Appunti e storie castelvetranesi: La guerra delle torri, storia di una lunga controversia tra Mazara e Castelvetrano

Redazione Prima Pagina Castelvetrano
Redazione Prima Pagina Castelvetrano
15 Luglio 2018 09:30
Appunti e storie castelvetranesi: La guerra delle torri, storia di una lunga controversia tra Mazara e Castelvetrano

L’opposizione al pericolo dei corsari turchi – ma l’espressione “turco” designava in generale tutti i popoli di fede musulmana - contro il quale nel secolo XVI la Sicilia era stata munita di un complesso sistema di torri di avvistamento e difesa, costituì anche a Castelvetrano, città marittima, una delle incombenze più delicate della civica amministrazione, data la vastità del litorale di sua pertinenza, esteso più di 11 miglia. Ne era limite, a ovest, la punta e cala del Saurello; seguiva la cala di Rais Balata, di difficile approdo per gli scogli affioranti; veniva poi la punta della Traversa, con una secca dove si tiravano le barche in caso di maltempo; vi era appresso la punta della Granitola, la cui cala, alla fine del ‘600, risultava pressoché insabbiata; dopo punta Secca, una lunga spiaggia giungeva fino a Tre Fontane, la cui torre fu edificata in prossimità delle sorgenti d’acqua dolce, ancora esistenti, che, ai tempi, potevano indurre i legni barbareschi ad approdare per i necessari approvvigionamenti; da qui si stendeva un lungo arenile, interrotto dal vallone delle Sirene, fino alla punta della Triscina e alla foce del Madiuni, marina questa che si pose sotto la guardia della torre di Polluce; seguitava la cala di Kaligi, alla foce del gorgo Cottone, quella della Bruca (il cui nome si deve all’abbondanza delle piante di tamerici, tamarix gallica, che vi crescevano spontanee) e la cala del Cantone che, per essere nascosta e pericolosa, fu dotata di un ulteriore posto di guardia; si giungeva dunque alla foce del Belìci, da dove cominciava la giurisdizione marittima di Sciacca.

E tuttavia, il controllo di un litorale tanto vasto suscitò sempre i risentimenti della vicina Mazara, città demaniale, antichissimo vescovado, prima sedes et Regni caput - come si vantava, avendo ospitato il primo Parlamento siciliano - cosicché i suoi giurati mai persero occasione per contestare in ogni modo la giurisdizione di Castelvetrano sulle sue torri. Già il 9 agosto 1625, riscontriamo delle lettere viceregie, dirette ai giurati di Castelvetrano e Mazara, di togliere ogni controversia e rancore per dette torri, rintuzzando nel contempo le ragioni intavolate dalla città di Mazara nella pretenzione della visita delle torri e guardia di marina e gabella che sentivano imponere alli cittadini della città di Castelvetrano[1]. Ma nel 1656, i giurati mazaresi tornarono alla carica, presentando un voluminoso carteggio a don Gaspare Bosco, delegato di S.

E. e Real Patrimonio, dove si rivendicava il diritto dell'inclita città di Mazara sulle torri di Tre Fontane e Polluce. I giurati di Castelvetrano ribatterono a quelle pretese sostenendo che dette torri sempre sono state visitate da (essi) che ne hanno avuto la soprintendenza oltre i replicati ordini e diverse lettere del Real Patrimonio[2]. Il 19 febbraio 1657, i giurati di Mazara volevano con violenza visitare le torri di Trefontane e Polluce; che in Mazara con gran concorso di gente avevano determinato di venire violentemente a visitare dette torri e che incontrandosi coi cittadini di Castelvetrano volevano far vedere quant'era la loro possanza, pretendendo essere loro giurisdizione la visita di dette torri, mentre che queste sempre sono state visitate dai Giurati di Castelvetrano che ne hanno avuto la soprintendenza oltre i replicati ordini e diverse lettere del R.P.

[Real Patrimonio][3]. A distanza di più di un secolo, il 18 maggio 1776, rinveniamo un altro memoriale inviato al Tribunale del Real Patrimonio dai giurati e dal sindaco di Mazara. Vi sono raccolte le testimonianze di Santoro Sciarca, collettore delle gabelle; Antonino Bianco, guardiano della regia Segrezia di Mazara; Vincenzo Norrito, Pietro Bono e Mariano Magaddino, collettori delle gabelle dei pesci; i quali attestavano e giuravano di avere sempre esercitato, a vario titolo, la loro giurisdizione sul litorale di Castelvetrano.

Pertanto, argomentavano quei giurati, deve ritenersi che anche le torri di quel litorale devono esser poste sotto la loro sovrintendenza[4]. Quel ricorso non dovette essere accolto, tant’è che i giurati di Mazara, nell'estate del 1792, risollevarono il caso, in seguito ad una vicenda che brevemente riassumiamo. Il 21 maggio di quell'anno una polacca veneta fu catturata dai turchi nel mare di fronte alla torre di Polluce. Il caporale, tal Pietro Salluzzo, messo in allarme dalla torre di Porto Palo, asserì di avere inteso, verso le ore tre della notte, un rumore dalla parte dello Scaro di Bruca, ma di essere rimasto ingannato dal forte vento di scirocco e dall'idea che si trattasse di marinai che in tempo di notte sogliono i medesimi fare grida e sussurri fra di loro.

Nondimeno, scrive il torraro, io continuai a suonare la tromba marina gridando e seguitando la mia guardia. A giorno fatto, i marinai del vicino scaro lo informarono che una Galeotta di Barbari si prese il detto Bastimento, sicché al nostro torraro altro non restò se non di elevare fermissima lagnanza contro i marinai che non avevano avvisato e di stendere una relazione pei giurati, alla quale allegò le testimonianze di tali don Pietro Triolo e don Mariano Greco i quali, con altri amici in detta torre si ritrovavano per pernottare, forse nella taverna che esisteva vicino alla torre.

Il 21 giugno, la Deputazione del Regno ordinò ai giurati di incarcerare i torrari e di provvedere alla loro sostituzione. Nondimeno, il mese successivo, tutti vennero posti in libertà provvisoria e fu preso in considerazione il ricorso di uno dei soldati imprigionati, un certo Giovanni Lombardo, il quale si dichiarava estraneo all'accaduto, giacché quella notte si trovava in licenza per procurar pane. Tutta questa vicenda non poteva passare inosservata, e pertanto i giurati di Mazara, riaffermando le loro pretese, inviarono un esposto al duca di Casalmurgo, presidente della Deputazione del Regno, asserendo che li custodi delle torri di Trefontane e Polluce non curano e non vegliano, e ciò per la cattiva amministrazione dei giurati di Castelvetrano.

Il 24 agosto, la Deputazione del Regno invitava i giurati mazaresi a presentare le prove di quanto da loro denunciato, chiedendo nel contempo a quelli di Castelvetrano una relazione sullo stato delle torri, da inviare anche ai padroni di bastimenti e ai giurati delle Università vicine. La questione si concluse il 7 dicembre 1792, data in cui la Deputazione, giacché i giurati di Mazara non avevano presentato alcun documento a sostegno delle loro accuse, reintegrava i torrari, confermava la giurisdizione di Castelvetrano, esortando comunque quei giurati ad una più attenta vigilanza[5].

E tuttavia le ostilità non si chiusero: tre anni dopo, il 13 maggio 1795, il torraro di Tre Fontane, caporal Gaspare Vajasuso, denunciava ai giurati un grave sconcerto ad opera di tre mazaresi a cavallo, i quali, fatta irruzione nella torre, pretendevano la consegna delle chiavi della santabarbara, e si allontanarono solo in seguito al fermo rifiuto del caporale, non senza averlo minacciato e malmenato[6]. Questo stato di viva tensione è confermato dalle vicende accadute a seguito della cattura di uno schifazzo trapanese, che portava sale, sotto la torre di Tre Fontane nel febbraio 1799.

Il 28 febbraio, mentre tutto era in quiete, la torre fu assalita da 14 soldati a cavallo di Mazara, comandati da un tal Lo Jacono. I giurati di Mazara tentarono di giustificare l'accaduto sostenendo che i torrari di Castelvetrano avevano fatto non meglio precisate estorsioni ai marinai dello schifazzo scampati ai Turchi; e ciò spiega la preoccupazione, da parte dei giurati castelvetranesi, di raccogliere la testimonianza degli scampati che dichiarassero di aver ricevuto dai torrari la dovuta assistenza e protezione.

Il 19 maggio 1799, i giurati mazaresi, per il loro comportamento, furono severamente ripresi dal viceré Luzzi il quale, peraltro, riconfermò a Castelvetrano la sua giurisdizione[7]. Le molestie non accennarono a diminuire; cosicché nel 1800 fu pagato un agrimensore per stabilire la distanza della torre di Tre Fontane da Castelvetrano e da Mazara, essendo stata necessaria tale mensurazione per la competenza giurisdizionale tra questa Università con quella di Mazara per la sopraintendenza di sanità in questo littorale[8].

Il risultato delle misure fu favorevole a Castelvetrano; ma intanto, il 24 ottobre 1800, alle ore dieci, si confece nella torre di Trefontane un Giurato di Mazara col M. tro Notaro e altri Subalterni per usare giurisdizione sulla stessa, quando con precedenti ordini restaro avvertiti di non ingerirsi; cosicché, il successivo 4 novembre, il sindaco di Castelvetrano, don Leonardo Dionisio, inviò un circostanziato memoriale alla Deputazione del Regno, richiamando la Pianta del 1733, le Lettere Circolari replicatamente emanate in ogni tempo, lettere di risoluzione di consulta di detti Giurati di Mazara de 14 Agosto e 21 di esso mese 1764 a detti e al Magistrato di Trapani.

Il sindaco ricordava ancora come la carta topografica del Regno del 1786 assegnasse il litorale di 11 miglia a Castelvetrano, e rammentava, infine, le diverse risoluzioni della Deputazione del 1796, 1797, 1798, e le circolari dell'11 agosto 1759, del 18 agosto 1764 e 26 febbraio 1770, tutte favorevoli alla giurisdizione di Castelvetrano. Il 25 novembre 1800, perveniva il decreto della Deputazione Generale di Salute in cui si legge: Castelvetrano giusta la Pianta del 1733 formata dal Tribunale del Reale Patrimonio, che in quel tempo era il Magistrato della Sanità, è descritta per una delle U.tà Marittime a cui pella contribuzione furono assegnate Menfi, Cattolica, Contessa, S.

Angelo M., che ha il proprio Littorale di 11 miglia, cominciando dalla foce del fiume Belìce sino al Passo di Saurello, ove attacca il Littorale di Mazara; sin dal 1599 le torri della Deputazione furono affidate alli G.ti di Castelvetrano, giacché trovasi più distante Mazara. Il 15 dicembre 1800, una lettera dell'Ill. ma Deputazione del Regno delle Torri, a firma del principe di Paternò, ribadiva alli Spett.li Giurati di Mazara di non ingerirsi nelle due torri di Polluce e Trefontane per essere sovraintendenza delli Spett.

li Giurati di Castelvetrano; ai quali giurati (Giovan Battista Bonsignore, Benedetto Atria, Francesco Modica, Luciano Ramo) fa sapere di avere intimato a quel Magistrato di Mazara di non ingerirsi più nelle Torri suddette per essere di vostra ispezione. E Iddio nostro Signore vi guardi. Il 28 agosto 1801, tale decisione, che il 20 maggio era stata confermata in appello dalla Deputazione di Sanità, fu ulteriormente ribadita dal pretore della Deputazione, principe di Torremuzza.

La questione, tuttavia, non era ancora chiusa, poiché altri addebiti furono sollevati dai giurati mazaresi contro i torrari di Tre Fontane, accusati del furtivo disbarco del Sign. Pietro Giuffrè francese con due marinai. Seguì che, il 28 dicembre, il caporale e i soldati di quella torre furono nuovamente imprigionati; ma il 14 gennaio 1801 la Deputazione del Regno, chiariti i fatti, li scagionò e ne ordinò l'immediata liberazione. Ma l'incidente più grave scoppiò nel pomeriggio del 5 ottobre 1802, quando il caporale di Tre Fontane, Gaspare Vajasuso, e i due soldati, Vincenzo e Giovan Battista Maltese, furono sequestrati e condotti a Mazara.

I giurati di Castelvetrano appresero il fatto da Giovanni Paolo Puccio e Giovanni Passanante i quali, recatisi il giorno dopo alla torre, trovarono scassato il portello; e avendo cominciato a gridare: oh di la turri, oh di la turri, dopo circa mezz'ora ricevettero risposta da un tale che asseriva essere il guardiano. I due, però, si resero conto che non diceva la verità, giacché il linguaggio era il naturali di Campobello. Ma ecco il resoconto testuale del dialogo: Ditini cu vi ci misi ddocu = Si vuliti sapiri cui ni ci misi cca, va jti a Mazara; e dopo altre insistenze, il nuovo "guardiano" confessa di esser stato posto alla torre di lu cumannanti di la castella di Mazara e che il caporale e i soldati erano stati tradotti nelle prigioni di quella città.

Nel frattempo però giungeva la Finale Sentenza a perpetuo silenzio (sic!) della Maestà Sua (Dio guardi) che consacrava il buon diritto di Castelvetrano sulle sue torri[9]. A ragion veduta, pertanto, a conclusione di sì annosa vicenda, i giurati di quell'anno - Girolamo Lentini, Simone Fimia, Eustachio Crescenti, Francesco Cusa - e il sindaco, Luigi Messina Signorelli, pensarono di raccoglierne tutte le carte, scritture e documenti in un Volume Aureo che ha permesso a noi di ricostruirla, dopo più di due secoli.

  [1] ASC, Atti,  1624-25, ad diem 9 agosto. [2] ASC, Rollo II, ff. 54-80. [3] Ibidem [4] ASC, Volume aureo delle torri, fasc. II, s.n. [5] ASC, Volume aureo delle torri, cit., fasc. II, s.n. [6] Ibidem [7] Ibidem [8] ASP, Tribunale del Real Patrimonio, Conti civici, vol.

673, f. 6. [9] ASC, Volume aureo delle torri, fasc. II, s.n. Francesco Saverio Calcara foto di Gianni Polizzi

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