Elena Manzini ci racconta la storia vera di una violenza su una donna consumata a pochi passi da noi…

Redazione Prima Pagina Castelvetrano
Redazione Prima Pagina Castelvetrano
16 Novembre 2019 08:14
Elena Manzini ci racconta la storia vera di una violenza su una donna consumata a pochi passi da noi…

Non passa giorno che non si abbiano notizie di violenze sulle donne e spesso femminicidi ad opera di persone appartenenti alla famiglia delle vittime. Nonostante la nuova legge detta "Codice rosso", le cose non stanno per nulla cambiando in meglio, soprattutto nelle piccole realtà. In sostanza la legge prevede una corsia preferenziale nelle indagini relative a casi di violenza domestica o di genere (ovvero maltrattamenti contro familiari e conviventi; violenza sessuale, aggravata e di gruppo atti sessuali con minorenne, corruzione di minorenne; atti persecutori; lesioni personali aggravate da legami familiari). Polizia giudiziaria e Pubblico Ministero dovrebbero (il condizionale è d'obbligo in quanto è da rilevarsi anche la carenza di personale addetto e preparato) attivarsi immediatamente e la vittima dovrà essere ascoltata entro 3 giorni dalla denuncia, per limitare al massimo la possibilità che la violenza possa essere reiterata.

Al contrario, le donne avranno più tempo per denunciare una violenza subita: 12 mesi invece dei 6 previsti in genere dalla legge. La legge c'è, che c'entrano le "Scarpette rosse"? "Scarpette rosse" è il simbolo della lotta contro la violenza sulle donne: sono le scarpe rosse, lasciate abbandonate su tante piazze del nostro Paese per sensibilizzare l'opinione pubblica. Lanciato dall'artista messicana Elina Chauvet attraverso una sua installazione, nominata appunto Zapatos Rojas, è diventato presto uno dei modi più popolari per denunciare i femminicidi.

Ebbene siamo a Omertopoli. C'è Alice, nome di fantasia (di certo non vive nel Paese delle Meraviglie) che sin dall'infanzia ha subito i soprusi (vittima anche la sorella) di un padre-padrone con evidenti problemi psichici (negati alle visite psichiatriche, il che dovrebbe aggravarne la posizione). Ciò che però è grave, in un paese come Omertopoli dove si sa tutto di tutti, dove sono presenti tutte le forze di polizia, nonostante le denunce non si sia dato seguito a quanto previsto dalla legge in materia di violenza sulle donne.

Che ci debba scappare il morto? Auguriamoci di no. Pochi giorni fa, il 30 ottobre 2019 (quindi non siamo nel periodo Paleolitico) tra le 12,30 e le 14,00, Alice subisce “Minacce e lesioni personali” (come riportato da relativa denuncia, prot. verbale: TPCS 33 2019 VD 901075) dal padre. Si reca al Pronto Soccorso, diagnosi: “Trauma rachide cervicale e spalla destra”. Al di là di un referto medico stilato con evidenti errori ortografici….sussiste che un padre ha percosso una figlia.

Alice il giorno dopo si reca presso la caserma dei Carabinieri di Omertopoli per esporre la dovuta denuncia, nella quale descrive minuziosamente il fatto accaduto il giorno prima. Atto accaduto sotto gli occhi di molte persone. Alice stava aiutando la madre a salire in auto dopo le dimissioni da una struttura di riabilitazione.

Già mentre la ragazza spingeva la carrozzina, sulla quale era seduta la madre, dalla struttura ospedaliera al parcheggio, il personaggio (vogliamo chiamarlo così??) inveiva contro la vittima brandendo la stampella, che utilizza in quanto claudicante, urlando “Vattene! Vattene!”. Giunti all’auto, Alice si prodigava nell’aiutare la madre a salire in auto ed è in quel momento che il padre la colpiva, con tutta la sua forza, con la stampella sulla schiena mentre gridava a squarciagola: “Ti ammazzo, ti ammazzo, pare che non sono capace di ammazzarti?”.

Sono sì intervenute delle persone con l’intento di farlo calmare…ma uno in evidente stato di alterazione con tanto di stampella brandita ed utilizzata, andava subito fermato, bloccato e ricoverato in Tso. Non contento il soggetto riprendeva nelle sue esternazioni: “Aiutatemi ad ammazzarla, aiutatemi ad ammazzarla”. Solo una donna, spiace dirlo, gli uomini si sono rivelati dei tappetini, ha avuto il coraggio di rimbrottare: “Ma non si vergogna?” E il soggetto: “La violenza ci vuole!”.

E’ la risposta di una persona non violenta, capace di intendere?!?!… Penso, invece, sia la risposta di una persona che va tenuta sotto controllo molto da vicino in quanto capace di reiterare violenza. Ancora una volta sono intervenute due donne, due agenti della polizia municipale e, finalmente, un uomo. Ovvio cosa poteva fare il violento essendo in pieno torto? Darsela a gambe levate (si fa per dire). Poco dopo veniva rintracciato grazie ad altri agenti della Polizia Municipale e ad un consulto psichiatrico, al seguito del quale (cosa sbalorditiva quanto assurda) l’uomo era dichiarato “capace di intendere e volere”, consapevole di quanto stava facendo ed ha colpito col chiaro intento di far male.

Andrebbe direttamente “accompagnato” anziché lasciato libero di scorazzare. Prima che si possa arrivare al peggio (come purtroppo spesso accade) VA FERMATO! Fortunatamente sono intervenute le assistenti sociali che hanno accolto il grido di aiuto anche della madre di Alice, la quale aveva timore ritornare in quella casa di violenza. Si è addivenuto ad un allontanamento della signora. A Omertopoli si allontanano le vittime e non gli esecutori delle violenze? (Fine Prima Parte segue) Elena Manzini

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