I veri Immaturi siamo noi

Bia Cusumano ci ha inviato una riflessione sulle recenti morti di giovani studenti mentre facevano degli stage

Redazione Prima Pagina Castelvetrano
Redazione Prima Pagina Castelvetrano
16 Febbraio 2022 10:10
I veri Immaturi siamo noi

Forse oggi dovremmo fermarci un attimo a pensare in silenzio. Forse non bastano le scuse del Ministro Patrizio Bianchi e il cordoglio del mondo della Scuola. Forse qualcosa non va esattamente per il verso giusto. Ma non credo servissero le morti di Giuseppe, 18 anni, al suo ultimo giorno di P.C.T.O, e di Lorenzo, 16 anni, morto schiacciato da un tubo metallico in una azienda nella quale stava svolgendo il suo stage come un bravo alunno deve fare, per ultimare il suo percorso alle Superiori.

Forse Giuseppe e Lorenzo dovrebbero ancora domani uscire di casa con lo zaino sulle spalle, salutare velocemente nella frenesia della mattina i genitori e andare a scuola dai loro docenti e compagni di classe, tra i banchi. Forse dovrebbero con una mano fare cenno al collaboratore scolastico, sentire suonare la campanella dell’inizio delle lezioni, entrare in aula e sedersi pur tra mascherine e igienizzanti, perché ancora non siamo fuori dalla pandemia. Forse Giuseppe e Lorenzo dovrebbero studiare di pomeriggio sia al P.C.

che sui libri; forse dovrebbero chattare con i compagni e gli amici e prepararsi per quell’interrogazione che proprio sta loro sullo stomaco. E poi finalmente giunti al weekend, come tutti gli adolescenti, anche loro dovrebbero vestirsi con i jeans strappati e uscire con le loro fidanzatine o i loro amici, sempre nel rispetto delle norme anti-Covid. E invece, ovunque essi siano adesso, la loro storia non è andata esattamente così. Ora si ritrovano su tutte le testate giornalistiche ma da ragazzi che non ci sono più, tra la disperazione dei familiari che li hanno persi e la costernazione di chi guarda ciò che accade, urla o tace.

No, da madre e da docente, non credo che le scuse e il cordoglio riporteranno Lorenzo e Giuseppe alle loro famiglie, ai loro amici, al loro mondo di ragazzi fatto di sogni, speranze, amori, viaggi, interrogazioni, compiti, insomma futuro; per poi un giorno magari riuscire ad avere un lavoro, una famiglia, chissà dei figli. E allora, sempre da madre e da docente, non mi sento solo di porgere le mie scuse, perché so che se pure sentite, amarissime e profonde, non riporterebbero in vita questi due ragazzi.

E non mi sento di tacere, perché ho sempre creduto che il silenzio ci renda complici o in qualche modo collusi con le cose che non vanno, con il male, le storture o le brutture del mondo. Come sempre scelgo la parola. Ma è una parola che oggi è deserto. Una parola che apre ferite che non riescono a divenire feritoie. Non filtra alcuna luce. Solo profondo, profondissimo buio, come quello che sarà stato visto dai ragazzi alla fine del loro breve viaggio su questa terra.

Forse la Scuola non dovrebbe funzionare esattamente così. Forse non dovrebbe avere le caratteristiche di una azienda che promuove il profitto, che ha trasformato la cultura in merce, che ha convertito un luogo di Bellezza in un luogo capace anche di tranciare il futuro. Forse è giunto il momento di poterla ripensare e attuare una vera riforma del sistema scolastico e se poi questa riforma dovesse distanziarsi dal modello anglosassone o americano, pazienza! Se si ripensa e ristruttura questo benedetto P.C.T.O in un’altra maniera, chissà forse non è un tornare indietro alla scuola di Gentile, forse non sempre andare avanti è sinonimo di progresso, di successo, di stare al passo con i tempi super tecnologici e produttivi o addirittura precorrerli.

Forse, io qualche domanda di senso o di prospettiva di senso, me la farei dopo queste due morti così atroci, ingiuste e ravvicinate.

Perché si dovrebbe vivere di bellezza e non morire facendo Scuola. E la Scuola dovrebbe essere una Istituzione che protegge i nostri figli e i nostri alunni, che li accoglie, che accetta la sfida di ascoltarli, comprenderli, aiutarli a divenire autonomi e adulti, per capire quali talenti, capacità, vocazioni, risorse possiedono o possono tirare fuori per divenire nel mondo donne e uomini realizzati, soddisfatti e felici. Ci siamo persi di vista una parola sacra: “entusiasmo”.

Nessun Dio abita più dentro i nostri ragazzi. Sono spenti, delusi, amareggiati, confusi, alla deriva di un mondo di adulti che promette di ascoltarli ma non li ascolta affatto. Un mondo di adulti egotici, prepotenti, superbi, narcisisti. Un mondo che non sa accogliere la diversità e la punisce, la colpevolizza, la etichetta, la perseguita e che mira a mercificare tutto: i corpi, la cultura, l’arte, la bellezza, la Scuola. E i nostri ragazzi sono stanchi di inseguire le magnifiche sorti e progressive di un mondo che ha perso la misura, il senno e il senso.

I nostri giovani hanno già pagato un prezzo troppo alto in questi due anni, hanno pagato un conto che non era il loro ma il nostro e della nostra generazione che ha fallito, fatemelo dire, inseguendo brillanti carriere e lustrini e si è dimenticato di amarli e di esserci. Li ha lasciati soli davanti all’ultimo modello di play station, di videogiochi, telefonini di ultima generazione e cibo pronto perché solo da riscaldare. Perché noi adulti eravamo troppo impegnati per crescerli stando con loro.

La priorità assoluta era raggiungere una posizione lavorativa migliore, un avanzamento di carriera, uno stipendio più lauto e non fermarci anche solo un po’ e semplicemente ascoltarli. Leggere libri con loro, portarli in mezzo alla natura, in spiaggia, al mare a fare una passeggiata, preparare una torta, permettere loro di giocare in strada, cadere e farsi male, sudare e arrivare a casa sporchi di terra e vita. Noi non c’eravamo e i nostri ragazzi sono cresciuti soli. Poco amore, forse tanti soldi, di sicuro di più di quelli che avevamo noi da bambini ma poco amore.

E abbiamo usato spesso la scuola come il parcheggio perfetto per lasciarli custodire da altri adulti, nella speranza magari fossero migliori di noi. E i tempi prolungati sono andati bene a tutti, i progetti infiniti pur di impegnarli fuori casa, pure. Perché è la Scuola delle competenze e delle abilità non più delle conoscenze. È la scuola che deve prepararli al mondo del lavoro, abituandoli fin da ragazzi che si fanno soldi nella vita e poi se si è infelici e frustrati poco importa.

No! Non credo sia proprio questo il mondo che avrei voluto per mia figlia e per i figli degli altri. Tutti oggi proviamo una amarezza profonda a sentire notizie così liquidate da lapidarie scuse. Ma Lorenzo e Giuseppe questa sera non torneranno a casa e domani non andranno a scuola e non sono morti perché si erano sballati di droga o alcool. Non sono morti perché correvano come matti sui motorini o sulle macchine di notte tornando dalle discoteche. Perché è facile, troppo facile puntare il dito e dire che è una generazione di ragazzi falliti, immaturi, abulici, spenti, indecisi, che non vogliono crescere, che vogliono restare con mamma e papà e non vogliono assumersi responsabilità.

Troppo facile, assolversi e mettersi la coscienza a posto così. Ma mi chiedo e vi chiedo: chi li ha messi al mondo questi ragazzi così “immaturi”? E noi mentre loro crescevano male, dove eravamo? E la Scuola ha solo saputo correre con l’ansia del programma da portare a termine o ha saputo guardarli negli occhi questi ragazzi? Li ha sommersi di carte e progetti o ha saputo ascoltarli? Li ha portati attraverso i percorsi di Alternanza Scuola-lavoro, la cui sigla ora è P.C.T.O., o ha saputo riempire prima di tutto un vuoto incolmabile di amore che i nostri alunni e figli hanno dentro? E ora durante le loro proteste nelle diverse piazze d’Italia davvero se le meritano le manganellate perché urlano la loro rabbia devastante ed esprimono il loro disagio, con forza e senza temere conseguenze?

Non mi sento di chiedere scusa solo ai genitori di Lorenzo e Giuseppe, da madre e da docente chiedo scusa a tutti i ragazzi e le ragazze che hanno urlato che i veri immaturi siamo noi. Abbiamo sbagliato. Abbiamo fallito. Hanno ragione; forse è il momento di fare ammenda. Con umiltà e tenerezza abbracciarli e chiedere scusa per imparare ad ascoltare il loro disagio non con promesse sempre disattese, perché non meritano essere presi in giro e non meritano sempre le nostre accuse.

Se hanno fatto male è in primis responsabilità nostra, e se faranno meglio di noi sarà merito loro, perché hanno capito che qualcosa non va esattamente nel verso giusto in questo mondo che li consegna alla morte e poi chiede velocemente scusa. Non si tratta di sicurezza sul lavoro, non solo. Lo so, In Italia ogni giorno muoiono tantissime persone perché i nostri posti di lavoro non sono sicuri o almeno sicuri per quanto dovrebbero essere e le cose, si sa, un po’ noi Italiani le facciamo con superficialità e a volte con un poco di indolenza ma finché finisce tutto bene è andata...

e se poi avviene la disgrazia si corre a scaricare le colpe e le responsabilità sul Sistema. Ma quale Sistema? Ma non è che questa burocrazia in Italia è così farraginosa e complessa per coprire le magagne e trovare sempre alibi perfetti, così la colpa rotola e rotolando si smarrisce strada facendo? Non è che poi il Sistema l’ha creata a bella posta una burocrazia così complicata e spesso inconcludente per uscire sempre a testa alta se pure con il cuore sporco? Tanto il cuore sporco non lo vede nessuno.

La testa alta e la fronte eretta sì. E poi ancora questo Sistema da chi è fatto? Da macchine senza anime o da uomini? Perché io ancora alla mia età me lo chiedo. Mi spiace. Hanno ragione a protestare e voi fareste bene piuttosto che a punirli perché protestano ad ascoltarli e a chiedere scusa abbassando il capo. Non è questo il mondo che avevamo promesso loro, li abbiamo traditi. Hanno ragione a essere infelici, disorientati e tanto tanto arrabbiati. Hanno ragione a dire che i veri immaturi siamo noi.

Loro forse la Scuola se la erano immaginata un posto migliore e forse saremmo anche in tempo ad aggiustare il tiro se solo davvero lo volessimo. Basta lezioni cattedratiche, abbracciamoli questi ragazzi, che loro sono il nostro orgoglio, ma noi mica tanto il loro. Sì, le mie scuse questa sera sono le mie parole che fanno deserto per accogliere la loro sofferenza, le loro lacrime e la loro paura. Avete ragione, si vive di Bellezza e non per morire a Scuola.

Bia Cusumano

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