Pescatori finalmente a casa, gli abbracci non potranno essere scalfiti da nessuna violenza…

Redazione Prima Pagina Castelvetrano

Nel pomeriggio di ieri, presso la caserma della locale Compagnia dei carabinieri, dopo che in mattinata era approdati con i due motopesca Antartide e Medinea nel porto di Mazara del Vallo, sono iniziati gli interrogatori da parte del Ros, su delega della Procura di Roma diretta da Michele Prestipino, in merito alla prigionia e sulla dinamica del sequestro per i diciotto pescatori sequestrati a Bengasi per 108 giorni e liberati giovedì scorso. Fra i primi ad essere ascoltati, per diverse ore, sono stati Dino (Bernardo) Salvo e Giacomo Giacalone che in quella drammatica serata del primo settembre erano stati costretti con armi puntate dai militari cirenaici a bordo di una motovedetta (una di quelle donate qualche anno fa dall’Italia alla Libia per il contrasto dell’immigrazione clandestina) a scendere dai loro pescherecci, il “Natalino” e l’”Anna Madre” su un gommone nei quali già a bordo i comandanti dei due motopesca “Antartide” e “Medinea”, cioè Michele Trinca e Pietro Marrone.

Intenzione dei libici era quella di portare a bordo della motovedetta i comandanti dei quattro pescherecci (Dino Salvo era sceso sul gommone al posto del comandante del “Natalino”) e costringere pertanto le imbarcazioni a fare rotta su Bengasi. Ad un certo punto però il “Natalino” e l’”Anna Madre” si sono allontanati sfuggendo al sequestro. I miliziani di Haftar non avendo digerito la fuga dei due motopesca se la sono presa con proprio con Dino Salvo e  Giacomo Giacalone che sono stati picchiati.

Già prima del loro arrivo a Mazara del Vallo, via radio, erano emersi alcuni racconti di violenze subite nel corso della prigionia. Adesso vengono fuori altri particolari. Lo stesso Dino Salvo ha così raccontato a Salvo Palazzolo de La Repubblica:  “Un giorno, ci hanno fatto mettere di spalle, tutti in fila contro un muro. E hanno iniziato a urlare, abbiamo temuto il peggio. Poi hanno sparato in aria. Facevano segno che mi avrebbero tagliato la gola se non facevo tornare i due pescherecci che erano riusciti a scappare.

Un libico –ha continuato Salvo- ha cominciato a picchiarmi, con schiaffi in faccia e colpi alle gambe. Per tre giorni, ho zoppicato”. Lo hanno obbligato a chiamare il “Natalino”. “Li ho chiamati per radio, ho detto: 'Tornate, vi prego tornate, che qui mi consumano'. Ma non sono tornati. “Volevano vendicarsi su di me e su Giacomo Giacalone, il comandante dell’altra imbarcazione fuggita, l’Anna Madre”. Come dicevamo anche Giacomo Giacalone ha subito violenze fisiche e la prima ad accorgersene è stata fin dalle prime ore del sequestro la moglie Marika Calandrino.

 “il giorno dopo il sequestro dei pescherecci  –ci ha raccontato Marika- ho ricevuto una foto di mio marito e ho visto che aveva l’occhio destro semichiuso e la guancia arrossata, segno che aveva subito violenze”. Marika Calandrino conserva la foto con il volto del marito, “ma non posso mostrarla”, dice. “Mio marito è stato picchiato, i segni sono evidenti, inoltre gli hanno anche preso la fede che indossava al dito dal giorno del nostro matrimonio e che non si è mai tolta”. Marika Calandrino ieri mattina al porto di Mazara del Vallo ha seguito con lo sguardo fisso il peschereccio a bordo del quale stava tornando Giacomo tenendo in braccio la piccola Gaia, la figlioletta di un anno e 5 mesi, Il 20 agosto la bimba quando il suo papà era partito per la battuta di pesca ancora non camminava e parlava adesso fa entrambi le cose e saluta con il manina il suo papà finalmente a casa.

Non vuole più staccarsi da lui da quando è arrivato, ha paura di perderlo nuovamente per molto altro tempo. Pertanto siamo riusciti, a fatica, a strappare un abbraccio fra Marika e Giacomo proprio all’ingresso della loro abitazione nel quartiere Trasmazaro. Un abbraccio che racchiude moltissimi sentimenti. Bellissimo. Un altro bellissimo abbraccio quello a casa della famiglia Salvo dove Dino ieri mattina è stato accolto a gran festa dalla moglie Cristina, dai suoi tre figli e dai parenti più stretti.

E’ stato accolto con uno striscione, dal fondo tricolore e con due grossi cuori, dove su scritto: “Il tuo posto è nella tua casa dove ti aspetta l’amore che ti meriti. La tua famiglia”. Poi è stata la stessa Cristina, in questi mesi divenuta la portavoce dei familiari dei pescatori sequestrati, a postare sul suo profilo facebook una foto con il marito con alle spalle un albero di Natale. Questi abbracci (in foto collage di copertina l’abbraccio fra Giacomo e Marika e quello fra Dino e Cristina) come tutti gli altri dei 16 pescatori con le rispettive mogli e figli, non potranno mai essere scalfiti dalla cattiveria degli uomini e dalla miopia dei governanti che nel tempo hanno permesso che dei semplici lavoratori possano essere fatti prigionieri, umiliati e calpestati i loro diritti.

Soltanto chi è stato al loro fianco per 108 drammatici giorni può comprendere il valore di questi abbracci (il resto fa parte del giornalismo spettacolo che a noi certamente non appartiene). All’indomani della grande festa ci sarà molto da lavorare affinchè i suddetti fatti violenza non possano più accadere. Francesco Mezzapelle