I negozi cinesi non chiudono per ferie ma per eccesso di fake news. Il virus dell’egoismo e dell’ignoranza

Redazione Prima Pagina Castelvetrano

Comprendere la gravità del coronavirus non solo sotto l’aspetto medico è ciò che terrà impegnate, in questi primi mesi del 2020, soprattutto le società maggiormente colpite dal virus come la Cina e l’Italia e in generale la società mondiale che sente il peso del contagio imminente e incontrollato di un nemico invisibile che si diffonde con la socialità e l’aggregazione tra persone. Analizzare quanto sta accadendo in queste settimane non è facile quando a complicare tutto vi è un giornalismo d’assalto che mira a terrorizzare la popolazione con titoli intrisi di panico, oppure un vortice incontrollato di fake news partorite dal web a cui fin troppe persone fanno riferimento per riuscire a dimostrare di saper parlare del fenomeno, spesso con saccente presunzione di essere sufficientemente a conoscenza dei fatti anche a scapito dei dati scientifici che circolano tramite le fonti autorevoli della medicina.

Se per tradizione popolare poi si riflette anche sul fatto che il 2020 è un anno bisestile e giunge in mente il famoso detto: “anno bisesto, anno funesto”  questa tensione dilagante viene  un po’ avvalorata, d’altra parte, il coronavirus non è il solo evento nefasto dell’anno. Passato un po’ in sordina per via dell’allarmismo da germofobia, anche il record di alte temperature che ha colpito l’Antartide, in questo inverno caldissimo senza precedenti, non fa rilassare nessuno e non contribuisce a placare la paura planetaria, su cui da mesi l’opinione pubblica viene attenzionata grazie alla portentosa propaganda effettuata dalla giovanissima Greta Thunberg e dai suoi seguaci, fermi sulla posizione che la situazione climatica mondiale abbia ormai raggiunto livelli pericolosi per tutto l’ecosistema, vedi gli incendi devastanti che hanno colpito l’Australia e la forte siccità che ancora oggi continua a persistere soprattutto nelle zone caratterizzate dal clima mediterraneo.

Ma quando ampliamo le riflessioni sul coronavirus, ciò che viene evidenziato oltre l’aspetto medico- scientifico è sicuramente quello finanziario. Le conseguenze economiche a questa epidemia veloce e invisibile non si riducono alla polemica sull’isteria di quei soggetti che hanno svaligiato i supermercati di prodotti di prima necessità anche in quelle zone ancora non dichiarate rosse, nè tanto ai truffatori che hanno speculato sul prezzo dell’igienizzante per mani rincarando i prodotti del 300 per cento, ma coinvolgono i rapporti commerciali tra paesi e l’andamento finanziario delle borse di tutto il mondo,  come anche il calo degli introiti derivanti dal turismo in quelle zone d’Italia colpite per prima ma anche nel sud e in  Sicilia.

Problematiche che ancora non si conoscono nella loro portata ma che fanno pensare al peggio per il futuro. Altro fatto senza precedenti degli ultimi giorni è constatare la chiusura dei negozi cinesi presenti in tutto il territorio nazionale, che appendono fuori dalla saracinesca il cartello “chiuso per ferie”. E’ un po’ ironico e inquietante allo stesso tempo pensare che i commercianti cinesi chiudano per ferie poiché, negli ultimi anni, il luogo comune li ha sempre descritti come stacanovisti inguaribili del commercio, loro che non chiudono a Natale, nelle domeniche o durante il caldo torrido di ferragosto; ecco allora che l’inquietudine mista a ironia si fa viva e pressante e amplifica le riflessioni su tutto ciò che sta succedendo in questi primi mesi del 2020.

Ma, ironia e inquietudine a parte, perché chiudono i negozi cinesi? Per paura del potenziale contagio da coronavirus che i clienti italiani possono causare loro? O, cosa ben più probabile, la chiusura risparmia i negozianti cinesi di spese di gestione altrimenti superiori ai guadagni data la fobia dilagante degli ultimi giorni, che ha portato alla desolazione tra le strade e soprattutto nei negozi? Ovunque risieda la verità, unica certezza su cui si può contare oggi è che bisognerebbe un po’ tutti riformulare il nostro comportamento verso questa situazione, cominciando magari a prenderne coscienza in modo più maturo e sicuramente più informato, affidandoci esclusivamente alle notizie diffuse dagli enti governativi ed evitando di sfociare nel panico nel rispetto di tutte quelle persone immunodeficienti che più di noi hanno bisogno di mascherine e igienizzanti perché afflitti da patologie ben più gravi di un’influenza che le costringono a proteggersi quotidianamente da pericoli maggiori.

Michela Faugiana