A meta’ del ‘700 la Sicilia ai primi posti per scuole nautiche e persone istruite

Redazione Prima Pagina Castelvetrano
Redazione Prima Pagina Castelvetrano
06 Aprile 2018 10:57
A meta’ del ‘700 la Sicilia ai primi posti per scuole nautiche e persone istruite

La Sicilia ed in genere il Sud dell'Italia pre-unitaria avevano un ruolo di una certa importanza nell'ambito "scolastico" in merito alla formazione professionale di coloro che poi avrebbero lavorato a stretto contatto con il mare. La lungimiranza di un tempo, voleva favorirecon i progetti delle scuole nautiche un mercato del lavoro marittimo e spingere le comunità costiere della penisola a partecipare a un piano di formazione tecnico professionale. Ma la concreta realizzazione e il mantenimento delle varie scuole del Sud non fu facile.

Le scuole nautiche della penisola italiana e dell’Impero Austro – Ungarico nel Settecento vedevano primeggiare le città di Palermo e Siracusa rispettivamente con 1789 e 1790 scuole. Con Carlo III, nel regno delle Due Sicilie, si avviò una politica di sviluppo commerciale marittimo attraverso un riordino normativo, incentivi ai porti e agli armatori e quindi un piano di formazione di personale qualificato da impiegare sulla flotta mercantile e da guerra. Il Piano, dal titolo "De officio Nautis et Portubus" prevedeva i una riqualificazione del personale di mare esperto, soprattutto “piloti, pilotini” e marinai per meglio riuscire a comprendere le condizioni in cui versava la marineria.

Fu stabilita l'elezione di una Giunta della Navigazione Mercantile che doveva esaminare chi intendeva rivestire il ruolo di capitano, padrone o pilota “. La Giunta avrebbe dovuto valutare gli aspiranti i quali erano tenuti ad: limite di età pari a 24 anni; un’esperienza di almeno 5 anni rilevata dalle annotazioni sui registri dei ruoli tenuti da padroni o capitani; e, l’attestato di vivere da cristiano, rilasciato dal parroco, dal capitano del quartiere o Ottina, dal Mastro d’atti della Gran Corte della Vicaria Criminale e dalla Marina.

Vi era un certo percorso scolastico-formativo da seguire: la frequentazione del collegio di Santa Maria di Loreto e la scuola della Regia Squadra. Alla fine del percorso scolastico (in cui vi era teoria e pratica) veniva consegnata una patenta di abilitazione alla navigazione di costiera e di altura. Il governo borbonico non solo pensava alla formazione di piloti e capitani ma alla creazione di un collegio interamente finanziato per la l'educazione, il vitto e l'istruzione nautica dei giovani. Tutto ciò avvenne in Sicilia a partire dal 1779, ovvero la creazione dei convitti addetti all’istruzione della "bassa gente".

Dopo l’inaugurazione nel 1772 dell’Albergo dei Poveri per la cui costruzione erano stati stanziati negli anni di Carlo III, 8.000 scudi, tratti dai fondi dell’Arcivescovado di Monreale, nel 1779 fu accolta dal re la proposta, a firma dell’economista Vincenzo Emanuele Sergio, di costituire tre collegi a Messina, Catania, Palermo.  A Palermo la casa di educazione prescelta fu quella di San Francesco Saverio e per Messina la casa gesuitica di San Nicolò. La possibilità di istruzione era rivolta ai giovani, poveri, oziosi e vagabondi, ma diversa era la loro età, compresa tra i 12 e i 18 anni.

A Palermo, la quota massima di studenti doveva essere 70 mentre a Messina massimo 30 allievi. La scelta delle arti era connessa: alla disponibilità di materie prime sul territorio; alla facilità di smercio del prodotto ottenuto; alla necessità di rispettare gli equilibri imposti dalle corporazioni di arti e mestieri. Anche l’autoconsumo, incise sulla scelta delle produzioni da introdurre nei convitti, impegnando circa il 30% degli ospiti. Le tre Deputazioni, incaricate di valutare la fattibilità dei progetti.

furono contrarie a quelle di lusso, la cui introduzione avrebbe comportato un aggravio di costi fissi e variabili. Nel piano per l’istruzione delle arti meccaniche della "bassa gente "di Messina si tentò l’insegnamento della nautica per educare i giovani a diventare perfetti nocchieri, alla lettura delle carte nautiche e alla carta geografica, sottolineando la necessità di «costruire qualunque sorta di legno e naviglio utile di molto al commercio». Il re, tuttavia, ricusò questa ipotesi in quanto tali arti «potevano essere apprese altrove» .

Fallito il tentativo di Messina, la svolta vi fu dopo l’introduzione nell’isola delle Scuole Normali, affidate al pedagogista Giovanni Agostino De Cosmi . Egli si soffermò sull’educazione del volgo. Affrontò il tema delle produzioni nazionali, del rilancio delle arti e manifatture, oltre che della necessità di aprirsi al commercio estero. Il 23 settembre del 1786 De Cosmi si recò nella capitale per apprendere il Metodo Normale. Tornato in Sicilia ottenne 2.500 onze per mantenere le 24 scuole erette negli ex-collegi gesuitici e 500 onze per il collegio Cutelli di Catania.

Elena Manzini Fine prima parte Domani verrà pubblicata la seconda ed ultima parte

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