L’Elzeviro di Bonagiuso: Siamo ancora qui, Buon Natale!

Redazione Prima Pagina Castelvetrano
Redazione Prima Pagina Castelvetrano
25 Dicembre 2020 12:00
L’Elzeviro di Bonagiuso: Siamo ancora qui, Buon Natale!

Non nascondiamocelo. Ma gli ultimi sono stati anni davvero orrendi. Vero, bisognerà comunque guardare il bicchiere mezzo pieno, per sopravvivere, e dire "però sono qui, ce l'ho fatta", nonostante le pugnalate, le infamie, le cattiverie, le piccolezze, i minuscoli e gli insulti della sorte, ed anche le catastrofi e le pandemie... Quando non c'erano riusciti gli uomini, con la loro spesso insopportabile vena di opportunismo, ci ha pensato la cosiddetta natura, incrociando in un mercato di Whuan animali e persone, e riducendo il Capitalismo occidentale in ginocchio, a prender a schiaffi il mondo.

Dio si è così improvvisamente assentato dal cosmo ancora senza un perché, ma non per un disegno di punizione, ma per quella assenza ormai cronica che però in tempo di pandemia risalta ancora più vacante. Si sa l'assenza è sempre più indicativa della presenza. Così ci accorgiamo delle cose appena spariscono, dei valori appena li calpestiamo, della salute non appena è ghermita dalla malattia. Ci accorgiamo del bene nel trionfo del male e di quanto valga la cultura nel trionfo dell'ignoranza.

Di Dio ci accorgiamo quasi mai. Se non fosse per quella consuetudine di parlare di lui, per una manciata di ore, tra presepi e predicozzi. Di Dio parliamo come di una cara abitudine, a Natale, tra gli spot della Coca-Cola e le campane a festa della natività. Ma Dio in realtà non c'è nella nostra morale bigotta, se non come assente e forse per questo in un periodo devastante come questo, rischiamo davvero di accorgerci del suo silenzio e della sua mancanza nel nulla di festa, che oggi si respira come una pausa in mattatoio.

No, in realtà questo non è Natale e questo non è stato un anno, ma una lunga interminabile lista a lutto da ricordare in eterno. Di colpo si è fatta luce nel guasto di tutto quello che il Capitalismo ci aveva abituato a considerare scontato. Che i cinema fossero aperti, e i teatri vuoti ma aperti, disponibili per non entrarci, che le librerie fossero deserte ma aperte, lì per non essere frequentare, e che insomma si potesse andare in giro a far nulla, senza cioè un motivo reale, legale, da scrivere su una autocertificazione, tutto ciò era normale.

La norma è una consuetudine ma le pandemie svoltano le liceità come i calzini scompagni in lavatrice. Adesso abbiamo voglia di tutte le pacche sulla spalle che consideravamo banali, e degli abbracci, che oggi sono mutilati dalla distanza. E ci rendiamo conto che nessuno si salva da solo, anche nella versione meno poetica che vuole che l'irresponsabilita di un solo imbecille riesce a contagiare fino a 2 prudenti, i quali poi ne fregano 4, e questi 8, e quelli 16, 32, 64, 128... in meno di una settimana.

Ah, gli altri! L'inferno e il paradiso. Frammisti. Eppure, quando il bicchiere si posa, nel fondo, come nell'istante che ipotizzano precedere la morte, vediamo tutti i baci, tutte le carezze, e sentiamo persino la consistenza delle braccia e la resistenza del torace, delle dita ossute. Il bicchiere rivela e nasconde, mostra e porta altrove, quando in mezzo c'è la vita nostra, anzi la vita mia, perché la vita non può mai essere nostra, se non è mia davvero. E può sfuggire e volare via come una mosca a settembre.

Per questo abbiamo voglia di riprendere il filo diciamo, dal 2018, per esser sicuri. Abbondare non nuoce. Un "fade" all'indietro, più che un taglio, una sfumatura  cioè che confonda la memoria del dolore con l'ultima birra con gli amici, o l'ultima prova in teatro. O quella volta in cui hai voluto, non dovuto, restare da solo, a scrivere una storia. Una storia come quella che magari avrá una filigrana dell'anno che verrà. Mentre si spera che questo virus uncinato ci insegni qualcosa in questo crepuscolo del capitalismo, delle passerelle, dei piriti incartati, dei vasetti, delle farse, delle cooptazioni, delle piccole e grandi mafie e anche della maledetta invidia che, lungi dal renderci migliori, ci spinge solo alla metafora dell'ombra.

Ah che gran mondo sarebbe se chi sta indietro studiasse il doppio per arrivar davanti. E no. Finora abbiamo insegnato a chi è indietro a truccare la corsa, affiliarsi a qualcosa di potente, destra sinistra cielo o sottoterra, leccare due o tre culi e festeggiare un immeritato sorpasso. Se già il virus con la corona ci insegnasse questo, che vittoria per la specie umana sarebbe! Non accadrà, ovviamente, come ogni proposito migliorista, solitamente. Con buona pace di Darwin. E comunque sia: buon Natale   Giacomo Bonagiuso

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