Contro la spiritualizzazione del lavoro, una critica a Jose Maria Escrivà

Redazione Prima Pagina Castelvetrano

In questi giorni ricorre il cinquantesimo anniversario della morte di Josemaria Escrivà, fondatore dell'OpusDei , figura tanto influente quanto discussa nella storia del cattolicesimo. E' un'occasione utile per tornare a riflettere criticamente su una sua affermazione tra le più celebri.

La celebre frase di Josemaría Escrivá «Santifica il lavoro, santificati nel lavoro, santifica gli altri con il tuo lavoro» riassume una spiritualità che pretende di innalzare il lavoro quotidiano a strumento di santificazione personale. Dietro questa apparente valorizzazione della vita ordinari si nasconde,però, una spiritualizzazione del sistema che rischia di giustificare ingiustizie strutturali e alienazione.Secondo Escrivá, ogni lavoro, anche umile e ripetitivo, può diventare mezzo di santificazione personale se vissuto con spirito di offerta a Dio. 

Tuttavia, questa visione rischia di trasformarsi in un’ideologia che santifica il sistema, paralizzando il desiderio di giustizia. Karl Marx, nella sua critica al capitalismo, denuncia come il lavoro in condizioni di sfruttamento diventi alienazione, ovvero perdita di senso e spossessamento della propria umanità, riducendo l’uomo a ingranaggio del sistema produttivo. Escrivá, invitando a santificare ogni lavoro senza distinzione di condizioni, sembra ignorare la denuncia marxiana: il problema non è spiritualizzare la fatica, ma cambiare le condizioni di lavoro che distruggono l’uomo.

Simone Weil, filosofa e mistica che ha vissuto in prima persona l’esperienza di fabbrica, ha colto con lucidità come il lavoro possa essere strumento di elevazione interiore solo se accompagnato da condizioni di giustizia e rispetto della dignità umana. Weil non idealizza la sofferenza ma riconosce che la fatica può avvicinare all’essenziale e denuncia con forza le condizioni di oppressione che svuotano il lavoro di senso e di umanità. Al contrario, Escrivá rischia di far passare il messaggio che la sofferenza sul lavoro sia di per sé “redentrice”, invitando a sopportare condizioni inique senza rivendicare diritti, in nome di una presunta santità.

Il motto di Escrivá si avvicina a un culto del lavoro che rischia di diventare idolatria. Papa Francesco, nell’enciclica Laudato Si’, riconosce che il lavoro è una dimensione fondamentale della dignità umana, ma denuncia anche come l’attuale sistema economico abbia trasformato il lavoro in uno strumento di oppressione, “un lavoro precario che non rispetta la dignità dell’uomo”. 

Francesco afferma con chiarezza che non basta “offrire a Dio il proprio lavoro”, ma occorre trasformare le strutture ingiuste che schiacciano i lavoratori e li rendono invisibili.Dietro l’apparenza mistica, l’invito di Escrivá a “santificare se stessi e gli altri” attraverso il lavoro si rivela come una forma di spiritualità individualista. 

Essa riduce la trasformazione sociale a testimonianza personale, ignorando la dimensione collettiva della lotta per la giustizia. Se il lavoro diventa solo strumento per la mia santificazione privata, viene meno il senso comunitario e sociale della fede. Papa Francesco, nella Evangelii Gaudium, ricorda che “nessuno si salva da solo” e che la spiritualità cristiana non può separarsi dall’impegno concreto per la giustizia e dalla trasformazione delle strutture oppressive.

Un ulteriore rischio della visione di Escrivá è la colpevolizzazione: se non riesci a “offrire il tuo lavoro a Dio” con gioia, se sei distrutto dalla fatica e dallo stress, il problema diventi tu e la tua mancanza di fede, anziché le condizioni inique in cui lavori. È un modo sottile per trasformare il dolore in colpa personale, distogliendo l’attenzione dalle cause strutturali della sofferenza lavorativa.In conclusione: la frase «Santifica il lavoro, santificati nel lavoro, santifica gli altri con il tuo lavoro» rischia di essere un slogan spirituale che giustifica l’esistente, mentre il vero compito di chi cerca la giustizia è trasformare il lavoro in luogo di dignità, di relazioni umane e di libertà, non in una spiritualizzazione passiva dell’alienazione.Solo così il lavoro potrà diventare realmente umano e, forse, anche santo.

Maurizio Balsamo