Domenica 12 giugno 2022, giorno in cui è prevista anche la tornata elettorale per le amministrative in circa mille comuni italiani (tra cui anche Palermo), ed in due comuni trapanesi Petrosino ed Erice, si voterà anche per i Referendum, anche se in molti nemmeno lo sanno. Oltre cinquanta milioni di cittadini, aventi diritto al voto, saranno chiamati a pronunciarsi sui cinque referendum sulla Giustizia giudicati ammissibili il 16 febbraio scorso dalla Corte Costituzionale (che invece ha bocciato quelli sul“fine vita” e cannabis) e indetti il 6 aprile successivo dal Presidente della Repubblica.
Si voterà soltanto domenica 12 giugno ed i seggi saranno aperti dalle ore 7 alle ore 23.
Affinché ciascuna delle cinque consultazioni sia valida dovrà partecipare alla votazione la maggioranza degli aventi diritto (la metà più uno) e dovrà essere raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.
Si tratta - attenzione - di referendum abrogativi, volti pertanto ad ottenere l'abrogazione totale o parziale di una norma esistente.
Affinché la legge oggetto del quesito sia abrogata la maggioranza dei voti espressi deve essere pertanto un sì. Abbiamo chiesto all’avvocato Tancredi Bongiorno di spiegare ai nostri lettori per cosa saremo chiamati ad esprimere il nostro voto e lo ringraziamo per la grande disponibilità.
Di seguito, nel dettaglio (seppur sinteticamente), i cinque quesiti.
QUESITO 1 - Abolizione della “Legge Severino”.
Scheda di colore rosso
La richiesta è di abrogare il Decreto Legislativo 31 dicembre 2012 n. 235, meglio noto come “legge Severino”, dal cognome della Guardasigilli all'epoca del Governo Monti) contenente disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e della illegalità nella Pubblica Amministrazione, vertente quindi in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di governo.
Il testo in vigore prevede il divieto di ricoprire incarichi di governo e l'ineleggibilità o la incandidabilità a elezioni politiche o amministrative per chi viene condannato in via definitiva per corruzione o altri gravi reati.
Secondo i promotori del referendum, una parte di questo meccanismo sarebbe risultato inefficace e a volte dannoso per le persone coinvolte. Si pensi ad esempio alla sospensione di sindaci e amministratori locali anche in caso di sentenze non definitive, poi capovolte in secondo grado con ovvi risvolti negativi sull’immagine e sulla reputazione degli interessati, oltre al danno che lo stesso territorio potrebbe subire.
Votando si, l’abrogazione - si badi bene - comporterebbe la cancellazione dell'intero testo. È questo probabilmente a rendere molto controverso il quesito, infatti chi verrebbe condannato con sentenza definitiva potrebbe proseguire il mandato o ricandidarsi e sarebbe onere della magistratura stabilire se applicare o meno la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici.
Quindi, ricapitolando, se vincerà il SÌ a questo referendum anche ai condannati in via definitiva verrà concesso di candidarsi o di continuare il proprio mandato e verrà cancellato l’automatismo della sospensione in caso di condanna non definitiva.
Come succedeva prima dell’entrata in vigore della legge Severino, a decidere su eventuali divieti di ricoprire alcune cariche tornerà ad essere solo il giudice che sarà chiamato a decidere ed a determinare se in caso di condanna sia necessario o meno applicare come pena accessoria anche l’interdizione dai pubblici uffici.
Come già accennato, l’attenzione è però maggiormente posta ai casi in cui la legge è stata applicata contro sindaci e amministratori locali che, una volta condannati, sono stati sospesi, costretti alle dimissioni, o comunque danneggiati, e poi assolti perché risultati innocenti.
Chi vota NO sceglie di mantenere invece in vigore questa legge e dunque, in caso di condanna saranno incandidabili, ineleggibili con decadenza automatica tutti i parlamentari, i rappresentanti di governo, i consiglieri regionali, i sindaci e gli amministratori locali.
Quesito 2 - Limitazione delle misure cautelari.
Scheda di colore arancione
I proponenti chiedono di limitare i casi di applicazione delle misure cautelari (restrizioni di libertà come custodia in carcere o ai domiciliari, obbligo di firma e altre a cui un indagato può esser sottoposto prima di una sentenza).
Ad elencare i presupposti per l'applicazione delle misure cautelari è l'articolo 274 del codice di procedura penale.
Il quesito propone di abrogare l’ultima parte dell’articolo in cui si prevede la possibilità, anche per reati di minor gravità, di motivare la custodia preventiva con il pericolo di reiterazione (motivazione usata di frequente come sostengono i promotori del referendum) per trattenere gli indagati anche a lungo prima di una sentenza di condanna o di assoluzione.
Resterebbe comunque la misura cautelare per i reati più gravi.
Chi difende le ragioni del NO ritiene invece che per diverse tipologie di reato (come la truffa, alcuni crimini fiscali o anche lo stalking) il rischio di reiterazione esista e dunque la custodia cautelare abbia un senso.
Quesito 3 - Magistrati e separazione delle funzioni.
Scheda di colore giallo
Il terzo quesito ha come oggetto la separazione delle carriere dei magistrati e propone di eliminare quelle disposizioni che consentono la possibilità di passare dalla funzione requirente (quella cioè esercitata dai magistrati che svolgono attività di "pubblico ministero") a quella giudicante.
Chi propone il sì ritiene che le due funzioni debbano essere nettamente separate.
Chi cioè entra in magistratura dovrebbe scegliere all'inizio della carriera il ruolo, requirente o giudicante, senza la possibilità di cambiare in seguito.
Quesito 4 - Valutazioni sull'operato delle toghe.
Scheda di colore grigio
Il quarto referendum chiede l'abrogazione delle le norme riguardanti le competenze dei membri laici (giuristi o avvocati) in seno ai Consigli Giudiziari (organi territoriali che svolgono una attività consultiva nei confronti del C.S.M., redigendo pareri relativi alla progressione di carriera, al cambio di funzioni e ad altre evenienze della vita professionale dei magistrati).
L'intento dei proponenti è evitare che la componente laica sia esclusa dalle discussioni e dalle valutazioni in merito alla professionalità dei magistrati che oggi viene invece demandata esclusivamente a chi indossa la toga.
Chi vota sì, apre alla possibilità che docenti universitari di materie giuridiche e rappresentanti dell'avvocatura dispongano del diritto di voto sia nelle deliberazioni del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione che in quelle dei Consigli Giudiziari a livello territoriale.
Ciò, a detta dei proponenti, abbasserebbe il tasso di «autoreferenzialità» nei giudizi sul lavoro delle toghe, in linea di massima sempre favorevoli.
Quesito 5 - Elezione dei componenti togati del CSM.
Scheda di colore verde
Il quesito verte sulle norme in materia di elezione dei membri togati del Consiglio Superiore della Magistratura (organo di rilievo costituzionale dell'ordinamento politico italiano, di governo autonomo della magistratura italiana ordinaria).
A parte i tre membri di diritto (presidente della Repubblica, primo presidente e procuratore generale della Cassazione), gli altri componenti vengono eletti ogni quattro anni, che siano togati (ossia provenienti dalla magistratura e votati dalla stessa) o laici (esperti di diritto votati dal Parlamento).
Attualmente, per candidarsi al Csm un magistrato deve depositare una lista di almeno 25 firme di colleghi.
Una eventuale vittoria del sì cancellerebbe la raccolta di firme e riporterebbe in vigore la normativa del 1958, secondo la quale qualunque magistrato può autonomamente e liberamente candidarsi.
Ciò, affermano i proponenti, indebolirebbe il potere delle cosiddette "correnti”. Ma i sostenitori del no ritengono che la cancellazione delle firme di lista abbia una valenza limitata contro le degenerazioni del correntismo, mentre l'articolo 33 dell'attuale riforma del CSM, contenuta nel pacchetto Cartabia, potrebbe avere un'incisività ben maggiore.
Avv. Tancredi Bongiorno