Il TAR del Lazio dice no ad ogni ipotesi di annullamento per lo scioglimento. Ma la sentenza lascia molti dubbi

Redazione Prima Pagina Castelvetrano
Redazione Prima Pagina Castelvetrano
04 Maggio 2018 11:35
Il TAR del Lazio dice no ad ogni ipotesi di annullamento per lo scioglimento. Ma la sentenza lascia molti dubbi

Il Tar del Lazio ha dichiarato inammissibile per carenza di interesse dei ricorrenti, il ricorso che era stato presentato da cinque cittadini castelvetranesi contro lo scioglimento del Comune di Castelvetrano. Si dice che spesso i sogni muoiono all’alba, questa volta è durato qualche mese ma alla fine Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio ha pronunciato la sentenza che in molti a Castelvetrano speravano fosse completamente diversa. Nella sentenza, emessa in data 02 maggio e pubblicata ieri, dai giudici Rosa Perna, Presidente FF, Roberta Cicchese, Consigliere, Estensore e Lucia Maria Brancatelli, Referendario si legge che i ricorrenti, Santa Giovanna Corso, Rosalia Ventimiglia, Niccolò Jorio Lipari, Liliana Monteleone, Maria Anna Piazza, tutti candidati nella lista che sosteneva Luciano Perricone, rappresentati e difesi dall'avvocato Carlo Comandè nella qualità di cittadini elettori candidati al rinnovo del Consiglio comunale di Castelvetrano, decaduto a seguito delle dimissioni dei precedenti componenti del Consiglio medesimo, hanno impugnato, unitamente agli atti presupposti, il decreto del Presidente della Repubblica del 7 giugno 2017, con il quale è stata nominata la Commissione straordinaria per la gestione del Comune di Castelvetrano (TP) per la durata di diciotto mesi con le attribuzioni spettanti al Consiglio comunale, alla Giunta ed al Sindaco, ai sensi dell'art.

143 D. Lgs. 18.08.2000 n. 267. Considerato che, a seguito dell’adozione di tale provvedimento, era stato emanato un decreto dell’assessorato regionale alle autonomie locali con il quale veniva disposta la revoca, con efficacia ex nunc, della convocazione dei comizi elettorali già convocati per l’11 giugno 2017, tale da incidere sulla loro candidatura, la presentazione della quale aveva richiesto un investimento in termini di tempo e risorse, gli odierni esponenti hanno dedotto i seguenti motivi di illegittimità: VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DEGLI ARTT.

3, 24, 48 E 97 E 114 COST. – VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 143, D.LGS. N. 267/2000 – CARENZA DI POTERE IN CONCRETO – ECCESSO DI POTERE PER SVIAMENTO, DIFETTO DEI PRESUPPOSTI E PER CARENZA DI ISTRUTTORIA - VIOLAZIONE E FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 3 LEGGE N. 241/1990 – ECCESSO DI POTERE PER IRRAGIONEVOLEZZA ED ILLOGICITA’ MANIFESTA NONCHE’ PER CARENZA DI VALIDO SUPPORTO MOTIVAZIONALE. La Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell'Interno, costituiti in giudizio, hanno chiesto la reiezione del ricorso.

nella foto il Ministro dell'Interno Marco Minniti All’esito dell’udienza dell’11 aprile 2018 il Collegio ha emesso un’ordinanza con la quale, considerato come, dopo il passaggio in decisione della causa, fossero emersi profili di possibile inammissibilità del ricorso, “alla luce dell’orientamento espresso dalla Sezione in materia di carenza di interesse a ricorrere sia dei componenti degli organi comunali disciolti, laddove non sia possibile configurare un utile effetto ripristinatorio, sia dei cittadini elettori, posizioni alle quali appare assimilabile la condizione dei cittadini candidati”, assegnava alle parti 10 giorni, decorrenti dalla notificazione o comunicazione in via amministrativa dell’ordinanza, per presentare memorie vertenti su quest'unica questione.

I ricorrenti presentavano specifica memoria in data 19 aprile 2018.Il ricorso, come prospettato alle parti nell’ordinanza dell’11 aprile, è inammissibile per carenza di interesse a ricorrere in capo agli odierni esponenti, per non essere gli stessi portatori di un interesse diretto, concreto ed attuale all’annullamento dell’atto impugnato. Ciò, in quanto, all’atto dell’adozione del decreto del Presidente della Repubblica del 30 dicembre 2016, in questa sede gravato, i ricorrenti, quali semplici candidati, non ricoprivano alcuna carica nell’amministrazione comunale, così che dal domandato annullamento del provvedimento di scioglimento gli stessi non trarrebbero un concreto e utile effetto – il quale potrà, in via meramente eventuale, concretizzarsi in futuro - né un apprezzabile utilità ripristinatoria, certamente non parametrabili ai profusi sforzi economici e di impegno personale (cfr.

in relazione alla pure meno evanescente posizione dei componenti del disciolto organo amministrativo le cui funzioni fossero comunque venute meno, prima dell’adozione del provvedimento di cui all’art. 143 T.U.E.L., a seguito dello scioglimento conseguente alle dimissioni del sindaco, Tar Lazio, Roma, Sez. I, 2 marzo 2018, n. 2327). La sezione ha pure escluso la configurabilità, in casi similari, di possibili implicazioni “morali” che riguarderebbero (l’interesse de)i singoli amministratori, ricordando come, per giurisprudenza costante, il provvedimento di scioglimento ex art.

143 TUEL si basa sull'accertata diffusione sul territorio della criminalità organizzata e non ha natura di provvedimento “sanzionatorio”, non avendo finalità repressive nei confronti di singoli, ma risponde allo scopo fondamentale di salvaguardare la funzionalità dell’amministrazione pubblica (cfr. TAR Lazio, Sez. I, 29 marzo 2018, n. 3542, con ampi richiami giurisprudenziali). Né utili argomenti a favore della concretezza e attualità dell’interesse attivato dai ricorrenti può trarsi dalla memoria depositata in data 19 aprile 2018, con la quale essi, da un lato, hanno collegato la ricorrenza del loro interesse a ricorrere alla (ritenuta) fondatezza dei motivi di gravame, in ciò invertendo, tuttavia, il necessario ordine di esame delle questioni, dall’altro hanno ribadito il collegamento dell’interesse medesimo con le spese sostenute e il tempo impiegato nella intrapresa campagna elettorale.

La posizione dei ricorrenti, come pure evidenziato nell’ordinanza collegiale, appare dunque non dissimile da quella dei meri cittadini elettori, con riferimento alla quale numerose sentenze della Sezione (cfr., oltre la già richiamata 3542/2018, TAR Lazio, Sez. I, 20 febbraio 2018, n. 1935 e 15 dicembre 2017, n. 12424) hanno rilevato la carenza di interesse a ricorrere, in quanto “…l'impugnazione dello scioglimento dell'organo consiliare non è annoverabile tra le azioni proponibili dai singoli elettori ai sensi del richiamato art.

9 del TUEL, e ciò in quanto la misura dissolutoria di cui all'art. 143, mentre incide sulle situazioni soggettive dei componenti degli organi elettivi, i quali, per effetto di essa, vengono a subire una perdita di status, non altrettanto incide su quella dell'ente locale, titolare di posizioni autonome e distinte, che, anzi, nella misura vede uno strumento di tutela e di garanzia dell'Amministrazione. E, pertanto, l’azione popolare in questa sede proposta per impugnare lo scioglimento del […] e la nomina di una Commissione straordinaria per la provvisoria gestione del medesimo, risulta inammissibile per difetto di legittimazione, perché lo strumento offerto dall’art.

9 del TUEL non può essere articolato per far valere azioni che non sono di spettanza dell’ente locale nell’interesse del quale si dichiara di agire (Cass. Civ., Sez. I, 10 giugno 2016, n. 11994)”. Il ricorso in epigrafe è, dunque, inammissibile per carenza di interesse dei ricorrenti, mentre l'unicità  della questione giustifica la compensazione tra le parti delle spese di lite. Questo sembrerebbe chiudere il discorso,  anche se leggendo tra le righe della sentenza si comprende il paradosso che solo i rappresentanti legali dell'Ente, che in quel momento erano prima il commissario Francesco Messineo o i commissari prefettizi successivamente, avrebbero potuto presentare  il ricorso, visto che tutti gli organi politici erano da tempo dimissionari, appunto una eventualità imperricorribile.

Ma al contempo si comprende come di fatto questo ricorso contro lo Stato Italiano, sarebbe stato difficile da vincere, per le tante complicazioni che avrebbe creato a chi aveva deciso che le cose dovessero andare in questa maniera.   L’avvocato Comandè, nella dichiarazione che potrete trovare in un’altra parte del giornale, ci rivela che non esclude a priori la possibilità di un ricorso al consiglio di Stato,  ma se questo non dovesse accadere di fatto si chiuderebbe  definitivamente la possibilità di elezioni anticipate che invece , in considerazione della durata dei 18 mesi del commissariamento, che andrebbe a scadere nella prima decade di dicembre 2018, salvo richieste di proroghe che la stessa commissione straordinaria potrebbe richiedere al nuovo Ministro dell’Interno, rinvierebbe ogni possibilità di tornare alle urne prima della tarda primavera del 2019, la città rimarrebbe così per ben due anni senza un’amministrazione eletta dal popolo.

A.Q.

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