53 anni fa il terremoto del Belice, ferita ancora aperta per il trapanese

Redazione Prima Pagina Castelvetrano
Redazione Prima Pagina Castelvetrano
14 Gennaio 2021 22:24
53 anni fa il terremoto del Belice, ferita ancora aperta per il trapanese

«Uno spettacolo da bomba atomica». Il quotidiano L’Ora commentava così, il 15 gennaio 1968, la notizia del terremoto che rase al suolo la Valle del Belice causando 231 morti, 623 feriti e 40mila sfollati. Fu Mauro De Mauro, il giornalista rapito da Cosa Nostra nel 1970 e mai più ritrovato, il primo a documentare la totale distruzione di Gibellina. «Gibellina – scriveva De Mauro – è stata cancellata. Dei settemila abitanti, quelli che non sono sulla strada in un doloroso esodo per raggiungere paesi vicini, sono ancora sotto le macerie».

Fu un evento drammatico, quello di cinquantatré anni fa. Un evento che mise a nudo lo stato di arretratezza in cui viveva la Sicilia occidentale. Abitazioni in tufo – per questo crollate senza scampo – e cittadine composte quasi interamente da anziani, donne e bambini. Un disagio che lo Stato conosceva ma che aveva trascurato. Come furono trascurati, per anni, i superstiti del terremoto. Regione e Stato, infatti, si rivelarono manchevoli nell’organizzazione dei soccorsi e nelle prime opere urgenti di ricostruzione.

Ma, come in ogni occasione tragica, arrivò l’aiuto e la solidarietà da parte di militari, cittadini e giovani di tutta Italia. Il primo a denunciare i ritardi nei soccorsi ai terremotati fu lo scrittore Leonardo Sciascia, sempre tramite le pagine del giornale L’Ora. Il suo editoriale, pubblicato il 16 gennaio, restò nella storia. «E al Presidente della Repubblica che oggi è qui – scrisse Sciascia – sentiamo di dover dire che egli rappresenta un paese tremendo, dilacerato da contrasti.

E che la Sicilia, stanca, muore giorno dopo giorno anche senza l’aiuto delle calamità naturali». Un evento raccontato da tutti i grandi quotidiani europei che diventarono un vero e proprio ponte per lo scambio di notizie tra gli emigrati e le loro famiglie. E furono tante le foto che fecero il giro del mondo, diventando simboli del terremoto del Belice. Come quella di Cudduredda, la bambina Eleonora Di Girolamo che venne salvata dalle macerie a distanza di 72 ore dal terremoto ma che poi morì a Palermo quattro giorni dopo.

Sono tanti i ricordi, ormai impressi, di chi visse quei momenti. Chi vide crollare i propri sogni in pochi secondi, chi dormì in macchina per giorni e chi si convinse di non poter più tornare a scuola. Come quei bambini della scuola elementare di Montevago che, senza saperlo, diventarono degli artisti. Il giornalista Bruno Carbone, infatti, trovò, tra le macerie dell’istituto, venti disegni e li pubblicò in prima pagina con il titolo «Com’era bella Montevago nella fantasia dei suoi scolari».

I disegni, che vennero mostrati successivamente nella Galleria Gabbiano di Roma, commossero il mondo e diedero inizio a una sottoscrizione popolare per la costruzione di una scuola materna a Montevago. La Scuola Materna L’Ora venne ricostruita ad est delle baracche del Villaggio Trieste e venne inaugurata un anno dopo il terremoto. «L’Ora – disse, durante l’inaugurazione, il direttore didattico Michele Testoni – non ci ha dato soltanto delle mura. Ci ha dato molto di più: l’esempio di come va speso il denaro pubblico».

Il terremoto fu l’inizio di quello che venne definito il Calvario del Belice: dopo due anni erano ancora 90mila le persone che vivevano nelle baracche mentre 7mila quelli che emigrarono. Popolazioni che, però, non si arresero e che furono i primi a ribellarsi alla leva, facendo nascere in Italia il primo servizio civile alternativo a quello militare. Il dato più assurdo, però, sono i 160 miliardi spesi ma con ricostruzioni ferme. Questo, dieci anni dopo, portò a un’inchiesta sulle sprechi, gli errori e gli appalti con ditte fantasma.

Per la ricostruzione vennero spesi più di quelli che, oggi, equivalgono a 6 miliardi di euro. Una ricostruzione che non ebbe mai fine e che dimostra quanto, ancora oggi, il Belice non ha avuto giustizia. Ma ha avuto cittadini, militari, giovani e quotidiani – come il giornale L’Ora – che l’ha difeso e gli ha dato voce. Chiara Conticello

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