Avrei voluto, sinceramente, discutere con pertinenza l'assunto pre-ideologico, dogmatico, di un sacerdote di Marsala che ha paragonato la prassi normata da Leggi dello Stato Italiano, che consente in determinate circostanze alla donna di poter interrompere la gravidanza, alle pratiche del Dottor "Morte", quel Mengele nazista che eseguì i peggiori interventi di chirurgia sperimentale sui bambini reclusi nei campi di sterminio, uccidendo e mutilando e devastando vite su vite. La verità, per quanto un uomo possa percepire la verità senza bruciarsi occhi e mani, è che stiamo perdendo il linguaggio argomentativo, la capacità di distinguere e descrivere.
Determinare. Raccontare interrogandoci. Muovendoci nel dubbio e mantenendo la barra nella nebbia della complessità. Rendiamo tutto piatto in slogan, come se la verità non avesse sporgenze e non si nutrisse di dubbi. Le narrazioni del contemporaneo vanno per meme, per obiettivi ideologici o post ideologici, peggio se pre-ideologici, o per l'individuazione di nemici da abbattere. Non sono discorsi, ma proposizioni - direbbe Aristotele - che brancolano nel linguaggio a partire da 'idola" non in discussione che discutono, però, il mondo altrui sin nelle viscere della libertà.
Si dice, cioè, "tu non puoi scegliere di finire in modo dignitoso la tua vita, perché non è tua, ma è del Dio in cui tu non credi". Un po' come i Testimoni di Geova che vogliono salvarti pure se il numero dei salvati, in cui loro credono, è già esaurito. Non sono semplificazioni, sono esemplificazioni queste, di un metodo. Che non tiene in nessun conto la mia libertà sulla fine della mia vita, già finita in essenza, per un dolore intollerabile o uno stato vegetale, o sull'inizio di una vita che non è cominciata.
E che è ferita sanguinante per milioni di ragioni, dalla violenza alla solitudine, alla malattia. Nessuno dice che sono scelte facili da fare al distributore di sigarette, in autostrada. Nessuno. Sono complesse e laceranti, come le grandi scelte della nostra esistenza. Ma esse per la loro drammaticità non possono prevedere, nel dibattito, l'incursione sgradevole di piccoli pensieri, mutili - sempre aristotelicamente - e senza fondamento comune. Comune. Non tuo soltanto. Ma tuo e mio. Perché se il Dio che vieta o concede è solo il tuo, non puoi discutere con me, ad esempio, che ne ho un altro o comunque non il tuo.
Su un simile (s)fondamento si vorrebbe imporre al corpo della donna, di ogni donna, non paletti stringenti, come quelli che la Legge già prevede, perché interrompere la gravidanza in Italia non è un fast food, diciamolo, ma ideologie esterne, domini, padronanze, violenze ecco. Violenze. Interrompere le gravidanza, inoltre. Impariamo a usare le parole. L'aborto è spesso nel pensiero senza senso di chi ci precipita nel medioevo. Per questo finiamo per confondere. E per confonderci. Posso dire che interrompere una gravidanza implichi strazio, dolore, perdita, lacerazione, ma non posso paragonare a Mengele la sua adozione.
Non ci sono dubbi su questo, e doverne scrivere è doloroso. Molto doloroso, per chi come me è profondamente credente. Cosa sia questo credere non è oggetto della presente scrittura. In mezzo c'è la storia, il corpo femminile e la libertá. La scrittura e la liberazione. Paraculare una certa idea di Dio davvero penosa, verso cui sarebbe davvero lecita una ribellione umana, tanto è perversa, è uno dei peggiori servizi che si ê fatti al divino, da secoli e secoli. Constatiamo che si insiste.
E no, non sembra una buona idea. Una volta tanto, qui, insieme alle donne responsabili e sofferenti, Dio è parte lesa dalla stupidaggine umana. Salviamoci, finchè siamo in tempo, da un pensiero piccolo, fatto di semplificazioni, di rosso contro nero, di meme, di cartelli, di discorsi falsi, di fake, di tifoseria. Impariamo a pensare. Prima che sia tardi. Giacomo Bonagiuso