"Non" serve come "cosa tecnica" per fare conferenze, "non" serve per parlare in pubblico o agli esami... Non "cura" la timidezza, anzi la coltiva... Non è cosa che sopporti frastuono o confusione: è intimo e prezioso. Sì forse ti abitua a scandire le parole e a considerare l'altro come interlocutore delle tue azioni e della tua voce... ma davvero non fa solo questo... Serve, il teatro, invece a collegare relazioni, a mettere in moto emozioni, a intrecciare sentimenti, a potenziare la dimensione plurale, collettiva, strutturale.
Ad aprirsi, a dischiudersi, a sbocciare, a mettersi in discussione, a ottenere un risultato giusto, sudato, non elargito, non regalato. Per questo è attività che possono condurre solo specialisti, non certamente improvvisatori. Perché il teatro deve rompere l'abitudine atavica a fare gruppuscoli dentro un gruppo, a parlare alle spalle, a considerare se stessi fondamentali e insostituibili, e a non capitalizzare invece il tesoro di forme emozionali e strutturali, mediate da tecnica e volontà, le quali sono al centro del lavoro dell'attore su se stesso.
Il teatro vero, quello che si fa in sala prove, sudando e lavorando su se stessi, sulle azioni proprie e sulle domande dei personaggi, è l'immediato contrario del "baby farò di te una star", dell'egocentrismo, della solitudine e dell'aberrazione. E' invece un lavoro misterioso, filosofico, eminentemente umano; nessuno che non abbia avuto ore della propria vita dentro una vera sala prove con un vero conduttore può comprendere. Ed è bene che sia così. Non si può rendere pubblico ciò che è privato delle vite interiori.
Ecco perché "non" recitiamo: perché ci consideriamo, con parecchia immodestia, un proficuo completamento della vita interiore di ognuno. Ognuno...” Giacomo Bonagiuso