Rallentare il decorso del morbo di Alzheimer iniziando una terapia nella fase asintomatica potrebbe essere possibile. Lo studio preclinico è condotto dai ricercatori del Dipartimento di Fisiologia e Farmacologia “Vittorio Erspamer” della SAPIENZA Università di Roma, i quali hanno dimostrato che la progressione della malattia potrebbe essere rallentata diminuendo la neuroinfiammazione nel cervello prima che diventi evidente la compromissione cognitiva, ossia una terapia in grado di colpire le prime fasi della patologia.
A condurre la ricerca, nel ruolo di team leader, è una trapanese: la Dott.ssa Caterina Scuderi, ricercatrice di farmacologia e tossicologia presso la SAPIENZA Università di Roma. «Iniziare un intervento nella prima fase della malattia, quando sono già state innescate alterazioni cellulari e molecolari ma non si sono ancora verificati gravi danni al cervello, potrebbe offrire un modo per rallentare la progressione della demenza di Alzheimer», dichiara la Scuderi anche se «ci sono ancora pochi studi che hanno esaminato la fase preclinica della patologia e testato l’efficacia di potenziali trattamenti farmacologici».
Niente male per una ragazza partita dalla sua Trapani per inseguire la passione della ricerca, adesso divenuta lavoro. Nata a Trapani, consegue la laurea con lode in Chimica e Tecnologia Farmaceutiche presso l’Università degli Studi di Palermo. Nello stesso Ateneo inizia un dottorato di ricerca in Farmacologia e Tossicologia che completa spostandosi in diversi laboratori di ricerca italiani. Conseguito il titolo di dottore di ricerca con il massimo dei voti, inizia una vita comune a molti ricercatori: contratti a tempo determinato per svolgere attività di ricerca, soggiorni all’estero per acquisire nuove tecniche e instaurare collaborazioni scientifiche, e congressi in giro per il mondo.
Insomma, tanta determinazione e alcune rinunce che alla fine la portano a stabilirsi a Roma dove, dal 2014, è ricercatore presso la SAPIENZA. «Mi sono sempre occupata di farmacologia del sistema nervoso centrale. Avvalendomi di differenti modelli sperimentali, ho studiato i meccanismi cellulari e molecolari che stanno alla base di alcune malattie neuropsichiatriche. In particolare, sto cercando di comprendere quali sono le differenze tra un invecchiamento normale e uno patologico, come avviene ad esempio nella malattia di Alzheimer. Proprio per questa malattia, numerosi studi indicano un ruolo fondamentale della neuroinfiammazione.
Tuttavia, c’è ancora molta confusione sull’argomento ed è necessario avere cautela perché è opportuno ricordare che la neuroinfiammazione è parte della risposta immunitaria e, come tale, ha uno scopo difensivo. Sarebbe un errore pensare di contrastare la neuroinfiammazione in toto; è necessario chiarirne bene tutti gli aspetti e colpirne alcuni in modo mirato». La Scuderi, che negli anni ha avviato numerose collaborazioni nazionali e internazionali, ha pubblicato i risultati dei suoi studi su importanti riviste del settore. I lavori portati avanti dalla squadra di ricerca guidata dalla Scuderi hanno destato parecchio interesse, tanto che la ricercatrice trapanese è stata invitata a partecipare ad un congresso internazionale negli Stati Uniti, per esporre i risultati già ottenuti e quelli dei più recenti esperimenti.
Lo studio più recente della ricercatrice dimostra che attenuare la neuroinfiammazione nella fase asintomatica risulta efficace nel rallentare il decorso della malattia e potrebbe in un prossimo futuro divenire uno strumento d’intervento terapeutico. Trattandosi di studi preclinici, la Scuderi è cauta e tiene a sottolineare che: «I nostri risultati aiutano a dimostrare che la neuroinfiammazione nella malattia di Alzheimer è un fenomeno estremamente complesso con un intento essenzialmente riparativo.
Essa varia in base a diversi fattori, come lo stadio della malattia, l'area cerebrale oggetto d’indagine, e si manifesta in modi diversi a seconda dei modelli sperimentali adoperati». Un tema caldo che la Dottoressa avrebbe dovuto affrontare nel corso di un simposio dell'American Association for Anatomy durante l’Experimental Biology 2020 a San Diego questo mese (rinviato causa Coronavirus) dove avrebbe discusso le conclusioni delle sue ricerche. Nonostante il rinvio, gli atti del congresso sono stati pubblicati nel numero di aprile della rivista internazionale “The FASEB Journal”, rivista che promuove il progresso scientifico.
«Ci auguriamo che questi risultati incoraggino ulteriormente lo studio della neuroinfiammazione soprattutto nelle prime fasi della malattia, al fine di capire meglio il suo ruolo nel decorso dell’Alzheimer e progettare trattamenti farmacologici mirati a colpirne specifici aspetti» conclude la Scuderi, costretta per ovvi motivi alla quarantena forzata: «Trascorro molte ore davanti al computer, cercando di fare tutto ciò che posso da casa: lezioni, esami, ricevimento studenti, riunioni con i colleghi, e tanto altro.
Onestamente mi manca moltissimo il laboratorio e, ancor di più, il contatto con i miei collaboratori e studenti che vi lavorano. Il lavoro che facciamo è complicato e mi rendo conto che dall’esterno potrebbe apparire strano se non addirittura noioso. Ma vi assicuro che quando senti che è quello che vuoi fare, non c’è altro che ti regala le stesse soddisfazioni».