Efebo e Satiro, un destino li ha quasi accomunati. Storia rocambolesca di un giovinetto bronzeo

Redazione Prima Pagina Castelvetrano
Redazione Prima Pagina Castelvetrano
16 Novembre 2017 21:08
Efebo e Satiro, un destino li ha quasi accomunati. Storia rocambolesca di un giovinetto bronzeo

Le recenti vicende legate al sequestro dei beni dell’imprenditore e mercante d’arte Gianfranco Becchina hanno riportato alla luce notizie, in verità già note ed abbastanza datate, come il tentativo di furto del Satiro Danzante, poi sfumato, e quello avvenuto realmente dell’Efebo di Castelvetrano.  La statua, risalente al IV sec. ed attribuita da diversi critici d'arte a Prassitele, custodito nel museo di piazza Plebiscito a Mazara del Vallo, ripescata nella primavera del 1997 dal motopesca mazarese “Capitan Ciccio” nel canale di Sicilia faceva gola a Matteo Messina Denaro che pare abbia ereditato dal padre la passione per l’arte, ed aveva deciso di fare il colpo per poi commercializzarlo attraverso sperimentati canali svizzeri. Tutto era pronto ma secondo i pentiti tutto saltò all’ultimo istante pare per una pizziata allargata che coinvolse, oltre agli agenti che erano incaricati della custodia, anche amici e parenti radunatisi per far compagnia al congiunto nelle lunghe ore della veglia notturna.

Insomma la famosa convivialità siciliana salvò il Satiro ma quando negli anni sessanta Francesco Messina Denaro decise di rubare l’Efebo di Castelvetrano il colpò riuscì perfettamente ed il recupero fu lungo, complesso e rocambolesco. Capita spesso che gli stessi castelvetranesi abbiano poca contezza del reale valore del giovinetto bronzeo, allora abbiamo pensato di rinfrescare la memoria di tutti raccontandone l’avventurosa storia, per farlo utilizzeremo fonti storiche ed anche alcuni passaggi del libro dello storico ed esperto d’arte castelvetranese  prof.Francesco Saverio Calcara,  che pubblicò nel 2002,  per i tipi di La Medusa di Marsala,L'Efebo di Selinunte, storia di un reperto singolare.

L'Efebo di Selinunte risale al V secolo a.C. ed è stato ritrovato, da un fanciullo trovatello, tale Benedetto Prussiano, nel 1882, in località Ponte Galera, nel comune di Castelvetrano.

La statuetta fu venduta al Comune di Castelvetrano per 7.000 lire dell'epoca. La statua venne sistemata nell'appena costituito Museo Selinuntino e successivamente nella chiesa di San Domenico; nel 1927 fu sottoposta ad un primo restauro presso il Museo di Siracusa, sotto la direzione di Paolo Orsi. Fu quindi esposto a Palermo al Museo Nazionale. Nel 1933, per ordine espresso del ministro Francesco Ercoli, il bronzo fu riportato a Castelvetrano ed esposto nel gabinetto del podestà su un piedistallo di marmo.

È solo una leggenda metropolitana che i sindaci di Castelvetrano lo usassero come cappelliera, mentre è vero che la gente lo aveva soprannominato «'u pupu» (la statuetta o il bambino). La notte del 30 ottobre 1962 l'Efebo venne rubato e i banditi tentarono di venderlo a collezionisti d'arte esteri ma senza successo, e al comune di Castelvetrano giunse persino una richiesta di riscatto di 30 milioni di lire.

Infine nel 1968 la polizia, sotto il comando del questore di Agrigento Ugo Macera, organizzò un'azione di recupero a Foligno che portò a uno scontro a fuoco e all'arresto di quattro persone: nel corso dell'operazione vi fu l'intervento diretto di Rodolfo Siviero, ministro plenipotenziario, noto esperto d'arte, che si finse un ricettatore interessato all'acquisto per fare uscire allo scoperto i colpevoli.

Per il recupero il comune di Castelvetrano donò sette medaglie d'oro ai protagonisti dell'operazione. Dopo essere stato sottoposto a un secondo restauro a Roma, l'Efebo fu esposto per anni al museo Salinas di Palermo, per essere finalmente restituito a Castelvetrano, dove fece ritorno il 20 marzo 1997, ospitato nel nuovo museo selinuntino di Palazzo Maio. Nel corso degli anni poi il prezioso bronzo, che gli esperti valutano in circa sette milioni di euro, ha girato il mondo per manifestazioni importanti da Londra ad Atene e perfino a Shangai, ed ha persino fatto ritorno alla sua Selinunte per una mostra temporanea.

Ma leggiamo quello che scrisse Francesco Saverio Calcara:

La notizia del ritrovamento dell’Efebo a Foligno, il 13 marzo 1968, giunse a Castelvetrano come un fulmine; immediatamente fu convocata la Giunta Comunale che, nella seduta del 15 marzo, mentre si compiaceva dell’avvenuto recupero dell’Efebo, ne chiedeva il ritorno e, quasi a voler metter le mani avanti, con delibera n. 125, approvava un progetto di massima per la costruzione di una camera blindata “idonea alla custodia degli oggetti d’arte di Selinunte e dell’Efebo selinuntino”, stanziando la prevista somma di £ 1.800.000.

Frattanto, il giudice istruttore presso il Tribunale di Perugia, dott. Giorgio Casoli, con ordinanza n. 179 del 26 marzo 1968, intimava la restituzione dell’opera “all’avente diritto”, con l’obbligo di tenerla a disposizione dell’autorità giudiziaria procedente. Il 1° aprile 1968 si riuniva, in seduta straordinaria, il Consiglio Comunale che, con delbera n. 27, decideva di conferire la cittadinanza onoraria ai protagonisti del recupero (al dott. Console, che era castelvetranese, si concesse la cittadinanza benemerita); di coniare delle medaglie d’oro con l’effigie dell’Efebo da consegnare in ricordo ai suddetti; di offrire un milione alla Delegazione per il recupero delle opere d’arte; di costituirsi parte civile nel processo che doveva celebrarsi ai Perugia contro i trafugatori; di inviare una delegazione a Roma per ottenere la restituzione della statuetta.

Alla rappresentanza castelvetranese – composta dall’assessore Antonino Calcara, padre di Francesco Saverio,  e dal legale del Comune, avv. Sebastiano Console – il ministro Siviero fece presenti le continue pressioni che giungevano da certi ambienti palermitani affinché si negasse la consegna del piccolo bronzo. L’opera, tuttavia, che aveva bisogno di un urgente restauro, fu lasciata in consegna al dott. Siviero, anche per evitare, come si disse, che potesse venir sequestrata dal Ministero della P.I.

Il 21 aprile 1968 tornava a riunirsi il Consiglio Comunale che prendeva atto dell’esito della missione a Roma e deliberava il restauro dell’Efebo.Tuttavia, l’impegno preso dal Comune fu considerato sufficiente a Roma, e così, il 9 maggio 1968, chiuso in uno speciale contenitore sul quale Siviero aveva scritto di suo pugno una dedica alla città di Castelvetrano, l’Efebo veniva consegnato ai nostri amministratori e, scortato dal commissario Console e dai brigadieri Urso e Salamone, protagonisti del recupero, caricato sul treno alla volta della Sicilia.

Fra l’entusiasmo generale, la statuetta, giunta a Castelvetrano il mattino successivo, fu portata a Palazzo Pignatelli, esposta nell’aula consiliare e quindi custodita per sicurezza nel sotterraneo del Banco di Sicilia.Passarono due anni senza che, come era facilmente prevedibile, si fossero compiuti passi significativi sia per quanto riguardava la costruzione della famosa “camera blindata” sia per risolvere il problema del restauro. Evidentemente, mentre a Castelvetrano si perdeva tempo dietro a pletoriche commissioni, qualcun altro si adoperava a caldeggiare un restauro che comportava il trasporto dell’Efebo verso altri lidi.

 L’Efebo rimase appena sei giorni a Castelvetrano; infatti con delibera n. 606 del 6 giugno 1979, venne affidato “in comodato” al prof. Vincenzo Tusa il quale, come asseriva, intendeva esporlo al Museo di Palermo in occasione di una mostra dedicata ai reperti selinuntini. La delibera, cui si allegava una convenzione, è un capolavoro di ambiguità; infatti da una parte si dice che trattasi di un semplice prestito, valido per il periodo della mostra; dall’altro si dichiara di aderire alla richiesta di Tusa “in considerazione, anche, del fatto che l’Amministrazione provveda alla costruzione di una idonea custodia del prezioso cimelio”; e mentre si conveniva che il bronzo fosse restituito a semplice richiesta dell’Amministrazione, questa subito dopo si assumeva un obbligo che costituiva un vincolo oggettivo alla restituzione.

Ecco spiegato pertanto il motivo di questa lunga, lunghissima “cattività”, per cui l’Efebo, prestato a Palermo per un mese, vi è rimasto poi per molti anni. Pur riconoscendo la legittima proprietà del Comune, l’Assessorato Regionale ai BB.CC. ha subordinato, infatti, il ritorno dell’Efebo alla realizzazione di una idonea struttura museografica che ne garantisse la sicurezza e il pubblico godimento. Completato il museo, nulla si frapponeva ormai al diritto della comunità castelvetranese a riavere “lu pupu”, E così, dopo essere stato esposto dal 27 marzo all’8 dicembre 1996 a Palazzo Grassi di Venezia, il 20 marzo 1997, l’Efebo di Selinunte, superate le ultime difficoltà burocratiche, è stato finalmente riconsegnato al suo legittimo proprietario, il Comune di Castelvetrano, nella persona del sindaco Giuseppe Bongiorno che, a buon diritto, può essere orgoglioso di aver portato a termine una vicenda così lunga e complessa.

L’Efebo fu materialmente consegnato nelle mani dell’assessore Francesco Saverio Calcara (ripetendo l'esperienza della consegna al padre avvenuta del '68) , accompagnato dal compianto dott. Paolo Natale e dal vigile Antonio Ferracane. Un merito particolare è doveroso riconoscere al prof. Giuseppe Libero Bonanno, assessore comunale pro-tempore alla Cultura, anch’egli in prima linea nel seguire la tormentata questione.

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