Il corteo storico di Santa Rita ospite d’onore alla giostra di Sulmona. Diario di un viaggio

Redazione Prima Pagina Castelvetrano

Sulmona è negli Abruzzi, come è giusto dire per rispettare l’antica divisione della regione in Citeriore e Ulteriore, al di qua o al di là del Pescara; nobile centro, che ha avuto in passato anche velleità per divenire capoluogo di provincia, che io conoscevo solo per essere la patria di Ovidio e, ovviamente, pei confetti. Non c’ero mai stato ma vi assicuro che dopo mezza giornata mi sentivo come a casa mia, anzi meglio perché lì tutto è ordinato e non c’è traccia di munnizza. Una tipica cittadina meridionale, coi suoi dignitosi palazzi borghesi con balconi, terrazze e persiane, le sue chiese gotiche rivisitate dal barocco napoletano, le sue fontane con l’acqua buona del Morrone, il suo corso principale, antico decumano romano (ovviamente dedicato a Ovidio e non a un re usurpatore), la sua curata villa comunale, i suoi caffè coi tavolinetti fuori, le sue piazze, di cui la più grande - ufficialmente intitolata a Garibaldi, ma che tutti, giustamente, continuano a chiamare piazza Maggiore – è quella dove si svolge la “Giostra Cavalleresca”, una sfida tra cavalieri dei vari sestieri e dei borghi della città, i quali devono infilzare con una lunga lancia degli anelli posti lungo un percorso a forma di otto.

La “Giostra” appunto. Essa è anche un momento storico rievocativo di Giovanna d’Aragona, figlia di Giovanni II re d’Aragona, sposa nel 1477 del cugino Ferrante, re di Napoli da cui ricevette in dono, fra le altre, anche la città di Sulmona. Quest’anno, oltre a Valeria Marini che impersonava la regina, a fare da ospite d’onore alla manifestazione c’era il Corteo Storico di Santa Rita e della Nobiltà Castelvetranese che, con una rappresentanza, ha percorso le vie cittadine col suo rosso gonfalone dove campeggia, a lettere d’oro, la scritta “Castelvetrano Selinunte – la città degli Aragona”.

C’ero anch’io tra i figuranti, sapientemente ed energicamente guidati dal direttore artistico Anna Gelsomino, sicché, consapevole del detto “Chi si loda si imbroda”, eviterò di decantare le lodi dei partecipanti e il successo da essi riscosso. Mi piace solo ricordare che, dopo un lungo viaggio in autobus, stanchi per come eravamo, abbiamo sfilato come se nulla fosse, ed è stato bellissimo ricevere, nell’arena di piazza Maggiore, l’omaggio dei gruppi dei borghi e dei sestieri che ci facevano ala, coi tamburi rullanti e le bandiere spiegate, tra gli applausi del pubblico dalle tribune.

Una volta tanto, vivaddio!, il nome di Castelvetrano Selinunte è stato pronunciato in modo onorevole e deferente e non associato, come troppo spesso avviene, a fatti poco commendevoli. C’è una cosa che mi ha colpito e mi ha fatto riflettere, come ho scritto su un post pubblicato sulla mia pagina di FB. Durante la giostra, eravamo ospitati sulle tribune accanto ai tifosi dei vari sestieri, anzi a un certo punto ci hanno anche chiesto di cambiare posto per evitare che due gruppi rivali venissero a contatto.

Bene, alla fine della gara, domenica sera, quando è stato proclamato il vincitore del palio, la delusione dei secondi è stata talmente forte che molti ragazzi piangevano a dirotto uno sulla spalla dell’altro. Mi ha colpito particolarmente un giovanottone coi pugni stretti alle ginocchia e il viso, agitato dai singulti, inondato di lacrime irrefrenabili. Ho scritto che lì ho capito un po’ di più l’Italia, eterna patria di guelfi e ghibellini, dove un ragazzo, che altrove avreste giudicato sfrontato e baldanzoso, si dispera senza vergogna perché il suo quartiere ha perso.

Francesco Saverio Calcara