Faro di Posizione: Vite tradite

Bia Cusumano racconta di tre donne accomunate dall’amore per la bellezza: Alda Merini, Maria Fuxa, Camille Claudel

Redazione Prima Pagina Castelvetrano
Redazione Prima Pagina Castelvetrano
14 Marzo 2023 09:00
Faro di Posizione: Vite tradite

Marzo è un mese particolare, dondola tra l’otto marzo giornata internazionale delle donne e il 21 marzo, giornata mondiale della Poesia. A metà mese, il 14 data del mio contributo da scrittrice e docente, attraverso una mia riflessione, alla redazione di Prima Pagina, con la rubrica che segna una direzione di rotta, un radicamento viscerale alle parole. Ho deciso di dedicare il mio 14 marzo a tre donne artiste, due poetesse e una scultrice, accomunate non solo dall’amore per la bellezza in tutte le sue variegate forme ma da vite tradite.

Le chiamo a raccolta le mie donne: Alda Merini, Maria Fuxa, Camille Claudel. Potrei raccontare infinite cose su queste donne ma ciò che le lega è essere state vittime di tradimenti feroci e crudeli proprio da parte di chi o per codice genetico o per legame d’anima doveva proteggerle, amarle, custodirle, accarezzarle dolcemente nelle loro fragilità e altresì nella loro immensa sapienza e maestria di essere grandi artiste. Tutte e tre sono e restano donne violate e tradite perché “diverse” ovvero libere di esprimere il loro talento unico ed originale senza compiacere alcun sistema: familiare, sociale, finanche etico.

Alda, la poetessa dei Navigli a cui strinsi le mani non può che essere la prima donna a cui rivolgo le mie parole.

Ero una ragazzina quando varcai la soglia della sua casa a Milano, giungendo dalla lontana Sicilia. Non credevo potessi guardarla dritto negli occhi e ascoltare il suono della sua voce così da vicino. Mi restano molti ricordi di quell’incontro che ancora oggi, donna adulta, ormai docente e scrittrice, rivivo con emozione intima e profonda commozione. Quando Alda capì che ero una laureanda in lettere moderne e che avevo scelto proprio lei, la poetessa folle, a cui dedicare la mia tesi di laurea, mi guardò intensamente con i suoi occhi cerulei e mi disse: “Viene dalla Sicilia, lei, signorina? Ma lei lo sa che Quasimodo mi amava profondamente? Eppure lo picchiavano il mio poeta, perché si era innamorato di me.

I suoi familiari non volevano che mi amasse, ero una donna finita in manicomio, una donna con un divorzio, quattro figlie, un marito fornaio che mi fece internare. Così del nostro amore restano lettere e rimpianti feroci. Non ebbe la forza, signorina, di mettersi tutti contro. Ma amava Alda Merini! Mica una baldracca qualsiasi!” Poi aggiunse, sempre guardandomi con fierezza: “Questo però nella tesi non lo scriva - Io l’ho perdonato il mio poeta, bisogna essere uomini forti per amare una donna come me.

Mi amava ma obbedì alle leggi della sua famiglia e della sua terra.” Alda Merini fu tradita per la prima volta dal marito Ettore Carniti. Fu proprio lui infatti a chiamare l’ambulanza per fare internare la moglie perché folle. Dieci anni di manicomio e di torture, di violenze inaudite. Le furono tolte le figlie, le fu negata la libertà, una famiglia, una vita che sarebbe potuta scorrere tra poesia e lavoro accanto ad un marito che l’avrebbe dovuta amare e non lasciare alla deriva dell’incuria e della persecuzione.

La matta dei Navigli, così poi fu stigmatizzata da molti eppure lo disse fermamente lei: “i veri matti sono fuori il manicomio, non dentro”. Una storia intessuta di dolore, tradimenti, violenze e bellezza sconfinata. Non vinse mai il Nobel per la Letteratura, figuriamoci se il governo svedese poteva mai concedere una tale onorificenza prestigiosa ad una donna “folle”. Lo vinse Salvatore Quasimodo nel 1959. Strano gioco del destino. Eppure da parte di Alda Merini ricordo solo parole d’amore per il suo poeta.

Nessuna invidia, nessuna competizione, nessuna rivalità. Una complicità segreta segnata da una rottura inevitabile, perché lei donna forte e ribelle, lui uomo siciliano che non poteva osare contraddire il falso perbenismo borghese, le aspettative sociali, le imposizioni dei suoi familiari. Maria Fuxa subì lo stesso vile tradimento, addirittura doppio, da parte dell’allora fidanzato e della sorella Nicoletta. Anche Maria, donna di elevata sensibilità e profondità di mente e cuore, visse più della metà della sua vita in manicomio.

Donna di costituzione fragile e delicata non sopportò di essere tradita e violata dai suoi affetti più cari e intimi. La sorella Nicoletta intrecciò una relazione con il fidanzato che lei amava moltissimo, e scoperto l’inganno e il vile gesto di essere tradita da chi l’avrebbe dovuta amare, proteggere, rispettare, Maria crollò in una profonda crisi depressiva. Si aggrappò alla parola e alla bellezza della poesia per salvarsi e dare un senso alla sua vita. Non era folle, come non lo era Alda Merini.

Era una delicata poetessa che seppe finanche perdonare quella sorella snaturata e quel fidanzato bugiardo e fedifrago ma non fu mai abbastanza il suo profondo amore per il mondo ingiusto e pieno di orrori. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, la vista di tutti quei cadaveri e lo strazio del dolore altrui la indussero a scappare da Milano dove alla morte dei suoi genitori, si era rifugiata per una breve parentesi, paradossalmente proprio presso la casa della sorella che l’aveva tradita, ormai sposa dell’ex fidanzato, divenuto ormai cognato. Ritornata in Sicilia, non vi era altro posto per lei che il manicomio, ovvero La Real Casa dei Matti di Palermo.

Una vita di bellezza struggente, intessuta di abominevoli soprusi e tradimenti. Il manicomio fu luogo di torture e paradossalmente l’unico rifugio possibile per la nostra poetessa di Alia, piccolo paesino dell’entroterra siciliano. Alda e Maria, due vite tradite eppure totalmente donate alla bellezza e alla poesia che salva da ogni orrore. Camille Claudel fu una scultrice francese, donna libera e di certo non folle. Anche lei scontò questa sua libertà creativa e immaginifica e il suo essersi innamorata di un uomo già impegnato e sposato, il grandissimo artista Rodin.

Pagò fio con il manicomio. Internata e tradita, lasciata sola, nel dolore e nella sofferenza da chi doveva amarla e scegliere di proteggerla. L’unico che le fu sempre vicino fu il padre che riconobbe nella figlia uno straordinario talento e che mai cercò di soffocarla perché artista, a differenza della madre e del fratello che mai le perdonarono l’estro talentuoso coniugato alla libertà di autodeterminare il proprio destino di donna. Donna libera che si spense in manicomio senza nessuno della sua famiglia di origine presente al suo rito funebre.

Solo il personale del manicomio partecipò ai funerali di una delle più grandi artiste del novecento francese che trascorse la sua vita rifiutata, tradita, abbandonata e rinchiusa in un manicomio. Alda, Maria e Camille sono tre esempi di donne artiste, libere e autentiche, non folli. Ma la loro libertà è stato motivo di persecuzione, di camicia di forza, di stimmate che ancora oggi pesano sulle coscienze di un mondo occidentale così subdolamente maschilista, spesso misogino, castrante e mortificante per le donne ben lontane purtroppo da ogni se pur invocata e caldeggiata, “parità di genere”.

La mia riflessione non vuole muovere accuse, nonostante queste tre vite tradite bastino senza che io aggiunga altro ad indurci a riflettere con amara consapevolezza. In realtà, la mia riflessione è un invito ad accogliere la diversità sempre eccedente e sempre sovversiva dell’altro che è e resta un mistero insondabile per ognuno di noi. Una diversità che è unicità, che è tratto distintivo di ogni essere umano, indipendentemente che sia di sesso femminile o maschile. Il mio pensiero vola adesso alle donne afghane, turche, siriane, torturate, picchiate, svilite, uccise, tradite e violate.

Il mio pensiero corre alle mie alunne, figlie di questa terra ancora troppo fortemente legata a maschere sociali, rituali farseschi, falso perbenismo, apparenze ammantate da vuota rimbombante etica, grettezze abominevoli per essere giunti nel terzo millennio. L’altro è sempre ospite dentro il nostro mondo, e finché non impareremo ad accoglierlo e a custodirlo come ricchezza preziosa e genuina e saremo invece spinti a sopraffarlo, a schiacciarlo, a tradirlo, ad omologarlo, ad ucciderlo, metaforicamente quando non finanche realmente, avremo sprecato l’unica possibilità che ci è stata concessa per essere chiamati essere umani: accogliere, custodire, amare, prenderci cura dell’altro, nostro fratello, nostro compagno di viaggio e traversata.

Il mio omaggio per la giornata Mondiale della Poesia va alla mia amata Alda e a Maria Fuxa che tanto sento a me vicina, perché siciliana come me, perché donna aggrappata alla bellezza come me, perché docente come me. Maria era maestra e incontrò molti giovani alunni di tante scuole, uscendo brevemente durante il giorno dal manicomio, per parlare di poesia. Il mio omaggio alle donne per il trascorso otto marzo si compie celebrando tre artiste che seppero creare dentro le loro vite tradite, arte.

Approdo, rifugio, salvezza, senso, direzione. Tre donne che segnano ancora oggi tre fari di bellezza somma a cui non si può che guardare con commozione e riconoscimento, ammirazione e orgoglio. Le affido ai mei alunni tutti, giovani uomini e donne a cui spesso rivolgo le mie lezioni di letteratura italiana mischiate a riflessioni sulla vita. Le affido al futuro perché possa riscattare il loro passato violato. Le affido alle mie parole che non potranno mai risarcire il male che hanno subito eppure ho l’ardire di credere che appena una carezza possa giungere sui loro volti, proprio dalla mia rubrica.

Una carezza sul volto di Alda, la poetessa dei Navigli che barattava versi per un pasto caldo. Una carezza per Maria che raccontò il dolore e la resilienza a tanti alunni e la capacità di salvarsi dall’orrore attraverso l’amore per la cultura e la poesia. Una carezza sul volto di Camille segnato dall’atroce abbandono da parte della famiglia perché leggeva, giocava ad impastare l’argilla, creando opere d’arte e amava un uomo sposato. Voglio accoglierle dentro il mio faro, arroccato lì dove tutto ciò che resta e sopravvive è bellezza anche se il fio da pagare è il dolore, l’incomprensione, l’invidia, la derisione, la violenza psichica e fisica.

Le vedo tutte e tre sporgersi, dall’alto del mio faro sul mare mediterraneo affini e sorelle. Restare rapite dalla bellezza infinita di ciò che il mondo sa essere, se sceglie di esserlo. Un posto ospitale e non un lager. Ai miei alunni, rivolgo un invito sommesso. Abbiate sempre la forza di seguire le vostre vocazioni, non fatevi incastrare e castrare dalle prestazioni smaniose e ingorde di adulti immaturi e infelici. Sognate e siate liberi. Non abiurate il vostro sentire. Non rinnegate mai le vostre passioni e i vostri desideri.

Solo così la storia si cambia e non si ripete. Solo così, Alda, Maria, Camille e infinite altre donne avranno ancora simboliche carezze sui loro volti e sulle loro vite tradite e saranno le vostre mani a donargliele.

Bia Cusumano.

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