La caduta delle carciofe... ovvero ciò che resta di una città

Giacomo Bonagiuso scrive : "Ci sguazza qualche politicante che vorrebbe poi vendersela l'idea di resurrezione del morto"

Redazione Prima Pagina Castelvetrano
Redazione Prima Pagina Castelvetrano
31 Maggio 2021 19:30
La caduta delle carciofe... ovvero ciò che resta di una città

A volte, entrando a Castelvetrano da Via Campobello, con le pensiline dei bus divelte al suolo o precariamente in piedi, crivellate come da mitragliatrici, con gli arbusti carbonizzati ad invadere lo spazio umano, tra fossi e voragini, con qualche edificio fantasma con le scale sospese, le transenne divelte e il nuovo accerchiato dall’orrore, sembra di entrare in un perimetro di guerra.

Ci sarebbe poco da aggiungere su questa terra stremata, dissanguata, che marcia all'indietro sull'asse dell'orologio. La regina del Belice è ora una maschera, un'agonia, una smorfia. E più, attorno, crescono in cultura e intelletto Campobello, Partanna, Marsala, Alcamo, Mazara e Santa Ninfa, più questo obitorio a cielo aperto denuncia la sua interminabile morte. Civile e ancor prima: morale.

Siamo tornati a trent’anni fa, in ogni andamento. Con analfabeti funzionali che fanno discorsi sgrammaticati e ci abbattono le mani, e i tristi manifesti anni 80, e le cose funeree, stantie, vecchie di secoli, che resuscitano, perché non c’è più nulla di nuovo, energico, e se prova a nascere viene tranciato dal presunto nuovo che si è preso il potere per compiere una sterilizzazione generale.

Perché nel provincialismo malato che ci ha colpito mentre cadevano al suolo, tra fratte e scaffe, ci siamo convinti – contraddittoriamente – che chistu paisi futtuto è, ed, insieme, che abbiamo il mare, il sole, l'alivuzza scacciata, gli eccellenti che affacciano nella stessa televisione che un giorno sí e uno no... Contraddittoriamente, mentre mandiamo i figli dei virgulti borghesi a studiare al nord, proclamiamo da soli la nostra potenza. Siamo arrivati a cantarcela e suonarcela, a farci autobiografie, a dire “mio mio mio mio mio”, a darci premi e a starnazzare come quelle di Boncompagni, buonanima, a “non è la Rai”.

Che miseria! Ci sguazza qualche politicante che vorrebbe poi vendersela l'idea di resurrezione del morto. Ma questa è la Città delle conventicole, delle cerchie, e senza cerchia non sei un cazzo! E la cerchia è sempre quella di centenari in perenne resuscito… sempre gli stessi, sempre loro col nuovo intorno che fa il coro come allo stadio.

La Sicilia è così, tutta, direbbero in risposta i colti, ma non è che questo consoli molto. Quando mi chiedono come si sia potuti arrivare a tanto, io ho in testa i nomi e i cognomi di quelli che hanno spazzato via il lavoro che loro stessi e molti altri avevano fatto, me compreso, ma il punto è un altro, cari salvatori della patria, care icone vintage e cari pupazzi, cari genitori e cari potenze occulte: era un’illusione. Per forza! Ci vuole coraggio e autocritica. Perché se non lo fosse stato, non una classe dirigente pazza avrebbero potuto ridurci allo stato di maceria in un lustro o poco più.

D’altronde, appena a Castelvetrano si alza uno e dice sto facendo una cosa che non sia la solita processione o la funerea ombra lugubre che farebbe fuggire anche i morti, puntualmente:

1) la burocrazia se lo mangia e lo ostacola perché da noi anche la burocrazia è potere, apparentata, e il potere vende vasetti sempre, o ricatta;

2) la politica, scomparsa sull'Aventino da mesi e mesi, tempo che aveva le ricette per tutto ora manco la caponata azzecca, ci veni acitusa, e comunque urla che sei di parte, e ti azzoppa;

3) un drappello armato di cecchini Castelvetranesi comincia, agli ordini di qualcuno, un fuoco di fila contro il povero sventurato colpevole di far qualcosa di non autoreferenziale… perché nell’autoreferenziale, occasioni, mostre, premi, parlamuni d’incoddu, fotografie e vestitini d’occasione, minchia corrono tutti…

4) una corale polifonica gli scaglia contro i soliti ma cu minchia ti senti?, ma soccu vulissi fari?, se perciò, dumani chiuristi!, ma cu mi rappresenti?;

5) le prefiche dell’auto affermazione lo circonderebbero di snob tanto da farlo sedere, di nuovo, al suo posto, fermo e zitto. Zitto e fermo. Oppure associato, acconventicolato, cooptato…

Neghiamocelo, ma Castelvetrano è così: né fa né lassa fare. Un laboratorio dell'Università di Bonn ha calcolato che se il castelvetranese medio mettesse il 30% dell’energia che impiega a sminchiare le iniziative altrui, o addirittura ostacolarle, in positivo, la Città avrebbe un recupero del 60%. Addirittura, se il 50% del tempo dedicato al rucculo e lamento, venisse posto in concreta azione, burocrazia permettendo, si avrebbero sorprese macroeconomiche visibili anche in Giappone. No. Il castelvetranese medio ha le foto antiche, e ci chianciu supra, e ha SAlinunte (senza duna e con la “a”!), oltre al pane nero e all’oliva. Il Castelvetranese è carcocciola “com’era”. Una carcocciola ontologica. Tò tì en einai. Quod quid erat esse. Cioè: si sente il Re del mondo pure quando è in una brace fitusa di carvunedda. Re sempre.

Ora, come si potrebbe cambiare tutto questo? Non ne ho idea. Perché da burocrazia, a pialla, a invidia, a rancore, a violenza, conosco benissimo i sentimenti di molti miei compaesani. Ci rialzeremo? Opperbacco: i politici nuovi che hanno colonnelli vecchi, vecchissimi, dicono di sì, anche perché se dovessero dire no sarebbero sociologi. Il punto è che adesso non si tratta più di una ripresa, quanto di una resurrezione. Per risorgere però, dice il manuale teologico, servono alcune cose: o essere figli di Dio. E noi, semu figghi di la terra e avemu lu cielu pi patri. E, pure se qualcuno lo crede davvero, no, non siamo Gesù Cristo. Oppure serve avere fede. Già. La fede muove le montagne e riporta in vita ciò che amiamo. Ecco. Fede e amore. Se solo Castelvetrano, dopo essersi vergognata a fondo, riuscisse a provarle entrambe: fede e amore.

Fede e amore non prevedono la deficienza. Sono sentimenti meravigliosi. Ma bisogna passare dalla vergogna, dal mea culpa. Poi potremo parlare di aprire la porta di casa e tornare a occuparci del pubblico, quando avremo neutralizzato i punti uno, due, tre e quattro e cinque. In coro. Tutti. Perché da soli non ce la si fa, se non a prendere calci da burocrati, politici faciloni, disfattisti e mafiosi. Da soli si muore. Da soli ci si chiude legittimamente a casa.

Giacomo Bonagiuso

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