“Quattro chiacchiere con…le Sarde di Selinunte”

Redazione Prima Pagina Castelvetrano
Redazione Prima Pagina Castelvetrano
13 Aprile 2019 12:50
“Quattro chiacchiere con…le Sarde di Selinunte”

Fermo biologico per le interviste agli imprenditori , la Manzini continua ad incontrare i prodotti tipici del territorio selinuntino,  questa settimana tocca alle Sarde di Selinunte. Il vostro habitat ovviamente è il mare, in quale tratto vivete? Noi Sarde selinuntine viviamo in quel tratto del mare siciliano che va da Porto Palo a Torretta Granitola soprattutto. Viviamo nei fondali sabbiosi, dove scarseggia il plancton. Siete considerate tra i pesci di minor pregio da parte del mercato, risponde al vero? No di certo.

Noi sarduzze (come ci chiamano) sin dal 1500 dopo la cattura, eravamo vendute fresche o sotto sale. Eravamo il cibo sostanzioso per i contadini. Ci contraddistinguiamo per la nostra dimensione e per le nostre carni povere di grasso. In genere ci definiscono "pesce povero", forse perchè non abbiamo colori vivi ed accattivanti, anche per il prezzo piuttosto basso rispetto ad altri pesci perchè siamo presenti in numero abbastanza rilevante. Nella realtà le nostre carni contengono proteine ad alto valore biologico, alcune vitamine e sali minerali.

Come avviene la vostra cattura? Ci pescano a tratta, in una rete a maglie strette per ammagghiare i pesci più piccoli. Di solito prima del tramonto o all'alba. Utilizzano anche un altro metodo, forse più cruento, quello con lampara e cianciolo che imprigiona nelle maglie le teste dei pesci, provocandone un dissanguamento naturale.

A Marinella, ci vendono all'asta del pesce, u scaru, o scalo borbonico di Bruca. Un tempo eravamo messe sotto sale in valliri di legno: addette alla nostra "pulizia" erano le donne che ci staccavano la testa, toglievano le viscere e ci servivano su carta oleata. Un ruolo importante il vostro anche dal punto di vista economico per la borgata di Marinella di Selinunte... In affetti la pesca alla sarda ha rappresentato per tanto tempo l'unica attività artigianale della borgata.

Assunse importanza tale tipo di pesca nel dopoguerra tanto da divenire un'attività più o meno industriale. Venivano pescatori persino da Palermo per la cattura della pregiata neonata (nunnata). Pensi che agli inizi degli anni '50, Marinella di Selinunte era dotata di ben 24 motobarche e di 21 barche remo-vela. Tale dotazione portò il paesino a raggiungere il quinto posto tra le marinerie della provincia di Trapani. Si venne quindi a creare la Selinus, una cooperativa con 102 soci e con un capitale sociale di tutto rispetto per quei tempi, 52 mila lire.

Col tempo, però, il mercato e l'attività andarono calando a causa delle nuove tecnologie (come il sottovuoto e l'utilizzo del freddo), ma, soprattutto, dopo il devastante terremoto che colpì il Belice nel 1968. Oggigiorno, per nostra fortuna e sfortuna al tempo stesso (consapevoli di rappresentare la sussistenza di diverse famiglie di Marinella) la pesca, oltre ad essere poco redditizia, è quasi impossibile a causa delle condizioni in cui versa il porto oramai ridotto ad una sorta di pozzanghera colma di alghe puzzolenti.

Elena Manzini le foto sono tratte da https://www.ilgiornaledeimarinai.it/

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