L’agricoltura italiana? Troppo indifesa

Redazione Prima Pagina Castelvetrano

Dopo la soia transgenica, il latte dalla Slovenia, quello condensato dall'Olanda, l'olio dalla Tunisia, Grecia e Turchia, arance dal Marocco, dalla Spagna, limoni dall'Argentina, pomodori dalla Cina, e via discorrendo ora abbiamo pure i pomodori dal Camerum. Ma i prodotti agricoli italiani possiamo trovarli da qualche parte? Possiamo pensare di arrivare a mangiare cibo vero "made in Italy" senza doverlo pagare a peso d'oro? Perché l'assurdo di quegli accordi stipulati dai politici italiani nelle sedute all'Unione Europea sono tutto fuorché in difesa del nostro prodotto, qualche briciola viene accordata all'Italia...ricordo ancora quando si doveva decidere per l'importazione delle arance dal Marocco che guarda caso mancavano 30 "personaggi" siciliani, i quali avrebbero avuto tutto l'interesse ad essere presenti ma ognuno se ne uscì con una scusa.

Una pseudo-buona notizia è la reintroduzione dell'obbligo di indicare lo stabilimento di produzione o confezionamento in etichetta" per tutti i derivati del pomodoro. Il provvedimento introduce la sperimentazione per due anni del sistema di etichettatura con l'obbligo di indicazione dell'origine dei derivati del pomodoro, come per i prodotti lattiero caseari, pasta e riso. Il decreto si applica ai derivati come conserve e concentrato di pomodoro, oltre che a sughi e salse che siano composti per almeno il 50% da derivati da pomodoro.

Il decreto prevede che le confezioni di derivati del pomodoro, prodotti in Italia dovranno indicare in etichetta:

  1. a) Paese di coltivazione del pomodoro
  2. b) Paese di trasformazione del pomodoro.
Nel caso le due fasi dovessero avvenire in più Paesi possono essere utilizzate, in base alla provenienza, le diciture: Paesi UE, Paesi NON UE, Paesi UE e NON UE. Se tutte le operazioni dovessero avvenire nel nostro Paese si potrà usare la dicitura: "Origine del pomodoro: Italia".

Le indicazioni sull'origine dovranno essere poste in etichetta in un punto evidente e nello stesso campo visivo in modo da essere facilmente riconoscibili, leggibili e indelebili. Un provvedimento, però, che non può soddisfare appieno il compratore finale in quanto le diciture sono comunque troppo generiche, non si riesce comunque alla fine sapere l'esatta provenienza.Che, ad esempio, vi siano prodotti provenienti da Pesi UE non è di certo indice di un buon prodotto, visto che in alcuni Paesi è consentito l'utilizzo di sostanze chimiche che in Italia sono vietate.

Elena Manzini