La vera antimafia sta nella formazione delle coscienze alla fatica del bello

Redazione Prima Pagina Castelvetrano

Sono sempre stato un "filosofo" sui generis. Più che alla contemplazione della teoresi, mi sono sempre lasciato fascinare sallo stupore, dalla meraviglia da cui origina il filosofare. Non per restare nello stupore, ma per seguirne il tracciato in avanti. Non all'archè insomma, alla origine, convinto che il big bang, Dio o un cazzicatummolo a botta di culo avrebbero stessa possibilità di dimostrazione logica, ma al domani.

Il senso è nel futuro, me lo hanno insegnato i miei compagni di viaggio ebrei, studiati con stupore, poco inclini alla metafisica e molto di più all'etica. Ciò che importa dell'essere è il suo dovere essere. Cioè ciò che intendiamo farne. Non la predica. Ma la cosa. Lasciare essere ciò che si dice. Razzolare, insomma. Possibilmente bene. E bene e bello sono più che fratelli. Necessari.

Ed ecco perché il mio amore filosofico è transitato, attraverso il pensiero ebraico, fino a Molina, Beck, ebrei, e al loro Living Theater, poi a Barba, Grotowski, all'indietro, e, poi in avanti, al mio Kepos Performing Theater. E alle palestre di tante scuole, le aule, con le luci a metà. E i ragazzi. Tanti.

E naturalmente la fatica del concetto in filosofia torna in sala prove, intatta, per sondare in provincia la convinzione del quadretto da mulino bianco che l'arte si porta addosso come finzione. Tanto non è vero! Ma essa è vita, non specchio di vita. Coerente. Non casuale, ma determinata.

Forse perché la gente ad un certo punto si corazza di piombo e di forme, che questo è un viaggio tra le bombe e tra le macerie, che sentivo e ancora sento il dovere di fare. Perché era giusto, e lo è, e perché valeva la pena di viverlo. Anche se questa filosofia sul campo brucia l'anima più di un tomo.

Insomma, nel mio laboratorio di teatro non si recita niente. Nessuna manina in aria ad accompagnare la poesiola. Nessuna retorica. Nessuna banalità. L'arte non recita niente. Non tutti seguono la scala fino al gradino del comprendere. Comprendere l'ovvio. Che il corpo, la tensione delle cose, produce racconto ed energia. Basta liberarla da lacci e lacciuoli. Questo il suo dovere essere. La sua etica profonda e futura.

Giacomo Bonagiuso