Relazione semestrale Dia. Riina e Messina Denaro sempre in sella

Redazione Prima Pagina Castelvetrano
Redazione Prima Pagina Castelvetrano
27 Luglio 2017 08:08
Relazione semestrale Dia. Riina e Messina Denaro sempre in sella

Toto' Riina, alla veneranda età di 86 anni e nonostante sia in carcere dal gennaio 1993, rappresenta una ingombrante icona simbolica che conserverebbe almeno formalmente, tutta la sua autorevolezza sugli altri uomini d’onore, mentre Matteo Messina Denaro rappresenta tuttora il leader più carismatico, ancora in libertà, dell’organizzazione mafiosa ( tutti i capi storici degli altri mandamenti della provincia sono, allo stato attuale, in carcere). Queste alcune delle più interessanti notizie emerse nella relazione relativa al secondo semestre 2016, resa nota ieri dalla Direzione Distrettuale Antimafia che tratteggia la figura di Totò Riina quale vertice dell’organizzazione criminale.

Ma tornando alla provincia di Trapani, che ci riguarda più da vicino, cosa nostra trapanese presenta ancora una struttura unitaria e verticistica, con un capillare e profondo radicamento territoriale: caratteristiche che la rendono del tutto omogenea a quella palermitana. Nel periodo in esame non sono stati colti evidenti cambiamenti organizzativi né operativi, attesa la perdurante strategia di basso profilo e occultamento adottata dall’associazione criminale. Nonostante l’incessante opera di contrasto da parte dello Stato ,l’organizzazione mafiosa registra tutt’oggi una notevole potenzialità offensiva, grazie al pervasivo controllo del territorio (soprattutto sotto forma di estorsione verso i titolari di attività d’impresa) e all’immutata capacità di adattamento e d’infiltrazione nel tessuto socio-economico locale.

La provincia di Trapani è divisa in  in quattro mandamenti: Alcamo, Castelvetrano, Mazara del Vallo e Trapani che raggruppano complessivamente diciassette “famiglie”.Il principale ricercato mafioso dell’area, il boss Matteo Messina Denaro, al di là della carica formale ricoperta quale capo mandamento di Castelvetrano e rappresentante provinciale di Trapani, è Sempre la figura sulla quale si continua a reggere il sostanziale equilibrio tra famiglie e mandamenti e la cattura dei capi più importanti ne avrebbe aumentata l’influenza anche nel palermitano.Sempre nella relazione si legge che il degrado sociale che connota alcune aree della provincia contribuisce ad accrescere il potenziale criminale di Cosa nostra.

Questa, oltre a continuare ad imporre un clima di omertà, sembra riscuotere anche un certo consenso nelle fasce più emarginate della popolazione e nella complessiva governance di Cosa nostra.

La rilevante entità dei beni sequestrati a suoi prestanome fornisce un’indicazione del potere di penetrazione economica e dell’affarismo di cui la “primula rossa” è stata capace, potendo contare su una pluralità di soggetti insospettabili. La centralità del boss latitante nella gestione degli affari illeciti nei vari contesti della provincia di Trapani è stata ulteriormente dimostrata, anche nel semestre di riferimento, da alcune significative attività investigative.

Tra queste c’è quella della DIA di Trapani che, insieme alla Polizia di Stato, nel mese di ottobre ha dato esecuzione all’ordinanza di custodia cautelare in carcere, messa il 10 ottobre 2016 dalla Terza sezione penale della Corte di Appello di Palermo, nei confronti di un imprenditore di Castelvetrano, condannato per associazione di tipo mafioso in quanto affiliato alla locale “famiglia” e per le accertate relazioni con soggetti facenti capo a Messina Denaro.L’operazione “Ermes II” ha, invece, evidenziato ancora una volta il perdurante interesse delle cosche trapanesi verso il settore degli appalti pubblici (attuato attraverso società intestate a compiacenti prestanome) e confermato i saldi contatti tra il mandamento di Trapani e quello di Mazara del Vallo allo scopo di spartirsi le commesse secondo precise direttive.Lo stesso dicasi per l’operazione “Ebano” che ha documentato l’infiltrazione delle consorterie di Castelvetrano nel redditizio settore dei lavori pubblici quale ulteriore fonte di sostentamento per l’organizzazione mafiosa e, in questo caso, direttamente  vantaggio della famiglia anagrafica di Matteo Messina Denaro.

L’indagine ha dimostrato come, attraverso l’approvvigionamento di fondi, la compiacenza di funzionari comunali e il reinvestimento di capitali, la famiglia si fosse, di fatto, assicurata il controllo delle attività economiche del territorio.Sul piano generale, l’illecita ingerenza negli appalti pubblici verrebbe esercitata, a monte, con condotte finalizzate alla turbativa d’asta, e a valle, in fase di esecuzione dei lavori, attraverso l’imposizione, alle ditte aggiudicatarie, del pagamento di una sorta di pizzo (necessario per garantirsi il “regolare” svolgimento dei lavori), ovvero della fornitura di materie prime o di manodopera.In tale contesto, il contributo informativo della DIA di Trapani ha consentito alla Prefettura di esprimere parere contrario alla richiesta d’iscrizione alla white list di sette ditte, attive nel settore edilizio e del trasporto terra, per il pericolo d’infiltrazioni mafiose.Insieme alle infiltrazioni nelle commesse pubbliche, le estorsioni, spesso anticipate da atti intimidatori ai danni diimprenditori e commercianti, costituiscono ancora il sistema più immediato e diretto di Cosa nostra per far fronte alle esigenze di liquidità e per mantenere il controllo del territorio.Nel secondo semestre 2016 è stata emessa anche la misura dell’amministrazione giudiziaria nei confronti di un Istituto bancario della provincia di Trapani, le cui iniziative economiche sarebbero state orientate alla costante agevolazione delle attività di diversi soggetti legati alla criminalità organizzata.

Dalle investigazioni è emerso come taluni soggetti, con precedenti di mafia, fossero stati soci o avessero rivestito importanti funzioni all’interno dell’Istituto di credito; fra questi, anche i membri di una famiglia sospettata di legami con esponenti di vertice della mafia trapanese. L’indagine ha evidenziato anche il condizionamento nella gestione della banca di alcuni associati alla massoneria.“Continua a destare particolare allarme sociale – si legge ancora nella relazione – lo spaccio di sostanze stupefacenti, segnatamente hashish e marijuana, ma anche cocaina e, in quantità minori, eroina.

Il fenomeno della coltivazione di piante di cannabis ha registrato un notevole incremento negli ultimi anni”.Anche in provincia di Trapani è proseguita l’attività della DIA e delle forze di polizia per sottrarre i patrimoni illecitamente accumulati da soggetti indiziati di aver fornito supporto a famiglie mafiose o essi stessi indagati per associazione mafiosa. Nel dettaglio, la DIA di Trapani ha eseguito, nel secondo semestre 2016, significativi sequestri e confische per un valore complessivo di oltre centoventicinque milioni di euro.Tra i sequestri vale la pena di richiamare quello eseguito nei confronti di un imprenditore edile, indagato in passato per associazione mafiosa.

 In quanto inserito nella compagine sociale di alcune ditte riconducibili al capo del mandamento di Trapani, era riuscito, attraverso lo schermo giuridico di una società e la complicità di un componente del consiglio di amministrazione di un istituto di credito, a rilevare una grossa area edificabile a Trapani. Su tale lotto di terreno, l’imprenditore, assieme ad un altro soggetto – anch’egli attivo nel settore edile e colluso con Cosa nostra – aveva poi realizzato una speculazione edilizia milionaria.

Con l’operazione sono stati sequestrati quattro compendi aziendali, novanta immobili (tra appartamenti per civile abitazione e esercizi commerciali), autovetture, depositi bancari ed un lussuoso natante da diporto, per un valore complessivo di oltre 25 milioni di euro.

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