Violenza sulle donne, una cultura subdolamente “machista” e nuova legge, però senza soldi…

Redazione Prima Pagina Castelvetrano

“Un uomo che ti picchia la prima volta continuerà a farlo per sempre”. Voglio ripartire da questa frase che, seppur sentita più volte, continua a ritornare di tremenda attualità ogni qualvolta si presenta un caso di violenza ad una donna nell’ambito familiare. E’ vero, è difficile, quasi impossibile cambiare un’indole violenta. E non bastano il perdono, la convinzione che qualcosa possa cambiare nell’altra persona, prima o poi la violenza ritorna e spesso ancora più forte fino, talvolta, a conseguenze fatali.

A Mazara del Vallo, la cittadina nella quale risiedo ormai da circa 15 anni, in poco più di sei mesi è stata scossa da due gravissimi casi di violenza familiare. Come non ricordare quanto accaduto nella serata dello scorso 29 maggio alla povera Viviana Valenti, 34 anni, colpita da più di cinquanta coltellate dal marito, Guglielmo Norrito, 43 anni, dopo una furiosa lite al ritorno di una serata in compagnia di parenti di lui; la donna rimase viva per miracolo, soltanto la rapidità e bravura dei chirurghi del nosocomio mazarese e la voglia di riabbracciare la figlioletta di 9 anni (che aveva assistito alla cruenta scena di violenza) hanno salvato la vita a Viviana.

Altro finale segnato, quasi scontato, il recente femminicidio della 54 enne Rosalia Garofalo ad opera del marito Vincenzo Frasillo (tossicodipendente, disoccupato,  percipiente il reddito di cittadinanza) al quale era legata da 30 anni di matrimonio e da tanti soprusi e percosse fino all’ultimo eccesso d’ira che ha portato al massacro di Rosalia (anche gli agenti della Polizia di Stato sarebbero stati impressionati dallo stato in cui scoperta la donna dopo la sua morte: l’autopsia fornirà altri particolari sulla violenza subita dalla donna); Rosalia, nonostante l’offerta di aiuto fornita dal Servizi sociali (era stata per mesi in una comunità) e dal suo legale al fine di chiudere qualsiasi rapporto con quell’uomo (che le stessa aveva più volte denunciato e poi ritornata sui propri passi all’atto di proseguire), era voluta tornare a tutti i costi a vivere con lui… Una storia da ascrivere a quel triste capitolo denominato ”amore criminale” In merito ai due “casi mazaresi” (ovviamente la questione è riferibile ad altri casi di femminicidio avvenuti nel contesto nazionale negli ultimi giorni) in molti si sono interrogati: si poteva evitare? La domanda è stata spesso accompagnata dalla “necessità” di trovare dei colpevoli, ben identificabili, al quale attribuire le  responsabilità per quanto accaduto.

Così si chiamano in causa le leggi, le forze dell’ordine, i servizi sociali e perfino le autorità locali. Certamente servirebbe un rafforzamento del quadro normativo in tema di violenza (anche quella psicologica) subita dalle donne e maggiori fondi per il potenziamento delle reti di protezione (servizi sociali, centri e sportelli antiviolenza etc..), ma puntare il dito al fine dovere trovare a tutti i costi un “capro espiatorio”, oltre che rappresentare una vigliacca pratica di strumentalizzazione,  allontana dalla radice del problema: la cultura maschilista dominante che imperversa in molti strati della società e che in maniera spesso subdola porta a minimizzare anche i casi, in apparenza, non temibili.

Quante donne, anche in contesti più abbienti, sono costrette loro malgrado ad accettare insulti, soprusi (anche tradimenti) e violenze quotidiane? E tutto ciò avviene spesso all’interno delle mura casalinghe, il silenzio all’esterno, la paura della  denuncia a causa di una meschina mentalità, ancora purtroppo molto diffusa, che porta a considerare la “donna ribelle” distruttrice del “focolaio familiare”, oppure ancora peggio una “traditrice”; insomma avviene un naturale “ribaltamento della verità” spesso accompagnato dalle domande dopo un caso di violenza: “…chissà cosa avrà combinato Lei?” Quello che più ancor più triste  e che a porsi quest’ultima domanda sono anche molte donne.

Secondo i dati diffusi il 20 novembre 2019 dal rapporto “Femminicidio e violenza di genere in Italia” della Banca Dati EURES, la violenza di genere non cala. Nel 2018 sono stati 142 i femminicidi (+ 0,7% sull’anno precedente), di cui 78 per mano di partner o ex partner. L’85% dei femminicidi infatti avviene in famiglia. Non parliamo in generale di omicidi di donne, ma di “femminicidi” nel suo reale significato, quello fissato nel 1992 da Diana Russell nel libro “Femicide: The Politics of woman killing”: “una violenza estrema da parte dell’uomo contro la donna proprio perché donna.

Quando parliamo di femminicidio quindi non stiamo semplicemente indicando che è morta una donna, ma che quella donna è morta per mano di un uomo in un contesto sociale che permette e avalla la violenza degli uomini contro le donne.” La realtà è comunque più complessa delle statistiche,  e la “violenza” si dice in molti modi. È sufficiente sintonizzarsi ogni mercoledì sera su Chi l’Ha Visto per farsi un’idea della “realtà delle famiglie italiane”. Ci sono donne che subiscono violenza e che non hanno la forza di denunciare.

Donne - come Claudia da Palermo- che dopo una vacanza all’estero non vogliono tornare a casa dal marito e rimangono dai genitori con i figli, ottenendo come risposta un processo per sottrazione di minore, e che si vedono costrette a tornare sole, all’estero, lasciando i figli, per vivere la propria vita libera. “Mio marito è geloso, mi controlla tutto e mi sgrida se sbaglio… Mi dice che fare la casalinga è cosi facile”, racconta Claudia. E ci sono donne -come  Antonietta- , che non denunciano alcuna violenza, ma che provano “semplicemente” ad andarsene, in sordina, da una vita da cameriere.

Ad agosto 2019 è entrata in vigore la legge n. 69, cd “Codice rosso”, che ha innovato e modificato la disciplina penale, sia sostanziale che processuale, della violenza domestica e di genere, corredandola di inasprimenti di sanzione. “Tra le novità –  si legge –  è previsto uno sprint per l’avvio del procedimento penale per alcuni reati: tra gli altri maltrattamenti in famiglia, stalking, violenza sessuale, con l’effetto che saranno adottati più celermente eventuali provvedimenti di protezione delle vittime.

Al divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, il giudice può aggiungere l’utilizzo di mezzi elettronici come l’ormai più che collaudato braccialetto elettronico. Il delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi viene ricompreso tra quelli che permettono l’applicazione di misure di prevenzione.” Sapete però cosa succede? Che esiste una nuova legge nazionale antiviolenza sulle donne, appunto il “Codice Rosso”, ma senza che la stessa sia finanziata, una legge ad “invarianza finanziaria”: in pratica non ci sono i soldi da destinare, attraverso le Regioni, alla filiera antiviolenza.

Eppure quanta propaganda sulla suddetta legge, quanti convegni (anche nel corso della recente “Giornata Mondiale contro la violenza  sulle donne”). Chissà, forse l’attuale Governo nazionale ha altre priorità? Bisogna metterci la faccia… Francesco Mezzapelle