L'elzeviro di Bonagiuso: Elogio del sentimento

L'ignoranza regna anche nella classe della cultura. La logica da bar è : se il mio è eccellente tu sei una cacca

Redazione Prima Pagina Castelvetrano
Redazione Prima Pagina Castelvetrano
15 Gennaio 2022 08:30
L'elzeviro di Bonagiuso: Elogio del sentimento

Il sentimento è una dimensione etimologicamente plurale; syn-titemi, in greco, ancora prima del sentimentum latino che si riferisce chiaramente al sentire individuale, ha in sè la radice della dualità. Syn, in greco significa appunto "insieme", e Titemi significa appunto disporre, ordinare.

La sinfonia è un insieme di voci, di suoni e la domotica è la scienza che studia la disposizione della casa. Così, per dire..

Non si prova da soli quindi, etimologicamente almeno, un sentimento. Da soli si può subire una passione, si può vivere una emozione, una suggestione, si può avere un trasporto. Ma il sentimento resta un con-sentire, un coordinare, un dis-porre. È sottinteso: insieme. È una parola duale per antonomasia. Che tragedia, infatti, i sentimenti non corrisposti. I timenti, piuttosto. Che non hanno il Syn dell'accordo. Del due.

Oggi è il rimosso del sentimento, il famoso vuoto di educazione sentimentale, educazuone che è stata evirata nel contemporaneo per far posto all'eccelso, all'eccellenza, alla individualità ipertrofica e iperpotente che funge da volano di ogni riferimento, triplicando il nefasto che accade nello specchio di narciso.

Non proviamo sentimenti (o almeno siamo incentivati a non farlo) ma facciamo parte nuovamente di clan che hanno ognuno il proprio eccellente. E a colpi di eccellenza proviamo anche a ferirci, come quel tale che per denigrare il lavoro altrui non vi entra nel merito, non ne approfondisce le ragioni o il senso, ma si limita a sbandierarvi contro la presunta eccellenza altrui. Neanche propria. Sarebbe scortese: chi si loda si imbroda, dice l'antico. Ma si usa altrui, come arma contro qualcuno. Eccellenti piramidali. La logica da bar è la seguente: se il mio è eccellente, tu devi per forza essere una cacca.

Ecco. L'eccellenza decretata per non sentire, per dissentire, più che consentire, utilizzata in modo mediocre e raccogliticcio come clava. Una enorme arena di tifo in cui si ragiona pressocchè così: io sono nulla, ma il mio alfiere, il mio idolo, il mio paladino eccellente è meglio di te. Pure se fate cose differenti, non importa. Tu insegni flauto ai bambini? Lui è flautista nella migliore orchestra. Tu sei nulla. Lui è eccelso. E che importa il discorso di Agrippa sulle parti che animano il tutto! È come se il cervello sfottesse il rene: io sono io e tu, tu non sei un cazzo. Già che siete due. Con uno si campa, e ti trapiantano pure. Robetta...

Così qualche filosofo locale: tifa più che pensare. Un po' come a calcio. Non saprebbe far goal neanche a porta vuota, ma il lunedì espone i suoi titani a commentare gli eccelsi e le cadute degli dei. Vuoto sentimentale. Certamente. Misto a impulsi di sopravvivenza, certo.

Ah, se si tornasse al sentimento, al con del sentire, alla dimensione che prevede almeno due soggetti, in relazione, per raggiungere alcunché. Altro che colpì di eccelsi altrui! Ma servirebbero le parti. Di nuovo. Non le fazioni.

Oggi invece abbiamo leader, eccellenti appunto, tifo da stadio, senza parole comuni, senza dis-corso, gregari quando ci va bene, servi sciocchi quando ci va male. La "parte", la latina pars, più che funzione del dis-corso, del sentimento, è diventata alternativa, esclusione. Non più pars che dialoga con altra pars, ma partes alternative. Non più orgoglio d'essere parte. Ma illusione d'essere oggettivi, noi che siamo soggetti, e superpartes, noi che dovremmo essere funzione di parte.

A complicare il tutto c'è anche la sempre meno beata ignoranza, che non è mai lo sconoscere la formula che genera l'amuchina, ma la disconoscenza della conquista dell'altrui parte.

Per questo l'ignoranza regna oggi anche e soprattutto nella media classe della cultura. Perché s'è fatta provinciale e minuscola, tifo di tifo, e servitù di vassallaggio. In fondo la libertà non è arbitrio ma ha radici nel dovere. Ecco. Il dovere prevede appunto un altro verso cui si deve. E il cerchio si chiude.

Senza sentimento non c'è spazio neanche per l'etica del dovere, ma solo per la moralicchia della convenienza. Quella che ci sta stritolando oggi, sempre di più.

Giacomo Bonagiuso

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