Dai miei ricordi d’infanzia, quando vedevo una persona con i tatuaggi sulla parte alta del braccio, capivo subito che si trattava di un ex galeotto e passavo alla larga. Ma anche i marinai, non i nostri pescatori, ma gente che girava il mondo su navi da carico, portavano di questi ricordi indelebili. Qualche volta ho visto qualche lavoratore di circo equestre con questi “sconci” per come allora erano considerati i tatuaggi. Chi aveva la disgrazia di essere cascato in questo sconcio, cercava di nasconderlo il più possibile per non essere giudicato male.
Oggi la concezione su questi tatuaggi è cambiata completamente, moltissimi giovani, a rischio di ricever qualche brutta malattia infettiva, si sottopongono ai tatuaggi e mostrano orgogliosamente i loro capolavori diffusi anche in tutto il corpo. Se pensiamo che molti virus muoiono soltanto con bollitura in speciali pentole a pressione, e che i loro effetti si manifestano dopo molti anni, sicuramente fra non molto sorgeranno tante malattie. Storicamente si tratta di antiche usanze dei popoli primitivi, che si sottoponevano a questo trattamento per loro cultura e riti propiziatori.
Sconosciuto in Europa fino al 1700, l’esploratore James Cook , visitando la Nuova Zelanda e l’Arcipelago Polinesiano, scoprì il tatuaggio e l’uso unicamente ornamentale che ne facevano i Maori, un popolo allora ancora sconosciuto. I Maori chiamavano il tatuaggio “tatù”, nome che viene adottato anche ai giorni nostri. Successivamente si è scoperto che anche fra i Maori esisteva la scala sociale e i tatuaggi erano più o meno vistosi, a seconda del grado sociale occupato nella società.
In una società maschilista, le donne, considerate nella scala sociale inferiore a quella degli uomini, si dovevano accontentare di un semplice segno sul mento; di contro i capi sacerdoti portavano sul volto vistosi tatuaggi a comprovare la loro autorità. Sin dalle sue origini, la tecnica del tatuaggio prevedeva una decorazione indelebile nel tempo; tuttavia recentemente sono state inventate nuove tecniche capaci di dar vita a tatuaggi temporanei, che scompaiono mano a mano che la pelle viene lavata.
Ci riferiamo ai tatuaggi all’'hennè e ai Temporary Tattoo. Il tatuaggio permanente viene eseguito tramite una specifica macchinetta elettrica alla quale vengono fissati degli aghi di misura differente, capaci di creare effetti particolari. La macchinetta si muove e gli aghi penetrano nella pelle depositando i pigmenti di colore. Nel corso dei secoli il tatuaggio è andato via via evolvendosi, assumendo significati differenti, tutt’ora oggetto di studio da parte di tanti antropologi e studiosi della cultura umana.
Se oggi il tatuaggio per molti di noi ha il significato di puro strumento di decorazione della pelle, anticamente veniva realizzato in occasione di riti iniziatici o come indice di appartenenza a specifici gruppi etnici, religiosi o politici. Si sostiene che il tatuaggio esista da 12 mila anni prima della nascita di Cristo. Complessi tatuaggi furono ritrovati sulla Mummia Otzi, una famosa mummia ritrovata nel 1991 sulle Alpi Italiane e risalente al 3300 a.C. Tatuaggi complessi sono anche presenti sull’uomo di Pazyryk, ritrovato nell’Asia centrale.
Il tatuaggio era molto presente nella civiltà romana; in quella egizia sono risalenti al periodo della costruzione delle grandi piramidi. Un gruppo di scienziati di Londra, infatti, ha effettuato una scansione ad alta tecnologia su otto mummie egizie del British Museum. Un’area geografica nella quale i tatuaggi sono stati sempre presenti è l’Oceania; intorno al 2000 A.C. il tatuaggio si diffuse anche in Cina. Le civiltà di Creta, Grecia, Persia, Arabia e non solo, raccolsero ed ampliarono questa forma d'arte al loro modo.
Molto diffuso fu nell’antico Giappone. Durante le Crociate dei secoli II e XII, i guerrieri si identificavano con il segno della croce tatuata in modo che potessero ricevere una degna sepoltura cristiana in caso di morte in battaglia. Quindi non si tratta di una invenzione sorta in questi anni di economia apparentemente allegra e con consumismo sfrenato, ma di una moda sorta migliaia di anni fa, rilanciata fra i giovani di quest’ultima generazione. VITO MARINO