Lu Signuri di lu tri di maiu e la festa di li scappuccini ( I parte)

Redazione Prima Pagina Castelvetrano
Redazione Prima Pagina Castelvetrano
30 Aprile 2018 09:19
Lu Signuri di lu tri di maiu e la festa di li scappuccini ( I parte)

In questi giorni, presso la chiesa dei Cappuccini si celebra la festa di Lu Signuri Tri di maiu, un tempo particolarmente sentita e partecipata, abbiamo chiesto al nostro amico Vito Marino di raccontarci la storia ed i fasti di questa ricorrenza e lui come sua consuetudine ha scritto un pezzo molto bello che vi proporremo in due parti. Gustatevi la prima parte, la seconda la troverete domani Non c'è città, paese o contrada nel mondo cristiano che non festeggi in qualche modo i propri santi.

Durante una ricorrenza religiosa, fede, folclore e divertimento popolare si fondono insieme, coinvolgendo tutto il paese. Qualcuno vuole insinuare che le festività religiose popolari siano soltanto delle rappresentazioni esteriori  folcloristiche con un avvicinamento al paganesimo. A mio modestissimo giudizio credo che la massiccia partecipazione popolare al folclore, che è anche cultura e turismo, avvicini contemporaneamente il popolo alla Chiesa, ai Santi e, quindi alla religiosità. Solo quando “il Credo” e il folklore si fondono insieme trionfa quella fede semplice e maestosa allo stesso tempo, che oggi, purtroppo, lascia a desiderare.

Con il termine folklore intendiamo tutte quelle espressioni culturali che racchiudono le antiche tradizioni popolari, trasmesse nel passato oralmente da padre in figlio e riguardanti riti, costumi, credenze, in rapporto ad un determinato luogo o ad una determinata popolazione. Si tratta di una risorsa culturale importante, per conoscere le proprie radici e per valorizzare il proprio territorio. La festa del SS. Crocifisso di Castelvetrano si celebra da oltre tre secoli, sempre il 3 di maggio di ogni anno, in ricorrenza di quel 03/05/313 quando, sotto l'Imperatore Costantino, fu ritrovata la croce di Gesù Cristo, dopo che l'Imperatore Adriano aveva fatto riempire di terra il sacro sepolcro, per  erigervi sopra un tempio pagano.  Poiché la festa ricorre il giorno 3 di maggio, il popolo la chiama "la festa di lu Signuri di lu tri di maiu".

Fino al 1948, detta festa era la più maestosa di Castelvetrano, poi incominciò a declinare. Il festeggiamento della ricorrenza si sviluppava in otto giorni e si concludeva con la processione che sfilava, in maniera solenne, in quasi tutte le vie di Castelvetrano comprese le periferie. La chiesa era “apparata” (addobbata) con lunghi drappi che dal tetto scendevano a terra, ornati con fregi e angeli dorati. Si trattava di una fastosità barocca molto usata in quei tempi per le feste religiose più importanti.

“L’apparaturi”, in quegli anni era, come sempre, “don Pippinu Vajana”, un personaggio molto conosciuto in quegli anni dai concittadini. La processione avveniva il tre di maggio, mentre negli altri giorni precedenti si eseguivano diverse manifestazioni popolari, come la cavalcata, la sfilata dei carretti, la corsa dei cavalli, lu iocu di lu addu, lu iocu di la paredda e lu iocu di li pignatedda. La cavalcata era una parata di cavalli e cavalieri che si svolgeva per le vie della città.  I cavalli erano ornati con splendide coperte che coprivano la cavalcatura fino a terra; i cavalieri erano vestiti con abbigliamenti medievali.

I primi tre cavalieri meglio adornati, ricevevano dei premi. Lo stesso avveniva per i carretti che, dopo la sfilata per le vie della città, si portavano al campo sportivo per la premiazione. Venivano premiati i primi tre carretti più belli, mentre altri tre premi venivano assegnati per i cavalli trainanti il carretto, (più belli e dal portamento maestoso). Durante la sfilata i carrettieri intonavano i loro bellissimi canti arabeggianti, oggi, purtroppo scomparsi, inghiottiti dalla globalizzazione e dalla moderna civiltà.

Allora si interessavano i signori Di Maio e Lombardo appassionati di cavalli e carretti. Le corse dei cavalli avvenivano alla “strata di la cursa” (via V. Emanuele). I “giannetti”, (i cavalli appositamente allevati per la corsa), guidati dai fantini, partivano davanti  l’ex torre saracena, adibita a carcere, dove oggi sorge il Banco di Sicilia, e terminava davanti “lu Santu Patri” (la chiesa di Sant’Antonio di Paola). Migliaia di persone, venute anche da altri paesi, assistevano da dietro le transenne.  Come avviene oggi, anche allora vicino la chiesa, durante le varie manifestazioni  e lungo il percorso dove si svolgeva la processione c’erano i gelatai e li siminzara (con calia, simenza e nuciddi atturrati), con le loro carrozzelle.

C’era anche chi preparava sul posto e vendeva “bombolona” (le caramelle artigianali di allora). Così, la processione ogni anno usciva il giorno 3 di maggio, alle ore 15 circa; dopo aver girato per tutta la città, rientrava l'indomani mattina alle quattro, ma a volte anche alle sette. La festa terminava con un solenne "iocu di focu" (fuochi pirotecnici). Ricordo che alla processione partecipavano tutte le confraternite, compresi gli incappucciati e delle ragazzine vestite con una gonna blu, una camicetta marrò e un cordoncino blu (erano “li virgineddi di San Francesco”).

Nelle feste religiose le bambine (li virgineddi), simbolo d’innocenza, sono state sempre presenti e protagoniste nelle manifestazioni. Così nella festa di San Giuseppe erano vestite di bianco con il giglio bianco in mano; nel Venerdì Santo, per altri versi c’erano le “Marie” delle ragazzine vestite di nero e con i capelli ricci, che portavano un simbolo della crocifissione di Cristo (scala, chiodi, martello, corona di spine).  Di sera, si accendevano le fiaccole al vento e le candele portate dai fedeli e dalle confraternite, messi in fila per uno.

Il Crocifisso miracoloso, custodito successivamente dai padri cappuccini di Castelvetrano, oggetto della venerazione, durante la processione viene tutt’ora posto nella Vara.  Si può dire che tutta la popolazione partecipava o era interessata alla manifestazione religiosa. Infatti, il suono delle campane che suonavano al passaggio della sacra immagine, annunciava, a chi era rimasto in casa, dove era arrivata la processione. Lungo il percorso attraversato dalla processione c’era la consuetudine, in onore del SS.

Crocifisso, di esporre sulle ringhiere dei balconi e alle finestre di tutte le case, le coperte più belle tessute al telaio, i migliori copriletto di seta e damaschi ricamati  a mano, coperte nuziali ricamate con fiori o immagini sacre, teli pregiati ricchi di merletti, ricami e decori. Finita la festa, tutti gli ornamenti degli archi venivano distribuiti ai fedeli . Di sera, mentre sfilava la lunga processione, i balconi venivano riccamente illuminati in segno di festa e di rispetto e si buttavano petali di rosa sul simulacro.

La sacra rappresentazione si svolgeva sotto il patrocinio delle confraternite. In un lontano passato, sicuramente prima degli anni ’40 a dirigere tutta la manifestazione era la classe dei borgesi, i così detti “burgisi di lu 33” . Si trattava di un comitato di 33 proprietari terrieri, scelti fra le persone più in vista, della classe borghese. A loro volta fra i 33 ne veniva sorteggiato uno che si incaricava dell’organizzazione della festa.   Vito Marino fine prima parte la seconda parte sarà pubblicata domani

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