L’elzeviro di Bonagiuso: Selinunte al centro, tra Triscina e Marinella

Redazione Prima Pagina Castelvetrano
Redazione Prima Pagina Castelvetrano
08 Luglio 2020 17:03
L’elzeviro di Bonagiuso: Selinunte al centro, tra Triscina e Marinella

Torno spesso a girovagare per il territorio, in questo periodo amorfo, post-covid, dopo l’urgenza dell’emergenza, ma non ancora nel mondo così come era, posto che quel mondo forse non tornerà più, visto che troppo abbiamo scomodato madre natura, sfruculiandola in ogni ambito, abbattendo orsi, e incendiando boschi, e andandoci a cercare virus che camperebbero per i fatti loro in domini incontaminati. Ma no, l’uomo deve tutto attraversare, convinto che non gli è stata data la custodia sul mondo ma la piena ed esclusiva proprietà.

Per cui, se un orso a casa sua si incazza se gironzoli attorno ai suoi cuccioli, che problema c’è? Abbattiamo l’orso. Abbattiamo l’orso, abbattiamo i pipistrelli e abbattiamo pure tutto ciò che non è tecnocrazia, potere, cemento e soldi. Ma, dopo una simile divagazione a 360 gradi, come si userebbe dire, torno al finestrino della mia macchina, e mi ritrovo a Triscina. A Triscina, davanti all’ingresso del Parco Archeologico più grande del mondo, e di fronte ad un’opera non incompiuta, ma, peggio, inutilizzata.

Lo trovi chiuso, l’ingresso al Parco; con le solite erbacce, e con lo spreco di locali vuoti, zone comuni disabitate.

Fu costruito, ricordo a me stesso, per attestare un principio, una idea di Città: che Selinunte, il suo Parco, fosse una realtà a sé stante, ma posta in mezzo, tra Triscina e Marinella. Entrambe declinate con il genitivo “di Selinunte”, come a definire una appartenenza. Triscina di Selinunte e Marinella di Selinunte, a destra e sinistra dell’Acropoli di Selinunte, rappresentano in modo localizzato ed icastico un territorio. Al tempo in cui ero seduto a fianco al primo cittadino di questa Città, mi venne di definire “Terre d’Efebo” questo concetto, che includesse, in tal modo, anche Castelvetrano e il suo museo, in cui, tra tanto altro, ha sede anche l’Efebo di Selinunte.

Anche Castelvetrano dovrebbe assumere quel genitivo, a mio avviso, e diventare davvero (non solo sulla carta intestata) “Castelvetrano di Selinunte” senza trattini o doppie denominazioni, ma con un genitivo che ne indichi l’appartenenza. Questa sarebbe una idea di Città e di Territorio a costo zero, ma implicherebbe non un tavolo, non un PowerPoint, ma una coscienza storica e critica del nostro tempo, in cui comunicare equivale ad essere, e la rottura della canzone in cui eccelle la castelvetranesità tipica, ed ovvero l’elogio del come eravamo.

Abbondano luoghi e siti, pagine e blog in cui il tema è “come eravamo” (belli, centrali, potenti, significativi e tutti con un bel posto di lavoro fisso), nessuno o pochi su “come saremo”, o meglio, su come dovremmo essere. Le Terre d’Efebo restano una idea che dono a chi oggi ha il timone, ma esse non sono un nome, indicano una strategia politica precisa.

Prendere il timone per sancire un circuito di comunicazione e di rilancio partendo da quello che c’è già. E c’è, appunto, Selinunte, come centro, cui connettere il mare di Triscina, dopo averne ripreso in mano l’agorà, il cuore di Villa Quartana (altro che spender i pochi soldi a far tramezzi per trasformare il centro polivalente in uffici!), e Marinella, dopo averle restituito la piazza. Basta poco. Poi bisogna assolutamente interloquire con il Parco Archeologico, in modo educato, istituzionale, non con battute tranchant, consapevoli che Selinunte deve essere il centro, non può.

Deve per retaggio e per utilità di messaggio. Soltanto così si potranno connettere Parco, Triscina, Marinella e Efebo (dunque Castelvetrano). (…) Poi, mi risveglio di colpo, e mi ritrovo ancora posteggiato di fronte all’ingresso al Parco Archeologico dal lato di Triscina. È chiuso. Ci sono le fratte (per dirla in modo scientifico). Mentre metto in moto sorrido amaramente, e penso che il problema principale di qualcuno fosse togliere dieci alberi per farci spiare i templi di Selinunte dallo stradale di Marinella, così, come un indebito vantaggio, come chi origlia la Messa fuori dalla cattedrale, come chi con una toccata e via, non vuole entrare nelle cose per non perder tempo.

E rimetto in moto, con il braccio fuori dal finestrino, come i tamarri, e poco ci vuole che pompo le casse con Gigi D’Alessio, così, per ricordarmi che ho sognato De Andrè, ma la realtà è il tormentone estivo.   Giacomo Bonagiuso

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