Quando la verginità era una virtù imprescindibile per una donna

Redazione Prima Pagina Castelvetrano
Redazione Prima Pagina Castelvetrano
07 Marzo 2018 09:00
Quando la verginità era una virtù imprescindibile per una donna

In Sicilia, durante la civiltà contadina maschilista, la verginità per la donna aveva un valore inestimabile, oltre ad essere fonte d'insicurezza e paura per la maggior parte delle ragazze; perderla prima del matrimonio era considerata una grande disgrazia e vergogna. Allora non era nemmeno concepita un’amicizia sincera e platonica fra un ragazzo ed una ragazza. Una ragazza che non rispettava queste regole, era considerata poco di buono; se subiva una violenza sessuale doveva far di tutto per nasconderla, viceversa restava zitella ed additata da tutti.

La donna non era libera delle proprie azioni, poiché c’era “la gente” o “l’occhiu di munnu”, per come si diceva, un pubblico inesorabile dagli occhi di lince ferocemente controllore e mormoratore, che la controllava e la sindacava. D’altronde allora era impossibile nascondere un’avventura illecita poiché, come diceva il proverbio, “nun c’è cosa a lu munnu c’un si sapi”, visto che “li mura hannu l’occhi e li troffi hannu l’aricchi”. Nelle processioni e nei riti religiosi quasi sempre erano presenti alcune “verginelle”, delle ragazzine vestite di bianco, a simboleggiare la purezza della verginità.

Per l’uomo, invece, perdere la verginità era un motivo d’orgoglio. Egli, infatti, aspettava con ansia il raggiungimento dei 18 anni per incominciare a frequentare le case di tolleranza. Il matrimonio era ancora considerato da tutti sacro ed indissolubile e gli sposi si recavano a nozze con un gran senso di responsabilità. Oggi, in Occidente, la verginità non è più considerata una virtù, anzi, in certi casi, può essere vista come qualità negativa, in quanto fa pensare  che la persona non sia matura.

Fino agli anni ‘50 circa, la madre dello sposo, accompagnata da una comare, la mattina seguente al matrimonio andavano ufficialmente a portare roba da mangiare sostanziosa ed a dare “la bbona livata" (il buon giorno e a rallegrarsi con gli sposi per avere già trascorso la prima notte di matrimonio). In realtà esse andavano a constatare di presenza “la prova” (l’avvenuta consumazione del matrimonio e quindi la verginità della sposa). Si arrivava all'assurdo di mettere stese le lenzuola macchiate di sangue, come prova della verginità della sposa.

Se per una malaugurata cattiva sorte della sposa non c'era perdita di sangue (la scienza medica parla di casi molto comuni), lo sposo, indignato, riportava la sposa dai suoceri mettendo in discussione l'inganno subito. Il rispetto di tale usanza, non rappresentava una regola fissa, tutto dipendeva dal carattere ferreo ed intransigente della suocera.Anche la religione cristiana, islamica ed ebraica, per citare quelle monoteiste più seguite, attribuiscono un’importanza indiscutibile alla purezza.

Pertanto la verginità rappresentava un tesoro che una ragazza teneva nascosto, ben conservato, che avrebbe offerto, come il più bel regalo di nozze per lo sposo, la prima notte di matrimonio. Voglio ora riportare due massime che stanno agli antipodi, citate da due scrittori:   - La verginità è sorella degli angeli, è il possesso di ogni bene, è la sconfitta del diavolo, è la forza della fede. Essa dà la grazia, essa è la perfezione, che vince col solo presentarsi. (E.Zola).   - È una delle superstizioni dello spirito umano aver immaginato che la verginità potesse essere una virtù.

(Voltaire).   VITO MARINO

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