Castelvetrano e'.....Don Giacomo Putaggio

Elena Manzini per la sua consueta rubrica ha intervistato un parroco amato dai giovani e dai parrocchiani di ogni età

Redazione Prima Pagina Castelvetrano
Redazione Prima Pagina Castelvetrano
14 Febbraio 2022 08:35
Castelvetrano e'.....Don Giacomo Putaggio

E' la prima volta che intervisto un sacerdote. Ringrazio don Giacomo per aver accolto la mia richiesta. Perché un sacerdote? Perché, in silenzio e senza troppo clamore, un sacerdote è colui che riesce a dare il senso di comunità, ad accogliere chiunque è disposto ad ascoltare, ha bisogno di aiuto, ha bisogno anche solo di fare quattro chiacchiere.

Don Giacomo quando ha iniziato il suo Ministero Pastorale a Castelvetrano? E dove?

Ho iniziato il mio ministero il 4 ottobre 2021 nella parrocchia di San Francesco di Paola.

So che ha esercitato la sua missione pastorale anche in altre parrocchie, cosa si prova ogni volta che si lascia una parrocchia, fedeli, amici?

Credo che innanzitutto gli amici non si lasciano mai, l'amicizia va oltre il ministero che si svolge all'interno di una parrocchia. Fondamentalmente è un dispiacere lasciare una parrocchia: perché si da la vita. Ci sono stato 9 anni. Ho condiviso momenti belli e meno belli con tutti. Sapere di dover lasciare nel cuore, ancora oggi, si apre una ferita. Non nascondo che prego per loro, per la comunità. Quando noi sacerdoti accettiamo di svolgere il nostro ministero sappiamo sin dall'inizio non siamo bloccati in un luogo. Prima di diventare preti sappiamo benissimo di non restare in eterno in una comunità ma siamo chiamati ad un servizio, pensato anche come forma di libertà. E' una cosa bella la libertà di portare la parola di Gesù in altre comunità, nel servire la Chiesa, i fedeli.

Quale è stato il suo primo pensiero quando le fu comunicato che sarebbe diventato parroco della comunità di San Francesco di Paola?

Non ho avuto un pensiero particolare. Questa comunità non la conoscevo e non ne avevo mai saputo nulla. Quando il Vescovo mi aveva prospettato questa "nuova avventura" ho accettato. L'ho vista come una nuova esperienza da mettere nel mio cuore, nel mio bagaglio culturale. Non ho avuto paura o sentimenti particolari. Non nascondo ovviamente alcuni timori, come dissi al mio ingresso in parrocchia: mi sentivo un po' come Abramo quando ricevette da Dio il compito di lasciare la terra e di andare in un'altra terra. Questa cosa mi ha fatto riflettere. Timori ma anche molta fiducia: alla fine siamo nelle mani di Dio. Se lui mi ha voluto qua, mi aiuterà anche a svolgere al meglio il mio ministero.

Lei è un prete giovane, "è social" come si suol dire oggi, pensa che utilizzare questi nuovi mezzi di comunicazione può avvicinarla maggiormente ai giovani?

Per me i social non sono strumenti per fare discepoli. Sono semplicemente un aspetto sociale, un aspetto di comunicazione. Lo suo per informare in merito le iniziative all'interno della parrocchia o per esprimere alcuni pensieri che possano far riflettere. Non penso di fare una pastorale sui social. Per me io la vedo come una finestra verso il mondo, che ci permette di aprirci al mondo, alla nuova realtà dei giovani. Non credo vadano eliminati bensì siano elementi che ci possono aiutare a creare relazioni che poi però si devono concretizzare nel rapporto umano, fisico. Sono strumenti necessari per affacciarmi alla realtà giovanile.

Di cosa hanno bisogno oggi i giovani?

Oggi i giovani hanno bisogno di persone che sorridono, di persone che non li guardino con pregiudizio. Hanno bisogno di adulti che sappiano dialogare con loro, senza criticarli e senza sentirsi sempre maestri. Anche noi adulti siamo stati giovani ed abbiamo avuto esperienze, anche negative. Dobbiamo essere i loro compagni di viaggio. Dobbiamo essere coloro che sanno sorridere e non addossino loro pesi o colpe. Quando sbagliano aiutarli e farli rialzare ed andare avanti. Dobbiamo essere dei punti di riferimento. I ragazzi non sono stupidi, sanno guardare, pensare. Noi dobbiamo semplicemente cercare di portare avanti il nostro esempio senza appesantire le loro esperienze e sempre col sorriso sulle labbra. Quando i ragazzi ci vedono criticare, imbronciati, ci piangiamo addosso, piano piano si allontanano.

Come si può spiegare la Fede in Cristo ai giovani, a chi è titubante, a chi ha mille perplessità?

Questa domanda si riallaccia alla precedente. Noi preti non siamo chiamati a dare risposte. Siamo chiamati a consegnare una figura, che è la figura del Cristo. Non possiamo pensare di trovare una soluzione a tutto, a volte le soluzioni non ci sono. Dobbiamo semplicemente essere compagni di viaggio. Noi che crediamo in Gesù dobbiamo portare chi è titubante, i giovani, chi ha perplessità ad incontrare un Gesù allegro, lontano da quello che possiamo immaginare. Lontano da quel Gesù che sa solo condannare, far portare dei fardelli. Per noi Gesù è quella figura di libertà, che ci fa andare oltre quei problemi, quelle situazioni o figure che noi abbiamo creato nelle nostre menti.

Lei ha saputo in poco tempo attrarre le simpatie dei parrocchiani e di tanti giovani, soprattutto. Quale formula "magica" ha utilizzato?

Nessuna formula magica. L'unica cosa è che sono entrato e sto entrando in questo bellissimo paese, in punta di piedi. Sto cercando di far capire che la Chiesa è una comunità. Non ci deve essere solo il prete che ha la prima e ultima parola. Ma tutti insieme dobbiamo cercare di camminare avanti, portare avanti la logica del Vangelo, la logica di Gesù. Che è poi quello che ci comunica Papa Francesco: saper dialogare con tutti e vedere l'altro non come un nemico ma come un fratello. Un fratello che può sbagliare ma lo si deve aiutare ad andare avanti.

Nel cuore dobbiamo sempre avere la bellezza di Gesù, che ci guarda, che ci parla, che ci abbraccia che ci fa sentire uomini e donne di casa. La parrocchia deve essere una casa aperta a tutti. Soprattutto accogliere tutti col sorriso. Già le persone vengono in chiesa con tanti problemi. Io parroco non mi posso mettere a fare storie, richiamare, se non per far capire. La gente ha bisogno di preti che sorridano e che sappiano piangere quando c'è da piangere. Il sorriso è l'espressione più bella del Cristo risorto.

Quando ha sentito dentro di sé che la sua vita sarebbe stata portare e far comprendere la parola di Dio?

Sono entrato in seminario a 14 anni. Ho sentito questo forte desiderio di consacrare la mia vita a Dio sin da piccolo. Un desiderio che poteva essere legato al niente che col tempo si è concretizzato in una realtà vera. Il Seminario mi ha aiutato molto a comprendere se quel desiderio era veramente una chiamata da parte di Dio. Questo l'ho sperimentato grazie ai miei formatori. Ho avuto vari Rettori come don Vincenzo Greco,don Liborio Palmeri, don Giuseppe Biondo, don Vito Impellizzeri figure che mi hanno sempre aiutato nella mia crescita, nel mio cammino e nel cercare di capire realmente se questa era la mia chiamata. Poi abbiamo capito. Non sempre basta la chiamata bisogna anche fidarsi del discernimento che la Chiesa fa su di te e la Chiesa ha visto in me la vocazione, quindi sono diventato prete.

La Fede si trova maggiormente tra gli agi o dove c'è la povertà?

La fede si trova in tutti i posti. Non ha un luogo stabilito. E' come l'aria, non possiamo dire che ci siano dei punti nel mondo dove non c'è aria. La fede deve essere l'ossigeno che abbiamo, che cerchiamo. Talvolta può esserci l'aria pesante in certi posti.

In cosa consiste il "lavoro di un prete"?

Più che lavoro la chiamo missione. Significa che la nostra vita è della parrocchia, è della comunità. Io non ho orari stabiliti per incontrare la gente. Se qualcuno mi telefonasse e volesse parlare con me, lo incontro tranquillamente e serenamente. Fare il prete non è un lavoro che ha orari. Ci saranno a volte dei momenti in cui non sono subito disponibile. Fare il prete non l'ho mai visto come un lavoro ma come una vita spesa e donata alla comunità. Un mio vecchio parroco mi diceva che: "il prete è quella carne donata alle persone".

Ha un santo, un uomo di chiesa in particolare a cui si ispira?

Non ho un santo particolare a cui faccio riferimento. Quasi tutti i santi mi affascinano: ognuno ha una sua caratteristica particolare che io cerco sempre di guardare per imitare. Questo mi aiutata tanto. Ad esempio, qui in parrocchia il "padrone di casa" è San Francesco di Paola che ha avuto una vita stupenda, bellissima che mi aiuta tanto a comprendere come essere un vero cristiano. Non dobbiamo dimenticare che il prete è, prima di essere tale, un cristiano come tutti gli altri e deve cercare di vivere il suo rapporto con Dio in modo costante, chiedere sempre ogni giorno il dono della fede, il dono di portare avanti la motivazione originaria che mi ha spinto ad abbracciare il mio ministero, il mio servizio.

Il Mondo è costantemente in guerra, cosa potrebbero e dovrebbero fare i vari capi religiosi affinché si ritorni a dialogare e non ad usare le armi?

Credo che il lavoro debba essere fatto alla base. Come dice Papa Francesco: "noi siamo chiamati a formare le coscienze". Formare le coscienze significa che nel momento in cui noi le formiamo, l'unico riferimento diventa la parola di Dio. A quel punto le coscienze non penseranno, parleranno più di guerre ma di amore di amore fraterno, di comunione e vedrà l'altro non come un nemico ma un fratello, che se sbaglia si deve riuscire a superare le difficoltà. Io credo che sia questa la realtà che noi preti oggi in questo Sinodo che il Papa ha indetto, dobbiamo analizzare. Siamo chiamati a parlare alla gente per formare le coscienze, il che non significa plagiare, bensì avere una mente critica di fronte le realtà, alla riscoperta della propria fede. Quando si ha la fede in mano non c'è più spazio di vivere e pensare alla guerra.

Ora qualche domanda, "più facile"....Che tipo di musica ascolta?

Io non ascolto un tipo di musica particolare, tutti i generi. Ho un cantante di riferimento quando sento il bisogno di riflettere: Fabrizio de Andrè. Mi metto ad ascoltare le sue poesie.

C'è una canzone in particolare che le piace?

Quasi tutte mi piacciano.

Ha praticato sport o c'è uno sport che segue?

Non ho mai praticato uno sport. Seguo il calcio. Ho una squadra del cuore che è l'Inter.

C'è una frase di qualche personaggio famoso che l'ha portata a riflettere?

Non ho punti di riferimento di questo genere. Io cerco di avere tutto e poi prendere da questo tutto alcune cose che mi possono aiutare nella riflessione. Aristotele, Socrate, Dante, Seneca: li ho conosciuti negli anni di studio sia alle scuole superiori che all'università, anche pensatori teologi. Mi hanno sempre aiutato a riflettere. Il personaggio che ho come una sorta di punto di riferimento è San Massimo, il Confessore. Un santo, venerato sia nella chiesa orientale che occidentale. Il suo pensiero, il modo in cui ha spiegato la celebrazione eucaristica sono i miei punti di riferimento. La celebrazione eucaristica non è un semplice un rito ma la realtà dell'incontro della chiesa cielo, dei santi, la chiesa terrestre, la chiesa di noi peccatori, la chiesa fatta di noi che siamo santi che per le nostre condizioni che viviamo il peccato.

Elena Manzini

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