oggi in Italia è diventato fanalino di coda della nostra economia perché nel nostro paese non si è mai riusciti a creare le condizioni per facilitare la nascita e la diffusione di innovazione tra le imprese. Solamente il 6% dei conduttori agricoli italiani ha una formazione agraria completa contro una media Ue dell’8%. Il 40% dei conduttori ha più di 65 anni di età e quindi un ridotto orizzonte di attività, le dimensioni fisiche ed economiche medie delle aziende, non permettono margini di investimento rilevanti.

L’Italia, in particolare il Mipaaft (Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo) dovrebbe finanziare di più ricerca e sviluppo su tutta la filiera per una seria rivalutazione dell’agricoltura italiana. La spesa pubblica in Italia destinata alla ricerca e sviluppo in agricoltura, oggi è di appena 4,5 euro a persona, rispetto invece ai 20,2 euro che investe, per esempio, uno stato come l’Irlanda.   Stare al passo della concorrenza, talvolta sleale, di altri Paesi europei, non è facile.

Gli Agricoltori italiani cosa potrebbero fare per promuovere il "Made in Italy"?   Il problema non sono solo gli agricoltori italiani, principalmente la tutela e la promozione del Made in Italy è un problema di rappresentanza politica nelle sedi dell’Ue. Nel 1962 tra l’Europa e i suoi agricoltori è stata varata la PAC (Politica Agricola Comune), un insieme di regole che l'Unione Europea, fin dalla sua nascita, ha inteso darsi, riconoscendo la centralità del comparto agricolo per uno sviluppo equo e stabile dei Paesi membri, un documento che dovrebbe rappresentare una stretta intesa tra agricoltura e società e la PAC, ai sensi dell’art.

39 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione europea, persegue i seguenti obiettivi: incrementare la produttività dell'agricoltura; assicurare un tenore di vita equo alla popolazione agricola; stabilizzare i mercati; garantire la sicurezza degli approvvigionamenti; assicurare prezzi ragionevoli ai consumatori . Per promuovere e tutelare il Made in Italy basterebbe che i politici che ci rappresentano in Europa, prendessero esempio dai colleghi di altre nazioni, come Germania, Francia e Spagna. Le Istituzioni, il governo ed i Parlamentari hanno la grande occasione di rilanciare, attraverso una fondamentale battaglia in Europa, non solo l’olivicoltura ma tutta l’agricoltura e ci auguriamo che l’impegno comune possa portare risultati concreti e tangibili per il bene di uno dei settori e dei prodotti più importanti per il Made in Italy.

  Recentemente (prima del teatrino politico) il premier Giuseppe Conte, ha fatto riferimento al ciclo di affreschi di Ambrogio Lorenzetti "Allegoria del Buon Governo". Secondo te un "Buon Governo" nel suo insieme cosa e come dovrebbe presentarsi in Europa?   Il premier Conte ha solo guardato una faccia della medaglia, perché quelli del Lorenzetti sono degli affreschi che rappresentano l’Allegoria ed effetti del Buono e del Cattivo Governo e con il loro chiaro effetto didascalico mettono a confronto la stessa città (in questo caso Siena, città del Lorenzetti), rappresentandola prima sotto gli effetti di un buon governo e poi sotto gli effetti di un cattivo governo.

Per quanto mi riguarda, il premier avrebbe dovuto guardare entrambe le facce della medaglia e rendersi conto che quello che ha agito sino ad ora di sicuro è stato un governo per niente tenuto in considerazione dalla Ue, sia per le politiche economiche, l'immigrazione, per finire le politiche agricole. L’Italia e tutta l’Unione Europea oggi sono succubi delle decisioni e delle imposizioni fatte da Germania e Francia. Il Governo italiano dovrebbe porsi con più autorevolezza all’interno dell’Ue, prestando attenzione principalmente alla salvaguardia del territorio e dei cittadini italiani, chiedendo gli stessi oneri ed onori per tutti gli Stati membri dell’Unione.

  L'Italia è tra i Paesi europei ad avere il maggior numero di prodotti Dop e Igp, sono un traino per l'economia?   Sicuramente sì e i dati parlano chiaro: negli ultimi dieci anni i fatturati nazionali delle produzioni agroalimentari che coniugano qualità e territorio (marchi Dop e IGP) sono cresciuti del 70%. I marchi Dop e Igp sono un traino importante per tutta l'economia locale che può fruirne direttamente, con i produttori locali o investendo in attività connesse al turismo ed ai servizi; questa scelta va quindi sostenuta e rafforzata.

Il tutto tenendo sullo sfondo, ma ben presente, anche una preoccupazione, legata alle prime indicazioni che ci vengono da Bruxelles sulla Pac post 2020. I tagli ipotizzati (intorno al 17%) potrebbero incidere pesantemente sulle politiche regionali future anche in quest'ambito. E' necessario che tutti gli attori coinvolti, la politica nazionale, quella regionale e le associazioni di categoria, si facciano sentire per scongiurare quella che potrebbe essere un’ulteriore e pesante sconfitta per il settore.

  Cosa ne pensi della frase: "Pur avendone la possibilità, non riusciamo a produrre l'olio che il mercato ci richiede" di Pompeo Farchioni della nota azienda olearia?   Condivido in parte la frase, nel senso che realmente oggi in Italia potremmo veramente produrre una quantità superiore di olio e cercare di ritagliarci un’importante fetta di mercato. Se non riusciamo a soddisfare la richiesta del mercato, la difficoltà sta nel fatto che ad oggi l’olivicoltura non può essere l’agnello sacrificale dell’agricoltura italiana: va difesa e sostenuta perché rappresenta non solo il prodotto, ma anche l’ambiente, l’economia, la storia dell’Italia.

Il settore olio di oliva, innanzitutto, non può essere paragonato all’ortofrutta perché è molto diverso sia l’approccio delle aziende che l’accesso al mercato, è necessario individuare e studiare un assetto per progetti finalizzati al miglioramento delle strategie di commercializzazione e di valorizzazione delle produzioni di qualità. Oltre al rilancio della capacità produttiva, ritengo che, attraverso una giusta programmazione, si possano rafforzare gli strumenti per la tutela dell’olio extravergine d’oliva italiano attraverso la revisione delle norme di commercializzazione, introdurre nuove misure che consentano un maggiore equilibrio del potere negoziale all’interno della filiera, agire sulle norme in materia di concorrenza tramite la lotta alle posizioni dominanti all’interno della stessa filiera ed all’utilizzo di pratiche sleali nei confronti dei soggetti più deboli ed esposti, in parole povere iniziare una seria lotta alle frodi.

Pensi che il settore olivicolo andrebbe rifondato? Più che rifondato, ritengo più opportuno che andrebbe riorganizzato. Il settore olivicolo italiano è uno dei protagonisti più importanti a livello internazionale. Nell’ambito del bacino del Mediterraneo, dove si concentrano oltre i tre quarti della produzione mondiale di olive, la produzione olivicola italiana incide per il 15% su quella mondiale facendo dell’Italia uno dei big player sulla scena. Numeri di rilevanza straordinaria che, tuttavia, sono il risultato di processi produttivi, organizzativi e commerciali basati su imprese di dimensioni estremamente ridotte e con profili competitivi poco robusti.

Il tessuto produttivo del settore olivicolo è contraddistinto dalla presenza di aziende agricole di piccole e piccolissime dimensioni fisiche, pari a poco più di un ettaro in media e nonostante la produzione raggiunga livelli qualitativi eccellenti, la gran parte non è in grado di reggere la competizione di mercato, poiché caratterizzate da costi di produzione elevati, scarsa produttività, ritardo tecnologico e ridotta organizzazione. La creazione di “consorzi”, potrebbe essere uno strumento in più per riorganizzare il settore e rendere competitive quelle realtà ad oggi presenti sul mercato con profili aziendali meno robusti.

Sempre più donne diventano imprenditrici agricole, ritieni possa considerarsi un valore aggiunto? Il contributo femminile all’agricoltura è fondamentale, inteso anche come ricambio generazionale. Le donne imprenditrici hanno dalla loro parte numerosi punti di forza rispetto ai colleghi uomini: una maggior propensione all’innovazione, una superiore capacità d’adattamento, un più accentuato legame con la terra e con le origini, oltre ad una migliore sensibilità per il rispetto dell’ambiente.

Tutto ciò fa sì che le aziende guidate da donne, alla fine, si dimostrino spesso più diversificate e multifunzionali, con un prodotto maggiormente personalizzato e con una migliore attenzione per la cultura, la tradizione e le conoscenze del territorio. Sappiamo benissimo che lo spazio femminile è sempre un laboratorio di nuove idee. Per l’avvenire dell’agricoltura italiana, in questo strategico settore economico e produttivo, ed ancor più in quest’area del nostro paese solitamente considerata meno baciata da certe opportunità, la donna imprenditrice agricola diventa sicuramente un immenso valore aggiunto.

Giovani ed Agricoltura potrebbe essere un binomio vincente soprattutto a Castelvetrano. Invece, i giovani abbandonano il paese. In che modo si potrebbero "trattenere" e dar loro uno sbocco in ambito agricolo? Questo è un momento storico particolare, ci ritroviamo ragazzi disillusi che a trent’anni si trovano ancora costretti a vivere con i genitori, possibilmente svendendo le proprie qualità e il proprio lavoro a prezzi stracciati perché è l’unica via per portare a casa qualche soldo, tanti di quelli che sono andati via con buoni propositi si ritrovano a fare gli operatori nei call center o i fattorini e addirittura giovani che l’unica ambizione che hanno è quella di accedere ad una qualsiasi forma di protezione sociale.

La politica, per il momento, sembra non essere interessata a occuparsi dell’argomento. Alcuni si ergono a paladini, delle fasce più disagiate, con tanto di promesse di investimenti economici nell’agricoltura e di detassazione nei confronti degli operatori del settore, strenui difensori di quel caposaldo dell’iniquità sociale che è la flat tax, per il momento solo a parole e sulla carta (attualmente come svanita).  Altri per mesi hanno illuso le fasce più povere della popolazione con proclami relativi a un reddito di cittadinanza che poi, nella realtà dei fatti, si è scoperto non essere tale.

E altri ancora che pare non comprendano le ragioni delle loro sconfitte elettorali, quando basterebbe una frase per riassumerle, quella di alcuni anni fa di un Ministro del Lavoro che dichiarò “Giovani italiani vanno all’estero? Alcuni meglio non averli tra i piedi.” L’agricoltura oggi, potrebbe essere veramente la chiave di volta per migliaia di giovani che abbandonano il proprio paese e le proprie famiglie in cerca di qualcosa di meglio, sia come opportunità di lavoro per i giovani, sia per favorire quel ricambio generazionale di cui oggi ha bisogno il settore agricolo.

Consorzi bonifica: i costi per l'irrigazione sono aumentati a dismisura soprattutto nella Sicilia Occidentale. Ritiene ci sia una ragione plausibile per tutto ciò? Non so se ci possano essere ragioni plausibili in tutto questo, la verità è che oggi, la Regione siciliana, dopo i nove anni di Governi regionali di centrosinistra, prima con Raffaele Lombardo e poi con Rosario Crocetta, si trova in una condizione di default non dichiarato. Con questi aumenti la Regione siciliana, in condizioni finanziarie critiche, vorrebbe scaricare il costo del personale dei Consorzi di bonifica sugli agricoltori, aumentando a dismisura i canoni idrici, ovvero il costo per l’acqua utilizzata per irrigare i campi.

I Consorzi di bonifica sono uno dei tanti esempi di soggetti che dipendono dalla spesa pubblica regionale che sono stati ‘definanziati’ (parola elegante, ricercata e “colta” per non dire che sono stati lasciati senza soldi!). La particolarità dei Consorzi di bonifica sta nel fatto che dovrebbero essere enti al servizio degli agricoltori con poco personale. Invece la politica regionale, negli anni passati, ha riempito i Consorzi di bonifica di personale con figure che, oggi, servono a poco o nulla.

Queste sono per me le uniche ragioni plausibili di questi sconsiderati aumenti. Semplificando, gli agricoltori siciliani dovrebbero acquistare l’acqua per l’irrigazione, per produrre prodotti che vendono con difficoltà a prezzi stracciati o che non riescono a vendere, a prezzi stratosferici per pagare gli stipendi oltre che giustamente ai dipendenti, anche ai “dirigenti” e ‘dirigenti generali’ dei Consorzi di bonifica. Non più i Consorzi di bonifica al servizio dell’agricoltura, ma i soldi degli agricoltori “al servizio” di quel carrozzone politico che negli anni passati sono diventati i Consorzi di bonifica.

Un po’ troppo, no? Mi auguro soltanto che con la mobilitazione degli agricoltori “liberi”, il Governo Musumeci, che si sta muovendo per attuare una vera e propria riforma, dia un taglio netto a tutti questi sprechi e faccia in modo che i Consorzi di bonifica diventino un importante volano per lo sviluppo di un settore che è trainante e fondamentale per l’intera economia siciliana. Elena Manzini

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