Siamo due giovani appassionati di politica e economia, rimasti colpiti dal polverone che si è sollevato per l’approvazione dell’autonomia differenziata avvenuta il 26 giugno. Non ci siamo polarizzati e abbiamo spostato il punto di vista: “perché le regioni del Sud hanno avuto sempre bisogno, dai tempi della genesi della Repubblica ad oggi di essere finanziate, e non hanno visto neanche l’ombra di un’autonomia finanziaria”?
Oltrepassando il fatto che ormai è conclamato che durante l’unità abbiamo suito importanti danni di natura economica (e non solo). Per analizzare tale problematica si possono perseguire due filoni: uno di carattere storico, e l’altro di carattere culturale-economico.
Oggi è il secondo che si vuole analizzare e riguarda l’eccessivo peso del settore pubblico nell’economia del nostro Meridione. Già nel 2017 un articolo del Sole 24 ore rilevava che al Sud il settore pubblico pesava molto di più da noi che al Nord. Evidenziato dal fatto che “La riduzione degli investimenti pubblici, pari al 27 % tra il 2008 e il 2014, ha pesato per il 4 % del Pil nel Mezzogiorno rispetto al 2 % nel resto del Paese”. In più il report fatto dall’importante giornale di economia dimostrava che al Sud nascono poche imprese, e in più quelle che nascono difficilmente raggiungono certe dimensioni. Per capire se dal 2017 le cose sono cambiate abbiamo fatto compilare ad un campione di oltre 100 persone cosa volessero fare in futuro e quali erano, secondo loro, le problematiche principali per cui non nascono poche imprese?
( vedi https://www.econopoly.ilsole24ore.com/2017/05/02/fare-impresa-sud/)
Primo dato che merita tanta attenzione e che spiega la rilevanza del settore pubblico nella nostra economia è la percentuale di persone che vuole intraprendere una carriera nel settore pubblico: ben il 38,5 % delle persone intervistate ha l’ambizione di fare il posto fisso. Avrà influito forse Checco Zalone con “Quo Vado”.
Solo il 26% degli intervistati vuole intraprendere una carriera imprenditoriale. Il dato potrebbe non sembrare tanto basso, ma si tiene conto che buona parte degli intervistati frequenta economia il dato fa abbastanza preoccupare.
Veramente difficile fare impresa in Sicilia? dalle risposte ricevute nel nostro sondaggio sembrerebbe di sì. La maggior parte di coloro che hanno compilato il questionario ritiene che le difficoltà nel fare impresa sono principalmente: la burocrazia, le tasse e la mentalità.
Sul primo elemento non possiamo che convergere poiché già diverse analisi hanno dimostrato che i nostri uffici sono molto più lenti di quelli delle regioni del nord Italia, sul secondo possiamo dire che le tassi sono le stesse. Sulla cultura pensiamo che gli intervistati individuano l’elemento principale. Infatti da noi la verità è che c’è una scarsa attitudine a fare impresa.
In compenso però da parte dei nostri giovani c'è abbastanza ottimismo, oltre il 70% dei nostri intervistati ha risposto che nonostante le molte difficoltà è possibile fare impresa in Sicilia.
Un altro elemento positivo che converge è che finalmente anche al Sud abbiamo cominciato a capire che per fare l’imprenditore non è necessario nascere milionari. Infatti, solo il 9 % delle persone pensa che per fare l’imprenditore l’elemento cruciale siano i soldi. Buonaparte pensa che la componente fondamentale per fare impresa sono la creatività e l’innovazione (il 42 %) o conoscenze economiche-aziendalistiche (il 36%).
Per molti degli intervistati i punti di riferimento cominciano ad essere imprenditori locali, ciò vuol dire che ci sono imprenditori nel territorio in grado di rappresentare dei modelli per i giovani.
In che misura l'istruzione degli imprenditori si riflette sulle scelte, sui comportamenti e sui risultati aziendali? E quanto conta quella del personale?In un mondo con un'economia sempre più integrata e globalizzata, che richiede più competenze l'imprenditore ha il dovere di studiare e acquisire il know-how aziendalistico-manageriale. Fondamentale è anche investire in ricerca e sviluppo. Investire sulla formazione e l'innovazione, vuol dire investire nel futuro. Come ci ricorda uno dei padri dell'economia moderna, il Premio Nobel, Robert Solow, che ha condotto diversi studi sull'economia dello sviluppo.
In uno dei suoi modelli sulle dinamiche che influenzano la crescita e lo sviluppo economico, spiega che senza innovazione ed evoluzione tecnologica non vi può essere una crescita economica di lungo periodo. Oggi l'Italia investe solo 1,5% del PIL in ricerca e sviluppo contro una media OCSE del 2,7%, e non solo il settore pubblico, ma anche quello privato investe poco in R&S per via della diffusione di micro e piccole imprese. Questo può rappresentare anche un elemento di responsabilizzazione ed un tentativo di miglioramento della nostra classe imprenditoriale.
Vedremo chi sarà capace...
Baldassare Cusumano
Gaspare Giuseppe Clemente