Viaggio nella storia dello zolfo in Sicilia. Il ruolo di un’importante industria. Seconda parte

Redazione Prima Pagina Castelvetrano
Redazione Prima Pagina Castelvetrano
13 Giugno 2018 10:07
Viaggio nella storia dello zolfo in Sicilia. Il ruolo di un’importante industria. Seconda parte

Si conclude il viaggio nella storia dell’estrazione dello zolfo in Sicilia, la prima parte è uscita Domenica 10 giugno e la potrete trovare al seguente link:https://www.primapaginacastelvetrano.it/viaggio-nella-storia-dello-zolfo-di-sicilia-il-ruolo-di-unimportante-industria-prima-parte/ ora godetevi la seconda e ultima parte. Lavorare in miniera era come entrare a far parte di un girone infernale dantesco. Causa le alte temperature gli operai lavoravano nudi (ovviamente nonostante i due pozzi descritti null'altro vi era come norma di sicurezza).

Il biossido di zolfo che si disperdeva nelle miniere causa la combustione del minerale stesso aveva effetti devastanti sulla salute dei lavoratori. All'interno delle zolfare si faceva ....anche carriera. Si iniziava da ragazzini a lavorare nelle "pirriere" e con gli anni si saliva di livello. Oggigiorno è quasi impensabile ma ai tempi a 7-8 anni si iniziava da "carusi" al servizio dei "picunieri", questi ultimi addetti al trasporto del materiale grezzo sin sulla superficie tramite una rete  di "discenderie" strette.

  I controllori del lavoro e dei lavoratori stessi erano i "capumastri" scelti, non solo in base all'esperienza ma al loro carattere dispotico. Poi vi erano gli addetti alla ricerca di nuovi strati di zolfo, a realizzare ventilatoi, acquedotti, gli "spisalora" ; quindi gli "acqualora" (il cui compito era quello di liberare gli strati di zolfo con l'acqua), gli "scarcaratura" (che riempiva di zolfo i calcaroni per la fusione), gli "arditura" (che si occupavano del funzionamento dei calcaroni e di ricevere l'ogliu nelle gavite), i "carritera" (che spingevano i vagoni sulle rotaie),  i "marchieri" (il cui compito era quello di annotare il numero dei vagoni che ciascuna partita mandava fuori).

Talvolta le miniere tramite le gabelle erano concesse in uso ai picconieri. Una delle tante tragedie accadde il 12 novembre 1901 nella minisera di “Cozzo Vitello”. Crollò parte della miniera. Accorsero i Carabinieri al comando del brigadiere Carmine Borbone, che scesero sino a 180 metri sotto terra e riuscirono ad estrarre tre vittime ma al contempo diversi feriti. Senonchè crollò la restante volta della galleria e furono sospese tutte le operazioni di soccorso.

Troppe vittime per troppi pochi denari. Così Luigi Pirandello in “Ciàula scopre la luna”, novella ambientata a Gallizzi, la parte più antica del Parco minerario Floristella-Grottacalda, racconta la storia di uno dei tanti carusi ( lavoratori-bambini venduti dalle famiglie più povere ai picconieri che, in cambio, versavano il cosiddetto “soccorso morto”). I carusi di proprietà del picconiere dovevano trasportare a spalla dalle discenderie, attraverso una ripidissima salita, almeno 25 chili di materiale estratto al giorno.

Il minerale estratto veniva trattato in un impianto composto da vagli: ovvero 37 forni Gill (nome tratto dall'ideatore Roberto Gill), a celle comunicanti in muratura a forma troncoconica e da 19 calcheroni (forni a castelletto utilizzati per separare lo zolfo, tramite fusione, dalla ganga, utilizzando lo zolfo stesso come combustibile). Sopra ai forni si trovava una tettoia su sei ordini di pilastri in mattoni a due falde capriate interne in legno, arcarecci, listelli e tegole marsigliesi, per permettere il carico dei forni e l’impanottamento sotto tettoia d’inverno.

Però sussisteva il problema del trasporto: carenza di strade di comunicazione, di porti che potevano permettere di raggiungere in minor tempo le destinazioni.  Si costruirono intanto impianti molitori in varie località costiere del licatese fino a Porto Empedocle e nella città di Catania. Intanto il materiale veniva trasportato con vagonetti a carrelli decauville. Le rotaie erano chiodate a traverse metalliche e la linea poteva essere facilmente smontata. Altro tipo di trasporto erano moto-furgoni o moto-traini: esisteva una rete di strade ferrate di mm 50 di scartamento dal pozzo e che andava dov’era la stazione di partenza agli impianti di trattamento e delle discariche per un complesso circa di 3 km.

Nei primi anni settanta del XIX secolo il sindaco di Catania, Tenerelli, finanziere e imprenditore del settore zolfifero, denunciava il ritardo con cui si procedeva nella costruzione della Ferrovia Palermo-Catania come motivo principale di paralisi dell'industria zolfifera. Solo dopo l'apertura della tratta fino a Villarosa (1876), realizzata da Robert Trewhella ( imprenditore zolfifero del catanese) lo zolfo poté giungere  alle raffinerie della città e al Porto di Catania.

Catania arrivò così ad assumere un ruolo preminente nel settore, anche perchè fu in grado di abbattere i costi per circa la metà. Da ricordare che il 24 settembre 1816 fu firmato un trattato di commercio, fra il governo di Napoli e quello di Londra, con il quale ai mercanti inglesi fu assicurato il monopolio nell'esportazione  dello zolfo siciliano. L'unità d'Italia, portà all'istituzione del Distretto e della Scuola mineraria e con la costruzione delle rete ferroviaria siciliana.

Attraverso interventi di riassetto commerciale si riuscì a stabilizzare i prezzi dello zolfo e le grandi miniere migliorarono gli impianti. Il 1901 fu l’anno di massima produzione ed occupazione delle zolfare siciliane: più di 537 mila  tonnellate di zolfo prodottoe lavoro per oltre 38.900 operai. La sicilia esportava il suo zolfo in 30 nazioni, era leader. Sino, però, al 1906 quando gli Stati Uniti misero a punto un nuovo sistema di estrazione. Nonostante il protezionismo attuato nei confronti dello zolfo siciliano da parte del governo la concorrenza si rivelò spietata.

Troppo difficili da sostenere a causa dell'impossibilità di trasformare il minerale direttamente sul luogo di estrazione. Via via il numero delle miniere attive andò diminuendo, nonostante produzione e manodopera rimasero stabili sino all'inizio della seconda guerra mondiale. Fu a seguito della Guerra di Corea che la produzione dello zolfo vide una rinascita, essendo il componente principale degli ordigni bellici. Con una legge statale le miniere poterono usufruire di nvestimenti per impianti di una certa rilevanza, sino al 1959.

Con il decreto legge del 10 aprile del 1936, dall’ allora “MINISTERO DELLE CORPORAZIONI” venne concessa, ai sensi degli articoli 54 e 60 del regio decreto del 29 luglio 1927 n° 1443, ai condomini della miniera di zolfo, denominata, “Floristella”, la facoltà di coltivare in perpetuo la miniera e, pertanto, ai sensi del successivo articolo 81 della stessa legge, questi erano tenuti alla costituzione di una società. Nello stesso decreto veniva inoltre precisato che l’area della concessione risultava estesa per oltre 425 ettari.

Il 1 ottobre 1956 una legge regionale siciliana decretò la disciplina della ricerca e coltivazione delle sostanze minerali nella regione. Essa portò ad un limite temporale alle concessioni prima accordate in perpetuo, disponendo con l’articolo n° 80 che i titolari della concessione, che risultassero in regolare esercizio, potevano ottenere la conferma per la durata di trent’anni, prescrivendo inoltre che se essa fosse comune a più titolari, questi dovessero costituirsi in società. I condomini della miniera Floristella chiesero la conferma della concessione e si costituirono in società con l’ atto dell’ 1 novembre 1957 in Acireale con il nome di “Zolfi Floristella s.p.a.”.

L’esercizio sociale ebbe luogo dall’ 1 Gennaio al 31 Dicembre di ogni anno a partire del 1958. La società aveva per oggetto l’ impianto e la gestione, nella Regione Siciliana, di aziende minerarie Zolfifere, tecnicamente organizzate per la ricerca, l’ estrazione, la lavorazione e l’ ultimazione del minerale zolfifero e più in particolare la gestione della miniera Floristella, della quale la società rimane concessionaria ai sensi dell’articolo 80 della legge regionale 81 dell’ 1 Ottobre 1956 n°54.

Essa può comparire anche in tutte le operazioni commerciali, industriali e finanziare, mobiliari ed immobiliari, ritenute dagli amministratori necessarie e utili per il conseguimento dell’ oggetto sociale. Con il passaggio della gestione del settore zolfifero alla Regione Sicilia ed all'acquisizione regionale delle miniere nel 1964, iniziò un periodo contradditorio. A farne le spese una delle più fiorenti miniere, la Floristella di Caltanisetta. Con un decreto del 1967, la Regione Sicilia ne revocava la concessione per gravi motivi di interesse pubblico consistente nella “esigenza di attuare in forma globale il processo di verticalizzazione delle miniere di zolfo” e nel fatto che la miniera Floristella costituiva “un’ aliquota indispensabile per assicurare nel tempo la produzione globale atta a rifornire le industrie chimiche del processo di verticalizzazione”.

Così l’ Assessorato per l’Industria ed il Commercio della Regione Siciliana invitò il distretto minerario di Caltanissetta a prendere in consegna la miniera e le sue pertinenze per conto e nell’interesse dell’ amministrazione regionale ai sensi del combinato disposto degli articoli 42 e 52 della legge regionale mineraria. La consegna avvenne il 17 ottobre 1967 e fu così che si spensero i riflettori su questa miniera. Stessa sorte subirono tutte le altre per entrare a far parte di un settore che adesso definiamo archeologia industriale.

Nel 1988 la Regione Siciliana, con la L.R. 8 novembre 1988 n. 34, decretò la dismissione del settore solfifero con la chiusura definitiva di tutti gli impianti. L’Ente Minerario Siciliano, a completamento della sua fallimentare amministrazione, non fece nulla per salvaguardare almeno i macchinari e le attrezzature, lasciandoli nell’incuria generale, contravvenendo anche a quanto stabilito dalla legge regionale 34/1988 che all’articolo 8 recita: “L’E.M.S. ..... provvederà alla chiusura delle miniere di zolfo....

curando il recupero dei beni e delle attrezzature utilmente asportabili.” Si chiudeva così una grande parte della storia economica siciliana ed al contempo sociale. Si drovrà arrivare al 1991 quando si costituì il  parco minerario di Floristella- Grottacalda, a memoria dei tanti lavoratori e di un settore economico importante per l'isola. Un grandemuseo a cielo aperto, dove sono ancora visibili i calcaroni, le le discenderie (circa 180), i castelletti e gli impianti dei pozzi verticali, i forni Gill, nonchè Palazzo Pennisi antica residenza della famiglia proprietaria della miniera.

Un’esperienza culturale per toccare con mano tutti i segni “d’u veru nfernu” della solfara siciliana, lì dove operavano “i dannati del sottosuolo” . Elena Manzini Fine

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