Chi conosce il suo teatro ormai sa che, Giacomo Bonagiuso , scaraventa davanti ai tuoi sensi roba preziosa. Lo fa, così, convulsamente, con la stessa "vampa di lu cori" che sente per la sua Terra. La vampa contagia, induce lo spettatore a ricomporre le gemme che volteggiano sul palco.Ecco che tutto prende forma. È una Medea, quella da cui proveniamo, andata in scena al Teatro Selinus di Castelvetrano, riscritta, reinterpretata.Opera in canto magistrale, con musiche che sono "lamentu".Usa il canto in lingua siciliana - che lui stesso definisce "euristica" perché intuitiva, esplorativa, di scoperta.
Un canto straziato da parole feroci, lava rovente che sgorga da quelle stesse viscere dalle quali siamo stati partoriti, figli e sacrificio insieme.È una Sicania risorgimentale, un invito alla reazione, che si scrolla dal giogo piemontese con cui entra in scena, fino a liberarsene levandolo in alto, apotropaico trofeo sopra ogni male."La tragedia è mutaChi parla è perso. Patri cielu. Avemo pani ma unn'avemo pitittoSintiti sintiti, shhhh shhhh shhhh.Fimmina senza prosopopeaRivoluzione"Una speranza, una promessa.
Alessandra Canino
in copertina foto di Stefano Caruso
in galleria foto di Baldassare Genova