“Gente di Castelvetrano & C” : raccontiamo Giacomo Bonagiuso

Redazione Prima Pagina Castelvetrano
Redazione Prima Pagina Castelvetrano
22 Giugno 2019 11:08
“Gente di Castelvetrano & C” : raccontiamo Giacomo Bonagiuso

Definire Giacomo Bonagiuso semplicemente "direttore teatrale" è alquanto riduttivo, perchè è uno di quei personaggi che potremmo definire "multitasking". Personaggio che sa affascinare qualsiasi interlocutore e che non le manda a dire.Diverse le pubblicazioni  nonchè saggi apparsi sulle più importanti Riviste di Filosofia del panorama editoriale accademico italiano. Tra le sue pubblicazioni principali possiamo citare "Nòstoi, gli eterni ritorni"(Palermo, 1993); "Il Mago della Pioggia"           (Castelvetrano 1998); "Non credo più" (Alcamo 1997); "Sum.

Cogito. Ergo? Frammenti di fine secolo" (Palermo 2000);  "Forme cave del non. La fabbrica del teatro e il paradosso del cinema" (Palermo 2009); "La soglia e l’esilio. Asimmetrie di tempo e spazio nel Nuovo Pensiero ebraico" (Roma 2009);  "L’eccezione dell’aurora" (Castelvetrano 2016). Per quanto concerne i saggi degni di nota: "Dialegesthai" (Università di Roma Tor Vergata); "Filosofia e Teologia" (Università di Macerata) ; "Idee" (Università di Lecce); "Giornale di Metafisica"  (Università di Genova e Palermo); "Culture Teatrali" (Università di Bologna).

Tra le principali opere curate non possiamo esimerci dal ricordare: "G. B. Ferrigno. La peste a Castelvetrano negli anni 1624-26"(riedizione a cura del Kiwanis International, 1998); "Le mal de Dieu. Cinema e mistica: Bresson, Dreyer e dintorni" (Gibellina, 2000); "Il volto dell’altro: Itinerari tra alterità e scrittura"      (Palermo 2001); "Autori e pagine di Sicilia" (Catania, 2001); "Franz   Rosenzweig e il Nuovo Pensiero", per la Rivista "Idee" del Dipartimento di Filosofia dell’Università di Lecce (2003); "Apeiron",  l’annuario  scientifico  del  Lyceum  G.P.

Ballatore di Mazara del Vallo (edizioni 2001,2002, 2004). Tante opere, tanta filosofia, tanto teatro. Chi è Giacomo Bonagiuso? Nasce a Mazara del Vallo nel giugno del 1972. Dopo gli studi classici al “G. Pantaleo” di Castelvetrano, si laurea a a Palermo in Filosofia, con 110 lode e menzione, poi in Lettere; consegue il Dottorato Internazionale di Ricerca in «Etica e Antropologia» presso l’Università degli Studi di Lecce, con un periodo di studi a Friburgo, sotto la guida di Bernard Casper, allievo di Martin Heidegger.

Consegue la specializzazione presso la Scuola di Alta Formazione di Aqui Terme in  Letture Filosofiche della Bibbia            . Studioso del pensiero ebraico, si è recentemente occupato anche del rapporto tra la filosofia e le arti, in specie il teatro e il cinema. Ha insegnato Etica Pubblica nell’Università di Palermo e diretto il Teatro Selinus di Castelvetrano-Selinunte e la sua Scuola per giovani interpreti. Oggi, la sua attività di regista teatrale e cinematografico, legata al tema della didattica del teatro e delle arti alle giovani generazioni, ha maturato diversi riconoscimenti.

Com'è nata la tua passione per il Teatro? La passione per il teatro prende in me una via contorta. Arrivo al teatro,  pur dopo gli amori giovanili, e la classica Rivista, dalla via della  drammaturgia e dai miei studi di filosofia.

Cioè ritorno al teatro dalla  porta complessa della filosofia. A mio avviso il teatro non ha nulla a che  spartire con la “recitazione”. Questo tipo di teatro, quello di recitazione,  diversissimo dal rito classico, ovvero il teatro declamato, finto, cartonato, è morto con l’arrivo del Novecento. E non c’è neanche da rimpiangerlo,  tanto era finto e lontano sia dal rito che dalla catarsi stessa. Il teatro che  deriva dalla drammaturgia, invece, incarna proprio una filosofia di vita, di esistenza, una lente tramite cui inquadrare il mondo e la vita: è una  filosofia come narrazione, tipica dei grandi Autori del Secondo Novecento.

Il “mio” teatro, se mi si passa questa aberrazione, ha la finalità di  raccontare il mondo dal margine, dalla periferia, e di farlo tramite non- attori, ovvero tramite interpreti che non hanno esclusivamente scelto la  carriera teatrale. Entrambe le cose sono scelte come punti essenziali  della mia ricerca. Il margine consente libertà e fuga dagli stereotipi  richiesti dal mercato. I non-attori consentono un lavoro sull’anima e  sull’esistenza che gli attori, spesso, tendono a semplificare o far  diventare tecnica.

Eppure “il mio” non è un teatro per dilettanti, anzi.  Tutt’altro. È un teatro che è vita, ed è rivolto a chi cerca di articolare  domande sensate alla crisi della contemporaneità. E vuol farlo da una  prospettiva privilegiata qual è il margine, la provincia, la periferia. Pur  assumendosi ogni incomprensione e ogni incomunicabilità con gran parte del territorio. La prima volta a Teatro: cosa ti ha colpito? La prima cosa che mi colpì in teatro, io che ebbi la fortuna di avere la mia prima volta al Selinus, cioè quello che era un teatro vero, aperto e  accogliente, fu la vista sul graticcio.

Il graticcio è l’insieme di ponticelli di  corda e legno che stanno sospesi sul palcoscenico ad altezza crescente.  Sdraiandosi a teatro, profittando del controluce, solo gli attori possono  godere di questo spettacolo meraviglioso. Una tessitura di legni e corde  fatte solo per i teatranti, invisibili al pubblico. Questa visuale io ero solito  regalarla ai miei allievi della Scuola di Teatro “Ferruccio Centonze”, prima  che la sciagurata stagione politica della Giunta Errante alienasse il teatro  e chiudesse anche questa realtà legata al territorio e ai giovani.

Noi terminavamo le nostre sedute di training distendendoci a terra e  guardando il cielo interno del corpo di fabbrica del palcoscenico. Oltre  l’arco di proscenio, quel cielo era solo nostro: dei teatranti. Come è cambiato il modo di "fare teatro"? Ah, il teatro è cambiato molto nei secoli. Se pensiamo che nessuna donna calcava la scena della tragedia classica e della commedia greca, e che  fino a Napoleone gli attori erano considerati dei pochi di buono, assimilati ai gradini più infimi della società.

Tranne poche eccezioni, e non fecero  eccezione Moliere e Shakespeare, agli attori veniva persino negata la  sepoltura in terra consacrata. Oggi, ai livelli più alti, si arriva addirittura ad idolatrare gli attori. Sempre più personaggi che persone, tuttavia, essi  incarnano la decadenza del mestiere, se mi è consentito dirlo.  Rappresentano la decadenza della narrazione e l’esaltazione di una  moda, di un prodotto. Ed io che con l’immagine ho un rapporto  conflittuale, posto che raramente mi si vede in scena, o mi si vede fare  uno di quei noiosissimi discorsi lunghi ed inutili a fine o inizio spettacolo,  so bene che la narrazione è invece il cuore vivo del teatro.

E quando  smetto di assistere alla drammaturgia e vedo il vip o il personaggio  televisivo, lì il teatro è morto. Per fortuna esiste un modo di reagire alla  volgarità televisiva e modaiola: ed è quello di continuare a fare ricerca e  didattica. Quando accolsi la proposta di diventare direttore artistico del Selinus, subito pensai alla costruzione di una Scuola di Teatro. Senza  didattica non c’è ricerca, e senza ricerca non ci sono pubblici migliori e più esigenti. Giovani e teatro che tipo di binomio è? I giovani sono stati il propulsore del teatro in provincia.

Senza giovani non avremmo neanche una tradizione bella come la Rivista dei liceali. Un rito tramite il quale, da 55 anni, i giovani fanno il loro ingresso in società. È  bello che i giovani dicano agli adulti che sono “maturi” organizzando uno  spettacolo, che con gli anni è diventato sempre più complesso e  “professionale”. È una prerogativa di Castelvetrano. Spesso sottovalutata e non compresa dai burocrati. Formare giovani tramite la ricerca teatrale  significa anche pareggiare quel vuoto di educazione sentimentale che la  nostra epoca digitale e virtuale consegna a tutti noi.

I miei ragazzi non faranno probabilmente gli attori, ma sono certo di aver contribuito alla loro formazione di uomini e di cittadini. Qual è l'utilità del "fare teatro" oggi? L'attuale società è pronta a recepire? Penso di avere già in qualche modo risposto a questa domanda. Il teatro  è uno specchio crudele e spesso cruento della società. Restituisce a  chiunque abbia voglia di ascoltare una storia, un brivido, un’emozione, un pensiero. Il teatro fa domande non dà risposte.

Per questo serve un  pubblico preparato alla sua alchimia. Se crolla il pubblico, spesso crolla il  teatro e finisce tutto a pernacchi e frivolezza. Per cui lavorare per un  teatro migliore significa lavorare per una società migliore. Senza  semplificazioni pop. Perché la realtà è complessa. Quali sono i tuoi prossimi progetti? Il 6 luglio avrò l’onore di essere ospite presso il Teatro Andromeda del  grande scultore Lorenzo Reina. È il teatro più bello del mondo, secondo  molti critici.

Mi tremano le gambe perché il mio “Mobbidicchi” è stato  scelto e fa parte della stagione. Poi comincerà il Festival della Luce,  FELUX, quest’anno dedicato al tema dell’esilio. Apriremo domenica 14  luglio presso Trinità di Delia, al tramonto, con una formazione  meravigliosa di musicisti siciliani che operano al top del mondo. Maurizio  Curcio dirigerà questo concerto “Arie di Sicilia”: la musica tradizionale  come non l’avete mai ascoltata.

Magia allo stato puro. Il Festival continua il 21 luglio, domenica, con “Notas de Nostalgia” una interpretazione del  Fado portoghese da far venire i brividi, presso la Chiesa di San Giuseppe. Poi il 26 luglio, Maria Domenica Muci presenterà "Gomito di Sicilia" di  Giacomo Di Girolamo. Il 28 luglio, sempre domenica, ci sarà l’alba al  Chiostro di San Domenico. Uno spettacolo naturale unico con il Flamenco diretto da Deborah Idelia Brancato. Chiuderemo l'1 agosto con "Giarabub",  un testo che esordisce a Palazzo Pavone, al tramonto, con Giana Guaiana  e Maria Teresa Coraci.

Chiuso il Festival della Luce, che è alla terza  edizione, e del quale sono molto orgoglioso perché non ha un euro di  finanziamento pubblico, andremo a Partanna, il 6 agosto, nella corte del Castello Grifeo. Poi sarà la volta di dare una mano ai nostri amici del  Teatro Abusivo Marsala alle prese con un Festival interessantissimo. E  quindi forse ci dirigeremo a Balestrate per un progetto di cui posso dire  ancora poco. Dopo ferragosto saremo concentrati sulla preparazione di  un testo di Katia Regina, dal titolo “Tu che nella notte nera” con una  formidabile interprete, Melania Genna, e la mia regia.

A settembre ci  sarà il debutto del mio “Pina Volante. Giusy Barraco a muso duro”, uno spettacolo che esordisce a Palazzolo Acreide e poi a Segesta, il 4  settembre, e che mette a tema in chiave inusitata la storia di una donna  che nonostante la sua malattia invalidante non si è mai confusa con la  sua sedia a rotelle diventando anche campionessa para-olimpica. Dopo, se tutto va bene, prenderò tre settimane di ferie. Elena Manzini

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