Il sacco di Palermo e la cementificazione selvaggia

Redazione Prima Pagina Castelvetrano
Redazione Prima Pagina Castelvetrano
21 Dicembre 2018 09:51
Il sacco di Palermo e la cementificazione selvaggia

Arrivaru li navi, tanti navi a Palermu /Li pirati sbarcaru,/ cu li facci di ‘nfernu./N’arrubbaru lu suli, lu suli,/ arristamu a lu scuru, a lu scuru / Sicilia, chianci./ Tuttu l’oru e l’aranci / li pirati arrubbaru,/ li campagni spugghiaru, / sulu negghia lassaru./  Li culura a lu mari /  arrubaru, chi dannu! / Su mpazzuti li pisci / chi lamentu, chi dannu. /   A li fimmini nostri / ci scipparu di l’occhi / la lustrura e lu focu / ch’addumava li specchi. Sono versi ricchi di alta poesia, di Ignazio Buttitta musicata e cantata da Rosa Balistreri.

Ignazio Buttitta, parla di quei pirati che, per secoli, ad incominciare dalle invasioni saracene e continuando fino ai nostri giorni, hanno rubato tutto, al popolo siciliano; a quel popolo che il poeta ha sempre amato e decantato, perché spogliato della libertà e delle risorse economiche. La canzone calza a pennello quando, in piena democrazia, i pirati  hanno distrutto una vasta area agricola “la Conca d’oro”  e sventrato il centro di Palermo diroccando i monumenti più belli. Questa volta i pirati, non sono arrivati dal mare, sporchi e abbrutiti, sono di una razza più eletta ma ancora più pericolosa, anche se educata, gentile, vestita in maniera impeccabile, con i colletti bianchi.

Sicuramente il grande Buttitta si riferiva proprio a questo genere di pirati, rifiuto dell’umanità, che ha attuato “il sacco di Palermo” e la distruzione della “Conca d’oro”. Secondo la moda di quegli anni i nobili e tutti i proprietari terrieri tenevano in campagna una casa o villa più o meno sontuosa per trascorrervi la vacanza estiva. Pertanto, la Conca d’oro oltre a rappresentare un’attività economica agricola redditizia, era una zona di villeggiatura cosparsa di ville e giardini.

Terminata la Seconda Guerra Mondiale, Palermo si trovò con moltissimi edifici distrutti e 40.000 senza tetto. Inoltre, dal 1947 al 1955, 35.000 contadini, dalle campagne cercavano di trovare migliori condizioni di vita nella città. Con il boom economico degli anni’60 sorse la necessità di alloggi più idonei per la popolazione, che prima si adattava ad abitare in tuguri. Nel frattempo, con la crisi dell’agricoltura i terreni agricoli non rendevano più e i proprietari non vedevano l’ora di venderli.

Di fronte a questa fame di abitazioni, la decisione politica non fu quella di restaurare gli edifici abbattuti, ma quella della costruzione di una “nuova Palermo”, Così, tra gli anni cinquanta e settanta a Palermo avvenne una delle più grandi speculazioni edilizie della storia siciliana, con la distruzione di numerose ville e palazzi novecenteschi in stile liberty, e la cementificazione di parchi e di una grossa fetta di verde della Conca d’Oro. Fra il 1955 ed il 1975, vennero riversati "trecento milioni di metri cubi di cemento e centinaia di chilometri di asfalto.

Lo scempio e il totale disprezzo delle regole furono certamente degli imprenditori di pessimo livello, ma sotto il patrocinio del sindaco  Salvo Lima  e dell’assessore Vito Ciancimino, entrambi invischiati in affari mafiosi. Due mafiosi, da quanto risulta, che governarono Palermo con il triplice ruolo di mafiosi, di politicanti e di amministratori corrotti. Nel corso di quattro anni del loro malgoverno sono state rilasciate 4250 licenze edilizie mentre le banche concedevano prestiti facili per l’edilizia mafiosa.

La devastazione della Conca avvenne in maniera silenziosa senza che nessuno abbia protestato per porre un freno. Anche gli uomini di cultura, in teoria più preparati, non seppero opporsi a quelle spinte; l'unica voce di denuncia che si è fatta sentire fu quella del giornale "l'Ora": troppo poco per fermare l'avanzata del cemento. Tra le vittime di quello sfortunato periodo sono da menzionare le splendide ville in stile Liberty, che costeggiavano via Libertà, come Villa Deliella: L’elegante palazzina liberty, progettata da Ernesto Basile, temendo che da lì a poco potesse scattare la legge di salvaguardia e la legge nazionale sulla <tutela delle cose d’interesse storico e artistico>, fu abbattuta nella notte  del 28 novembre 1959, dietro regolare licenza comunale, in maniera barbara, senza salvare nulla, facendo scempio di maioliche, fregi, ferri battuti e della vegetazione arborea; poco dopo sorse al suo posto un casermone.

Giuseppe Barbera nel suo libro “Il Sacco di Palermo“, parla fra l’altro del nascere del viale Strasburgo, che riporto: <<Era stata aperta una larga e dritta strada che tagliava tutta la campagna dei Colli e con una leggera pendenza che la mostrava in tutta la sua lunghezza arrivava alla città. Partiva dal giardino di Villa Adriana, sfiora Villa Pantelleria, attraversa frutteti di mandorli e olivi, campi di fichidindia, orti e giardini di agrumi. A ricordarla adesso era come una di quelle strade che vengono aperte nella foresta dell’Amazzonia e sono seguite da boschi bruciati, fiumi inquinati e popoli dispersi.

Fu battezzata viale Strasburgo….. Vedere devastate le aiuole e perterre coperte di fiori e con le rose ad alberello, i cespugli di gelsomino, le cycas e le palme e l’altra araucaria con i rametti simili a serpentelli, deve essere stato un brutto colpo per papà…>> Le ruspe portarono a termine la prima missione in pochi giorni nell'inverno del 1965. Adesso c’è la Palermo dei negozi elegantissimi e dei centri commerciali sorti grazie al riciclaggio di denaro sporco, ci sono i servizi pubblici che sono sempre più carenti tanto da costringere i giovani a lasciare la nostra isola per trovare un lavoro o semplicemente per studiare altrove.

Lo scempio avvenuto a Palermo è soltanto un esempio della distruzione programmata del nostro pianeta, dove cementificazione, inquinamento, città che si allargano a macchia d’olio, incapacità a smaltire i rifiuti urbani, sono elementi negativi presenti e operanti tutt’ora nella società. Questi mali hanno l’aggravante che a compierli sono stati e continuano ad essere gli organi istituzionali, sotto  gli occhi dei cittadini, senza possibilità di potere intervenire. Di fronte alla distruzione sistematica degli alberi mi sorge una triste considerazione: a cosa è servito l’insegnamento ricevuto a scuola sull’importanza dell’albero e il tema che ogni anno si assegnava in occasione della festa dell’albero? A cosa è servita la poesia del Pascoli “La quercia caduta” con gli ultimi due versi che ricordo con amore e che ancora mi commuovono?: “Nell’aria un pianto…d’una capinera  / che cerca il nido che non troverà”.

Occorre fermare la distruzione della terra e credere nella valorizzazione delle attività agricole, secondo una tendenza già presente in molte fra le maggiori città europee. VITO MARINO  

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